sabato 29 aprile 2023

Dopo tutto, sono solo credenze…

Premessa polemica

È l'evoluzione che ha creato dio e non dio che ha creato l'evoluzione. Con buona pace dei creazionisti e i cultori del disegno intelligente.

Religione e morale

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”. «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».[1]

Chi non conosce la parabola del Buon Samaritano? Non tutti aiutano i bisognosi e viene spontaneo chiedersi come mai, tra gli uomini fondamentalmente tutti morali, ci siano trasgressori che evitano l’applicazione dell’altrettanto evangelica regola aurea «Ama il prossimo tuo come te stesso».

Ma torniamo su un terreno più scientifico, corroborato da dati misurabili.

Quando nelle università non esistevano i comitati etici gli studenti che le frequentavano venivano spesso utilizzati allo scopo di fornire materiale umano per ricerche sociologiche e psicologiche, spesso a loro insaputa. Due psicologi dell'università di Princeton[2], all'inizio degli anni Settanta, condussero un esperimento particolarmente brillante e interessante utilizzando, non a caso, un numeroso gruppo di studenti che frequentavano il Seminario Teologico. Convocati in un primo laboratorio, dovevano recarsi in un secondo laboratorio per tenere un discorso di qualche minuto sulla base di un testo loro assegnato. Lungo il percorso tra i due laboratori un attore, pagato dagli sperimentatori, simulava un evidente stato di difficoltà sdraiandosi sulla soglia di una porta, immobile, a capo chino e con gli occhi chiusi, e non appena uno studente gli passava vicino tossiva due volte e gemeva.

Furono stabilite due condizioni sperimentali: nella prima il 63% di loro si fermò per prestare qualche soccorso, nell’altra soltanto il 10%! Oltre che frequentare il seminario suddetto a metà di loro veniva detto che avrebbero dovuto tenere un discorso sul soccorso ai bisognosi. Ebbene, il tema su cui dovevano riflettere non influenzò per niente il loro comportamento: se erano nella prima condizione aiutavano il poveretto, se erano nella seconda non l’aiutavano, anzi, si registrarono persino casi di studenti che scavalcarono letteralmente l'attore pur di entrare nel secondo laboratorio, dove magari dovevano parlare proprio della parabola del Buon Samaritano!

Ma quali erano dunque le due condizioni? Nella prima lo sperimentatore diceva ai soggetti di prendersela comoda, che nel secondo laboratorio non era ancora arrivato nessuno e che avrebbero dovuto attendere qualche minuto. Nella seconda invece, diceva loro di fare in fretta, che erano in ritardo.

Insomma, un fattore secondario legato alla situazione come il tempo a disposizione determina il nostro comportamento morale: siamo Buoni Samaritani se abbiamo il tempo per esserlo, altrimenti, presi dai nostri impegni corriamo via senza nemmeno accorgerci di coloro i quali hanno bisogno d’aiuto, come il sacerdote e il levita presi dall’ansia di non arrivare in tempo a svolgere i loro impegni, magari un servizio religioso, o per parlare del soccorso ai bisognosi.

Ed ecco che appare l’insegnamento più importante della parabola: non basta meditare sulle norme morali o essere persone votate a Dio per comportarci caritatevolmente verso il prossimo.

La nostra specie possiede capacità di ragionamento morale che gli altri primati non possiedono. E solo nella nostra specie vengono impartiti insegnamenti, secolari e religiosi, per inculcare norme morali e per sanzionare chi le viola. Ma queste capacità di ragionamento e questi insegnamenti non sono fondati sul nulla, derivando da una origine comune e da uno sviluppo del comportamento morale: nell'apprendimento della differenza tra bene e male sia il maestro che il prete si basano su una predisposizione naturale al comportamento morale, una predisposizione che condividiamo con altre creature.

