In termini cosmici la mia esistenza non ha senso: o meglio l'unico senso della mia esistenza è il fatto stesso che io esisto. Lo scopo della mia vita? "Lo scopo è vivere". Una tautologia che vale sempre la pena di tenere a mente.
Quindi, dal punto di vista del cosmo, la mia esistenza non ha un senso né uno scopo né alcuna necessità (non c'è da vergognarsene - varrebbe lo stesso anche per Dio, se Dio esistesse). Io sono qualcosa di accidentale, di contingente. Avrei potuto benissimo non esistere.
"Benissimo" quanto? Facciamo un piccolo calcolo. Appartengo alla razza umana e perciò possiedo un’entità genetica precisa. Il genoma umano consiste di circa trentamila geni attivi. Ognuno di essi ha almeno due varianti, o “alleli”. Quindi, il numero di identità geneticamente distinte che il genoma può codificare è pari ad almeno 2 elevalo alla trentamilesima – a spanne, 1 seguito da diecimila zero. E’ il numero degli individui potenziali permesso dalla struttura del DNA.
E quanti individui potenziali sono esistiti davvero? Secondo le stime, da quando esiste la nostra specie, sono nati circa 40 miliardi di esseri umani. Arrotondiamo a 100, per prudenza. Questo significa che la frazione di esseri umani geneticamente possibili venuti al mondo è meno di 0,00000…000001 (inserire circa 9.979 zeri al posto del puntini). La stragrande maggioranza degli umani geneticamente possibili è fatta di spettri non ancora nati(1). Ecco a quale fantastica lotteria ho dovuto vincere – e voi con me – perché la mia candelina si accendesse. Se non è il massimo della contingenza, poco ci manca.
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Non riesco a non sentirmi meravigliato di esistere – e che l’universo sia riuscito a produrre i pensieri che ribollono adesso nel flusso della mia coscienza.
Tuttavia lo sconcerto che provo pensando alla mia improbabile esistenza ha un curioso contrappunto: la difficoltà di immaginare la mia pura non-esistenza. Perché è così difficile immaginare un mondo senza me, un mondo in cui non ho mai fatto la mia comparsa? In donfo so di essere un dettaglio tutt’altro che necessario della realtà.
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Lo so: la sensazione che la “qualcosità” del reale dipenda dalla mia esistenza è un’illusione egocentrica. Ma non perde il suo notevole fascino neanche se la considero tale. Come posso restarne immune? Forse tenendo bene a mente che il mondo se l’è cavata benissimo senza di me per secoli e secoli, prima del mio improbabile e improvviso risveglio dalla notte dell’incoscienza, e che continuerà a cavarsela senza intoppi anche dopo il mio prossimo ed inevitabile momento in cui a quella notte farò ritorno.
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Se la mia nascita è accidentale, la mia morte è una necessità.
Estratto da Jim Holt “Perché il mondo esiste?”
(1) NdR: e che non avranno mai modo di nascere.