Oggi un essere umano vive in due mondi. Il proprio e quello globale. Un essere umano immigrato vive in tre mondi perché ai primi due occorre aggiungere quello del paese d’origine. E sia gli uni che gli altri vivono spesso in nazioni talmente varie che non è difficile trovare qualcosa come 90 lingue diverse nelle scuole elementari di Londra ed almeno una trentina se non di più in quelle di Roma o di Milano.
La multiculturalità va riconosciuta al pari dell’accettazione dell’immigrazione, volenti o nolenti, poiché maggiore è il divario tra le terre in cui si gode di pace e ricchezza inimmaginabili e quelle povere, tanto più vasti sono i flussi di esseri umani che passano dalle une alle altre e la globalizzazione rende noto dappertutto che esistono paesi le cui strade, si diceva un tempo, sono lastricate d’oro.
Ma questo nuovo pianeta così complesso, globalizzato e multidimensionale, che si muove e si combina di continuo, reca con sé la speranza di una fraternizzazione umana, da cui la nostra epoca xenofoba pare così lontana?
Come sapete sull’argomento sono abbastanza fiducioso e pur non amando il calcio particolarmente ho trovato molto interessanti e più che condivisibili le considerazioni di Eric Hobsbawm in “La fine della cultura” che raccoglie una serie di interventi in proposito.
Lo storico inglese afferma di non avere la risposta alla domanda ma pur non potendo ovviamente prevederlo trova proprio nella storia un valido aiuto, se non a predire il futuro, a riconoscere ciò che è storicamente nuovo nel presente – e dunque a gettare luce sull’avvenire.
Esiste dunque speranza di fraternizzazione? Hobsbawn crede che la risposta si possa trovare nel mondo del calcio e vi riporto le sue parole integralmente (1).
“Il più globale tra gli sport è al tempo stesso il più nazionale. Per la maggioranza degli esseri umani, oggi si tratta di undici giovanotti su un campo di football che incarnano «la nazione», lo Stato, il «nostro popolo», molto più di quanto non avvenga per i politici, le costituzioni e lo spiegamento di forze militari. Chiaramente, le nazionali sono composte da cittadini dei rispettivi Paesi. Ma tutti sappiamo che questi sportivi miliardari appaiono in un contesto nazionale soltanto per alcuni giorni all’anno. Nella loro principale occupazione, sono mercenari transnazionali, pagati profumatamente, che giocano quasi tutti all’estero. Le squadre di club acclamate da un pubblico nazionale sono un miscuglio eterogeneo di moltissime razze e nazioni, in altre parole di campioni provenienti da tutto il mondo. I club di maggior prestigio a volte schierano a malapena più di due o tre giocatori «indigeni». E questo è logico, anche per i tifosi razzisti, che a loro volta vogliono una squadra vincente, sebbene non sia di razza (2)”
“Beata la terra che, come la Francia” prosegue Hobsbawn “si è aperta all’immigrazione e non contesta l’etnicità dei suoi concittadini. Beata la terra che è fiera di poter scegliere per la sua nazionale tra africani ed afrocaraibici, berberi, celti e figli di immigrati iberici e di europei dell’Est. Beata, non solo perché questo le ha permesso di vincere il Campionato del mondo, ma perché oggi i francesi –non gli intellettuali ed i principali oppositori del razzismo, ma le masse, che dopotutto hanno inventato e ancora incarnano la parola «sciovinismo»- hanno dichiarato che il loro miglior calciatore, figlio di musulmani immigrati dall’Algeria, Zinedine Zidane, è il «più grande francese». Questo non è certo distante dal vecchio ideale della fratellanza tra le nazioni, ma è invece ben lontano dal punto di vista dei delinquenti neonazisti in Germania e da quello del governatore della Carinzia. E se le persone non vanno giudicate per il colore della pelle, la lingua, la religione e cose del genere, bensì per il loro talento ed i risultati che ottengono, allora c’è motivo di sperare, E c’è motivo di sperare, poiché il corso della storia va nella direzione di Zidane e non in quella di Jörg Haider(3)”
(1) i riferimenti alla Francia dipendono dal fatto che questo intervento è del 2000.
(2) in Italia siamo riusciti a farci riconoscere anche su questo con cori razzisti indirizzati persino a membri della squadra che si va a tifare
(3) lo xenofobo nazionalista governatore della Carinzia prima citato.