«Se Dio non esiste, tutto è permesso» fa dire Dostoevskij, e ancora, ad un altro personaggio «La coscienza! Che cosa è la coscienza? Sono io stesso che me la invento. Perché mai mi tortura? Per un’abitudine. Per un’universale abitudine del genere umano, vecchia di settemila anni. Liberiamocene, e saremo degli dei!», sostenendo e corroborando in tal modo l'utilità o l'indispensabilità della religione nel formare i sentimenti e le azioni morali e nel migliorare le società umane. Perché, come ha scritto Richard Dawkins, l'umanità, per essere etica e morale, avrebbe bisogno di una complessa ed irrazionale impalcatura qual è la religione e tutti i suoi riti?

Ma le credenze sovrannaturali, in particolare quelle religiose, comportano realmente vantaggi sociali? È vero che sono la base indispensabile del comportamento morale della giustizia? Che senza di esse non ci sarebbe vita sociale?

Iniziamo ad osservare che i credenti di varie religioni hanno la comprensibile tendenza a far coincidere i precetti della propria fede con la morale tout court, tendendo a far passare delle regole convenzionali per regole di carattere generale, che non hanno alcun valore comune tra le varie religioni. Un comportamento giudicato immorale in alcune religioni (mangiare un certo tipo di carne, accompagnarsi ad un cane o ad una donna nel tempio…) potrebbe essere del tutto legittimo per un’altra confessione.

La vita sociale è essenzialmente l’ambito della morale e quindi, paradossalmente un individuo che vivesse perfettamente isolato non avrebbe bisogno né di precetti morali né di norme sociali per regolare la sua condotta. Ne deriva che senza acquisizione delle credenze religiose, senza catechismo insomma, nessuna forma di comportamento morale, anche la più elementare, non dovrebbe manifestarsi. E se un comportamento moralmente etico ha lo scopo di aiutare o comunque non danneggiare gli altri in assenza di religione non dovrebbero apparire né l’empatia né l’altruismo, senza considerare che spesso la moralità, intesa come socialità cooperante, si rivela vera e praticata solo all’interno del proprio gruppo religioso.

Ma la scienza, come vedremo, ci racconta altro.

Innanzi tutto sappiamo che uno stesso sistema di credenze religiose può contenere posizioni morali contrastanti. Per millenni greci e romani hanno venerato divinità che non erano affatto dispensatrici di giustizia o modelli di virtù da seguire, interessati al proprio benessere più che a quello dell’uomo. Gli dèi lasciano il mondo, dicevano i pompeiani devastati dall’eruzione del Vesuvio; Apollo si indigna con Achille per lo scempio che fa del cadavere di Ettore mentre invece Era, Poseidone ed Atena, per il loro odio immortale verso i troiani, vorrebbero che lo scempio continuasse. Morale della favola: non tutti gli dèi hanno una morale.

E dopo tutto alcuni fatti ci dimostrano che creare dal nulla una religione non è poi così difficile, come nel caso della curiosa storia del “Culto del Cargo”[3].

E ancora, sappiamo bene come i sistemi di credenze religiose possano indurre i fedeli a comportarsi in modo ostile nei confronti di altri individui, soprattutto per quelli che professano altre fedi o che non ne professano affatto: violenza, crudeltà, riduzione in schiavitù, guerre, genocidi facilitati o giustificati da credenze religiose.

D’altra parte c’è chi ha sostenuto che i sistemi di credenze religiose, anche se non sistematicamente in grado di produrre comportamenti prosociali, possano favorirli di più rispetto a sistemi di credenze non religiosi. In altre parole, gli individui che professano una fede religiosa si comportano in modo moralmente superiore alle altre persone. E’ vero?

Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti, il paese primo al mondo per presenza di comunità religiose e quello tra i meno secolarizzati in assoluto. Se è vero da una parte, in base a ricerche sociologiche, che i credenti sono più disposti a offrire il proprio tempo per aiutare gli altri, che contribuiscono maggiormente alle attività degli enti caritatevoli o che contribuiscono maggiormente a donare il sangue rispetto ai non credenti, è altrettanto vero che il più delle volte lo fanno limitatamente alla loro cerchia, spesso molto ristretta considerando la polverizzazione delle confessioni negli Stati Uniti dove addirittura chiunque può professarsi pastore e radunare fedeli nel proprio tempio.

A parte che non è chiaro il motivo per cui donare tempo e denaro (anche ad enti di tipo secolare) debba essere considerato un comportamento morale, concludere da questo che la morale e il senso civico siano favoriti dalle credenze religiose è sbagliato: soprattutto negli Stati Uniti, paese a forte prevalenza di comunità religiose, dove il contesto sociale in cui vivono credenti e non credenti è il più delle volte estremamente diverso e dove i non credenti sono letteralmente esclusi ed isolati dal resto della comunità. I non credenti negli Stati Uniti sono tra il 2 ed il 10 percento della popolazione ed è quindi ragionevole che i non credenti siano meno disposti ad offrire qualcosa ad una comunità che li isola, al punto che, ad esempio, moltissimi scienziati atei in pubblico dichiarano di non esserlo per evitare di essere esclusi da parte della maggioranza dei possibili sponsor per fondi di ricerca, dove sicuramente prevalgono i credenti. Non a caso sempre gli Stati Uniti sono il paese dove la stragrande maggioranza delle persone, secondi solo alla Turchia, non crede alla Teoria dell’Evoluzione credendo invece ad un dio creatore.

Gli Stati Uniti si sono inoltre rivelati utili a fornire indicazioni rilevanti circa i possibili effetti sociali dei sistemi di credenze religiose e secolari. Esiste un’impressionante serie di correlazioni positive tra tassi di omicidio, suicidio, aborto e gravidanza di minorenni e tasso di diffusione delle credenze religiose, in particolare quelle dualistiche, ovvero quelle visioni del mondo in cui coesistono Dio e il diavolo, il bene ed il male assoluti. Ancora gli Stati Uniti si rivelano in cima alla classifica che vede il 96% delle persone credere in Dio e ben il 76% credere nell’esistenza anche del diavolo. Nelle religioni non dualistiche, dove esiste solo Dio, o nei paesi dove il dualismo è meno marcato, la correlazione col tasso di omicidi è notevolmente minore, come in Svizzera dove l’84% delle persone crede in Dio ma solo il 32% nel diavolo, o ancora meno in Svezia (56% e 18% rispettivamente), paese ancor più secolarizzato[4].

Ovviamente va tenuta in debita considerazione anche la presenza di forti disuguaglianze socio-economiche oltre che l’ampia diffusione di credenze religiose di tipo dualistico; analoghi alti tassi di omicidio, di diffusione di credenze religiose dualistiche che si accompagnano a disuguaglianze socio-economiche si rilevano anche in paesi meno sviluppati, come le Filippine, il Sud Africa o la Repubblica Dominicana, ed è possibile, come sostengono alcuni sociologi, che le stesse credenze di tipo dualistico vadano attribuite alla presenza di forti disuguaglianze socio-economiche. In ogni caso, i dati contraddicono l'idea che i cittadini delle democrazie occidentali che professano una fede religiosa siano cittadini migliori dei non credenti.

E in Italia? Come abbiamo visto se la religione dovesse essere il motore primo di comportamenti morali, socialmente utili, questi dovrebbero inoltre concorrere, anche indirettamente, allo sviluppo del senso civico, all’aumentare del grado in cui la vita politica e sociale di una comunità che condivide ad esempio lo stesso territorio, avvicinandosi all’ideale della comunità civica, cioè alla comunità i cui membri partecipano attivamente alla vita pubblica, si considerano uguali fra loro e manifestano mutuo rispetto e fiducia anche quando le loro idee e i loro interessi differiscano.

Sono stati condotti studi sociologici anche in tal senso, ed in effetti lo sviluppo economico e istituzionale delle regioni italiane è maggiore dove è più forte il senso civico, misurato in base a indicatori come numero di associazioni presenti quali associazioni di volontariato o culturali, club sportivi, bande musicali, cooperative di consumo eccetera.

Il senso civico In Italia risulta correlato in modo estremamente negativo con tutte le misure di religiosità e clericalismo: quanto più alto è l'indice di clericalismo tanto minore e il senso civico. Regioni italiane in cui il senso civico è minore, come la Calabria e la Campania, sono quelle in cui è più alta la frequenza alla messa, più frequente il matrimonio religioso (contrapposto a quello civile), meno frequente il divorzio e in cui risulta più forte l'identità religiosa espressa nelle risposte ai questionari. E questa differenza emerge anche a livello individuale: a differenza dei non credenti, infatti, solo una minoranza dei cattolici praticanti italiani si interessa di politica e legge i quotidiani.

Eppure c'è stato un tempo in cui una misura di diffusione del sentimento religioso in Italia risultava correlata positivamente con l’impegno civico. Tra la fine della Seconda guerra mondiale e i primi anni Sessanta, gli iscritti all'Azione Cattolica, all'epoca la più importante associazione dei laici cattolici, erano molto più numerosi nelle regioni in cui il senso civico è maggiore. Insomma nella geografia sociale dell'epoca l'Azione Cattolica rappresentava la faccia civica del cattolicesimo italiano; negli ultimi decenni però questa associazione è quasi scomparsa e nell'Italia contemporanea la comunità civica è sostanzialmente una comunità secolare[5].

Trarre conclusioni assolute non sarebbe comunque corretto, soprattutto in ambito sociologico dove comparare paesi diversi od aree diverse dello stesso paese è complicato, visti i molti fattori esterni che possono influenzare i comportamenti dei singoli o la diffusione delle credenze religiose. Ma i risultati parlano chiaro: i cittadini che professano una fede religiosa non sono necessariamente migliori degli altri. Professare una fede religiosa non si accompagna a comportamenti moralmente superiori e anzi, in molti casi, è vero l’esatto contrario.

La legge morale dentro di me

Il comportamento morale si manifesta dunque soltanto dopo ed in funzione delle credenze religiose? Sembra proprio di no. O è piuttosto, come scriveva Kant nel suo famoso aforisma da cui ho estratto il titolo del paragrafo, che ci sia una sorta di moralità naturale innata e non trasmessa né appresa? Ancora una volta la ricerca scientifica, l’unica in grado di trattare qualsiasi argomento in maniera priva di pregiudizi, riesce ad affrontare anche la religione: e lo fa superando l’euristica della rappresentatività,[6] quel meccanismo intuitivo che spesso associa le cose ai loro effetti e che, come dice il famoso primatologo Frans de Waal, ci induce ne “l’errore di Beethoven”. Come si fa a credere che molte delle più belle musiche di Beethoven siano state composte in una delle più misere e sporche case di Vienna? Questi modelli sono delle scorciatoie mentali che mettiamo in atto spesso inconsciamente, applicati ai nostri giudizi in maniera intuitiva ed easy. Ma la scienza spesso è controintuitiva, parecchio. E se c’è qualcosa che risulta ancora oggi dopo oltre due secoli e mezzo estremamente controintuitivo e durissimo da accettare[7] è la Teoria dell’Evoluzione per selezione naturale, il darwinismo. Ancor più se interessa noi stessi, ed a maggior ragione se di noi stessi si occupa di mente e coscienza, morale ed etica incluse!

Dando per acquisito che per comportamento morale intendiamo quello che promuove o comunque non ostacola il benessere altrui le forme più elementari sono quindi quelle che vedono reagire di fronte al dolore altrui e che restituiscono favori ricevuti. Non esiste società umana in cui manchino l’empatia e l’altruismo: l’interesse emozionale nei confronti degli altri e lo scambio reciproco di favori. E la ricerca ha dimostrato che queste sono già presenti in bambini di uno o due anni, molto tempo prima che possa esser loro trasmessa una qualsiasi forma di credenza religiosa[8]. Bambini messi di fronte alle proprie madri, appositamente istruite, che esprimevano emozioni come la tristezza o il dolore (con pianti o grida) reagivano con reazioni consolatorie appropriate; nei bambini di due anni la reazione era sistematica e si verificava anche in assenza di sollecitazioni e con persone estranee. I bambini dimostrano di reagire alle emozioni altrui e di consolare chi è in difficoltà anche prima di avere acquisito credenze religiose.

In altre ricerche, condotte da un gruppo di ricercatori dell’università Yale[9], a bambini di 10 mesi sono state mostrati dei brevi filmati in cui degli oggetti, forme geometriche semplici, triangoli, quadrati, cerchietti, ma dotati di “occhietti”, si ostacolavano o si aiutavano a vicenda. I bambini, successivamente invitati a prendere uno degli oggetti, mostravano sempre di preferire l’oggetto che si era comportato in modo amichevole, mostrando stupore quando in altri filmati uno degli oggetti si dirige spontaneamente verso la forma meno amichevole. Per esser sicuri che i bambini esprimessero davvero un grado di valutazione del comportamento sociale all’oggetto da “aiutare” furono tolti gli occhietti e, in questo caso, i bambini sceglievano per metà l’oggetto “esserino” aiutante e per metà quello ostacolante. Insomma i piccoli umani manifestano molto precocemente la capacità di valutare in modo diverso gli attori sociali, in funzione del loro comportamento verso terzi, preferendo coloro che aiutano rispetto a coloro che ostacolano e attribuendo anche agli altri le loro stesse preferenze. Inoltre manifestano preferenze diverse anche quando non conoscono gli attori in gioco e non subiscono conseguenze dirette dalle azioni di questi ultimi. In altre parole, già a 10 mesi i bambini sembrano capaci di formulare giudizi che possiedono almeno una delle caratteristiche essenziali dei giudizi morali veri e propri: sono disinteressati. I bambini più grandi hanno certamente capacità di giudizio morale più sofisticate. Tuttavia questi risultati dimostrano che alcuni fondamenti del concetto di giusto e sbagliato non hanno bisogno di essere insegnati esplicitamente dagli adulti e, men che meno, da adulti intenti a impartire un qualche insegnamento religioso.

E gli animali? Negli stessi esperimenti condotti dalle mamme che fingevano tristezza o dolore si poteva riscontrare come gli animali sociali di casa che assistevano a quelle manifestazioni di disagio cercavano di fare qualcosa, come ad esempio girare attorno al padrone in difficoltà. Questo risultato ha in questo caso un valore puramente aneddotico ma è ormai ampiamente dimostrato che gli animali sociali reagiscono alle reazioni altrui, con comportamenti specifici sia tra elementi della stessa specie che con quelli di altre specie.

E gli animali più prossimi al genere umano in termini evolutivi? Da studi condotti su moltissimi Primati, soprattutto piccole scimmie e scimmie antropomorfe[10] (oranghi, gorilla, scimpanzè e bonobi), sono emersi risultati sorprendenti e non inattesi da parte dei primatologi più attenti e degli studiosi di sociobiologia.

Una delle scoperte più drammatiche è stata quella che riguarda i macachi, che possono rifiutarsi di mangiare per giorni interi, fino a morire, se la loro alimentazione comporta la sofferenza di un altro macaco. In un lavoro che oggi non sarebbe più permesso, dato il maggior rigore delle norme attuali per la protezione degli animali, i macachi venivano addestrati a tirare una catenella per ottenere del cibo. Non appena queste scimmie si accorgevano che nel momento in cui tiravano la catenella veniva somministrata una scossa elettrica ad un altro macaco, smettevano immediatamente, rifiutandosi di continuare fino a lasciarsi morire letteralmente di fame, pur di evitare di infliggere dolore a un altro individuo. Le fortissime relazioni sociali presenti nei gruppi di macachi sono alla base di questo comportamento: l’inibizione ad agire e quindi a fare del male risultava ancora più marcata quando la vittima delle scosse era un individuo noto nel gruppo.

Si potrebbe obiettare che questo non dimostra la presenza di reale empatia, forse gli altri erano semplicemente disturbati dalle urla di dolore dell’individuo colpito dalle scosse, ma ricerche recenti hanno fugato qualsiasi dubbio con numerosi episodi documentati, soprattutto tra le scimmie antropomorfe che non smettono di sorprenderci.

Ancora Frans de Waal racconta di un bonobo femmina di uno zoo inglese che un giorno prese uno storno. Incitato dal guardiano a lasciarlo andare l’animale prese con molta cura l’uccellino distendendogli le ali e lanciandolo al di là della barriera del suo recinto. Purtroppo cadde poco lontano e il bonobo lo sorvegliò a lungo per proteggerlo dalla curiosità di un altro bonobo.

Le scimmie antropomorfe sono in grado di esercitare un comportamento di aiuto diretto verso uno specifico individuo, addirittura in questo caso di un’altra specie e, a questo punto, molti di voi ricorderanno l’episodio del bambino caduto nell’area dei gorilla in un altro zoo e protetto dall’intervento di uno di questi a proteggerlo dagli altri animali incuriositi.

Oltre a necessitare di reazioni emotive automatiche sotto forma di risposte motorie e involontarie (cambiamenti nel battito cardiaco, espressioni facciali) queste azioni richiedono anche la capacità cognitiva di capire le ragioni della sofferenza e del disagio altrui. Ma queste azioni si verificano solo come soccorso ad individui in evidente stato di difficoltà? Pare proprio di no.

In alcune ricerche effettuate presso l’istituto Max Planck[11] si sono confrontate le reazioni e le azioni di scimpanzè e bambini di 18 mesi nei confronti di persone, a loro non familiari, che non riuscivano a prendere oggetti per loro importanti: per esempio a queste persone era stato sottratto un bastone da parte di un altro individuo che lo aveva collocato fuori portata dalle prime ma raggiungibile per i bambini o per gli scimpanzè. L’aiuto strumentale si manifesta quindi anche nei confronti di un individuo che non riesce a raggiungere il suo scopo. E, qui sta il punto, siccome compare molto presto sia negli essere umani che negli scimpanzé, è probabile che fosse presente anche negli ultimi antenati comuni di queste due specie.

Empatia e altruismo

L’empatia è un'altra forma di comportamento presente nelle scimmie antropomorfe, e in antitesi all’opportunismo che spesso dimostrano gli uomini mostrando empatia nei confronti dei vincitori di uno scontro, negli scimpanzè accade spesso che un individuo che non ha partecipato allo scontro tra due altri individui intervenga alla fine per rassicurare l'individuo sconfitto, mettendo un braccio sulle spalle di quest'ultimo. La ragione di questi comportamenti non è del tutto chiara, dato che chi li mette in atto non ha interessi personali da difendere, non essendo una delle due parti coinvolte nello scontro, ed è chiaro che si tratta di comportamenti volti a ridurre il disagio e la sofferenza altrui. In un'altra ricerca di Frans de Waal si è infatti mostrato che i tentativi di consolazione vengono indirizzati più spesso verso gli aggrediti che verso gli aggressori e che si verificano più spesso nel caso di aggressione violenta che nei casi di aggressione lieve. Insomma il comportamento dei primati non umani presenta vari aspetti delle capacità empatiche che molti attribuiscono unicamente alla specie umana; è presente una vera e propria empatia cognitiva che consiste nel valutare le ragioni delle emozioni degli altri e che consente di aiutare consolare chi è in difficoltà o nel dolore.

Conosciamo la pratica del grooming[12], letteralmente spidocchiamento, e sappiamo anche che è la forma più comune di comportamento prosociale in cui la scimmia che lo attua cerca con cura e poi elimina gli eventuali parassiti che si nascondono tra i peli di un’altra scimmia. E questa pratica ha fornito le prove della presenza di forme di reciprocità nel comportamento dei primati non umani, in cui chi riceve il favore tende poi a ricambiarlo soprattutto nei confronti dell’individuo da cui lo ha ricevuto.

In un famoso esperimento sul campo[13] una coppia di etologi ha dimostrato la tendenza a restituire il favore del grooming nei cercopitechi verdi[14], piccole scimmie dell’Africa Orientale. Se ad esempio l’individuo A spulciava B, in un arco di tempo tra i 30 ed i 90 minuti dopo la fine della pulizia, non appena A usciva dal campo visivo di B, lo sperimentatore faceva partire le vocalizzazioni di A da un registratore precedentemente nascosto in un cespuglio, registrate in precedenza mentre A cercava l’aiuto da parte di qualche altra scimmia. Ebbene, la scimmia che reagiva più intensamente era proprio B, con reazioni che riguardavano scimmie non imparentate tra loro dimostrando un vero e proprio altruismo reciproco e non un caso di selezione di parentela (la tendenza a favorire la sopravvivenza di individui che portano parte dei propri geni). Fu inoltre dimostrato che gli individui a cui era stato fatto il grooming ricambiavano in modo sostanziale il beneficio ricevuto permettendo ad esempio all’individuo A di prendere una parte del cibo di B senza che questi reagisca; e va fatto notare che nel caso di qualsiasi altro individuo diverso da A la reazione sarebbe stata immediata e violenta.

Per quanto riguarda gli scimpanzé, le cui relazioni sociali sono di ordine decisamente più complesso che non quelle dei cercopitechi, lo scambio di cibo e il grooming rappresentano l'esempio di altruismo reciproco più elaborato sul piano cognitivo che mai sia stato documentato in animali non umani. Per poter scambiare adeguatamente il beneficio ricevuto gli scimpanzé devono memorizzarlo e in un momento successivo restituirlo ad uno specifico individuo elaborando un atteggiamento positivo verso quest'ultimo: noi esseri umani diremmo che devono provare gratitudine nei suoi confronti.

Anche se la reciprocità può esistere al di fuori della moralità non esiste moralità senza reciprocità, e in una sorta di quid pro quo[15] il primo passo nella direzione della regola aurea citata all’inizio è stato compiuto da creature che hanno iniziato a seguire la norma di reciprocità «Fai come ha fatto l’altro, e aspettati che l’altro faccia come hai fatto tu.». E siamo tornati alla parabola del Buon Samaritano da cui siamo partiti.

Tutto questo senza divinità, regole preimpostate e religioni.

Letture consigliate:

Frans de Waal, “Naturalmente buoni. Il bene e il male nell'uomo e in altri animali”. Garzanti, 2001.
Richard Dawkins, “L’illusione di Dio (the God delusion)”, Mondadori, 2006.
Piergiorgio Odifreddi, “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”. Longanesi, 2007.
Vittorio Girotto, Telmo Pievani, Giorgio Vallortigara, “Nati per credere”. Codice Edizioni, 2016.


[1] Vangelo secondo Luca (10, 25-37)
[2] Darley e Batson. 1973
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Culto_del_cargo
[4] Paul. 2005
[5] Putnam. 1993
[6] https://giuri.elearning.unipd.it/pluginfile.php/30715/mod_resource/content/1/Euristiche.pdf
[7] http://uncinquantennequalunque.blogspot.com/2022/12/laccettazione-della-teoria.html
[8] Zahn-Waxler. 1992
[9] Bloom. 2007
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Hominoidea
[11] Warneken e Tomasello. 2005
[12] https://it.wikipedia.org/wiki/Tolettatura
[13] Seyfarth e Cheney. 1984
[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Chlorocebus_pygerythrus
[15] Forma anglosassone del più noto do ut des

sabato 22 aprile 2023

Tagliatemi la gamba! La xenomelia.

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No, non è la richiesta di un folle o di un soldato gravemente ferito che sa che morirebbe se non venisse amputato (anche se in genere non lo chiede nessuno…).
Ma è l’esplicito desiderio da parte di molti individui, per lo più maschi, di togliersi di dosso un arto, per lo più la gamba sinistra, avvertito come estraneo, opprimente, di troppo, ingombrante: e talmente fastidioso da rendere la vita di costoro quanto meno complicata, l’antitesi degli amputati che continuano per mesi, a volte per anni, ad avvertire la presenza dell’arto perduto. Ma costoro, sofferenti di xenomelia (dal greco xenos, straniero, e melos, arto), dopo l’amputazione è come tornassero a nuova vita, felici di aver finalmente perso quel che consideravano un corpo estraneo, di troppo. Un arto sano, ovviamente ma meglio precisare, e che non presenta problema alcuno in tutte le sue funzionalità, a cominciare dalla deambulazione nel caso di una gamba.

Questa malattia, che di questo si tratta, un tempo, secondo la psichiatria tradizionale, era classificata come derivante dal desiderio represso di essere invalidi, coinvolgendo retroscena sessuali. Nulla di tutto questo: è ormai appurato che si tratta della necessità di liberarsi di un’oppressione che ha una base organica congenita.

Già alla fine del XVIII secolo un chirurgo francese ricorda che dovette amputare la gamba ad un ricco signorotto inglese che glielo ordinava puntandogli una pistola alla testa! E dopo l’operazione l’inglese manifestò con gratitudine al medico la ritrovata felicità! In altri casi, e ce ne sono anche di molto recenti, altri medici raccontano della necessità di amputare, sempre su richiesta dei pazienti, per ovviare ai dichiarati istinti suicidi. Non sono rari nemmeno i casi di persone che hanno tentato amputazioni in autonomia, con conseguenze quasi sempre tragiche, a volte tentando l’assideramento del solo arto (come nella ricostruzione di fantasia della foto (fonte Medicina Online). L’amputazione, dal loro punto di vista, ristabilisce il senso di organicità e integrità del corpo, nonostante la menomazione!

Tutto deriva da lesioni di un’area della corteccia cerebrale sensoria del cervello.

Messa da parte la psichiatria le neuroscienze oggi hanno dimostrato che si tratta di un disturbo organico dell’integrità del senso del corpo, mediato dalla corteccia del lobo parietale destro. Quest’area del cervello è fondamentale per il senso del corpo e per l’orientamento spaziale. Le indagini strumentali hanno dimostrato che, nei pazienti sofferenti di xenomelia, in quell’area del cervello ci sono delle zone a ridotta attività cerebrale che pur bastando per dare sensibilità di posizione e superficiale, crea problemi di integrazione rendendo ossessivo l’arto.

Che il cervello sia decisamente quanto di più complesso esista nell’intero Universo è cosa nota. E questo ne è solo un piccolissimo esempio.

Postulato ancor più tragico

La tremenda coincidenza di eventi nervosi casuali porta i meccanismi del cervello a determinare una volontà sulla quale la coscienza non può nulla perché anch’essa è il prodotto di un meccanismo nervoso che, in determinati frangenti, non è in grado di agire diversamente. E se a ciò si associa la non infrequente perdita del senso del tempo possono derivarne, rese spiegabili dalle neuroscienza, quelle enormi tragedie che sono i casi di bambini dimenticati in macchina sotto il sole cocente da padri e madri normali, affettuosi e premurosi.

Il nostro cervello è l’organo che necessita e consuma da solo la maggioranza dell’energia a disposizione (ben il 25% del totale a disposizione) e l’insufficienza di energia è la causa per cui tutti i meccanismi della coscienza e della memoria non possono essere alimentati contemporaneamente. Se un compito prevale sugli altri diventa l’unico contenuto della coscienza. Il pensiero, ovvero la memoria, dei gigli in macchina sotto il sole dovrebbe avere prevalenza assoluta, ma se i centri nervosi dell’attenzione e della memoria sono inattivi perché l’energia è impiegata in altri meccanismi questo non è più vero.

C’è una teoria scientifica estremamente accreditata, la Global Workspace Theory, cui contribuiscono i maggiori centri di ricerca del mondo, che spiega un orrore della natura di cui tutti sono vittime e nessuno è colpevole e responsabile, e dovrebbero tenerne conto i giudici, come poche volte è stato fatto. Quella di rimanere in ufficio anziché provvedere al bambino in automobile non è mai stata una decisione cosciente, in senso neurologico stretto, voluta senza che i meccanismi della memoria e della coscienza siano stati ingaggiati. E ciò non può che confermare che la volontà è un evento rigorosamente naturale.