Per quasi 40 anni ho fatto foto, ma soprattutto diapositive, anche molto belle a detta di chi le osservava, e per tutto quel lungo periodo con una magnifica Yashica FX3 rigorosamente "manuale". Partendo da zero, con il solo manuale di istruzioni a corredo della giapponese, molto ben fatto, che ti spiegava concetti come la profondità di campo o la sottoesposizione…
Una Yashica proprio come questa in foto, con la pelle in rosso cambiata dopo che quella originale si era screpolata!
E col tempo ho arricchito, con non poca spesa, il 50 mm a corredo della macchinetta con una serie di obiettivi faticosamente comprati nel corso degli anni. Un 80-200, 28-135 ritenuto pressoché universale vista l’ampia gamma di usi, un Fish Eye e persino una lente per macrofotografie.
E poi come tanti sono anch'io passato al digitale, per praticità soprattutto e con una piccola compatta visto che non mi sembrava il caso di portarmi ancora a tracolla un paio di chili di attrezzatura! Per carità, nulla da dire. Semplicissima, scatta e vai e quella che scelsi come prima già nel 2008 addirittura in grado di essere utilizzata in modalità di programmazione, quasi manuale. Quella attualmente in mio possesso, sempre compatta, con tante di quelle funzioni da farla sembrare più un complesso videogioco che non una macchinetta fotografica. Ma alla fine la uso sempre in automatico.
Peccato però che la proliferazione del digitale ha introdotto, secondo me, parecchi elementi di disturbo ed ha rovinato quella parte romantica se volete ma indiscutibilmente di valore: quella "poesia" che aleggiava intorno al concetto di fotografia e soprattutto del fotografare.
L’attesa.
Un tempo una volta completato un rullino, magari in tempi non vacanzieri dopo mesi dall'acquisto, si portava dal fotografo e si attendeva come minimo qualche giorno per avere i risultati stampati: e nel frattempo ci si chiedeva come saranno venute? E quella foto scattata quella sera al tramonto? Avrò calibrato bene la luce? E quell’altra del bimbo in corsa, avrò azzeccato i tempi corretti? E poi col tempo imparavo a fidarmi del mio istinto, a regolare tempo ed apertura a naso, magari con un minimo aiuto che veniva dall’esposimetro incorporato nella Yashica con i suoi + e – rossi ed il pallino verde di vai tranquillo e preoccupati di quel che vedi. Per non parlava dei piccoli miracoli che l’ottico di fiducia faceva nel correggerti magari qualche foto sotto o sovraesposta.
Il dettaglio.
Quanto tempo a volte passava tra l’inquadratura e lo scatto? La ricerca del particolare in quell’angolino di mondo isolato che era l’oculare del TTL; ed il trucco insegnatomi da un mio zio di tenere aperto anche l’altro occhio a correlare il mondo rigorosamente analogico con le informazioni inviate alla retina che stava invece guardando un mondo filtrato da un complesso sistema di lenti. E quante volte ho premuto l’otturatore a vuoto senza sentire il click dopo tanta preparazione…solo perché avevo dimenticato di ricaricare! E le foto notturne? Le pose lunghe? Che meraviglia attendere l’istante per quel click in differita con l’autoscatto dopo una lunga apertura. E raramente, ma molto raramente, si ripeteva lo scatto. Troppo costoso a volte fare fotografie per permettersi di sprecare una posa.
La sorpresa.
E dopo aver magari atteso a lungo arrivare a casa e mettersi a sfogliare le foto fresche di stampa, da solo od insieme ai tuoi cari. A volte almeno un centinaio di ritorno da una vacanza. Assaporarne con gli occhi i toni, i colori, i dettagli. Fare delle piccole critiche e ricordarsi di far meglio la prossima volta. Che peccato quel panorama, non avevo notato quella foschia! Fare attenzione a mantenerne l’ordine cronologico, scegliere le migliori (tutte!) da inserire in album di raccolta da conservare e catalogare.
Tutto questo è andato perduto come lacrime nella pioggia avrebbe detto ancora una volta “Roy Batty/Rutger Hauer”.
Il digitale ha portato la fotografia ovunque e dovunque. Ha volgarizzato la cosa in tutti quei sensi che porta con sé il termine relativo al diffondere a livello popolare qualcosa. Niente più attese, sorprese, attenzione ai dettagli: scatta e vai, guardala una volta nel display per assicurarsi che sia venuta, riguardala magari nel PC quando la scarichi e poi non la riguarderai forse se non un’altra volta se va bene. E quelle orribili bande nere ai lati delle pose in verticale? E che ne fa più di foto verticali? Che peccato.
E niente più album da sfogliare ma, lasciatemi dire, sterili raccolte che scorrono spesso tristemente sul display di un televisore che dev’essere enorme per catturare l’attenzione su dettagli inutili e perdere l’insieme. Quelle proiezioni poi che costringono all’attenzione quanto un tempo le odiose sale buie costringevano all’attenzione annoiati ospiti di altrettanto noiose proiezioni di diapositive! Un album invece e la sua capacità di poterlo sfogliare con attenzione vera o fingendola accontentando l’ospite di turno.
Certo il digitale è comodo, come negarlo? Io stesso ne sono un fruitore spesso compulsivo con centinaia di scatti per ogni vacanza tanto poi cancello e non cancelli mai nulla se non quelle in cui tua moglie grida d’esser venuta orribile e se non la cancelli saranno guai! E se così non fosse quanta fatica avrei fatto per inserire al volo questo paio di immagini in questo post?
Ed ora che la tecnologia che fino a qualche anno fa era considerata sofisticata per una compatta è a disposizione sugli smartphone non occorre più neanche andare a cercarsi un tipo di macchinetta particolare. Basta un telefono, è tutto lì.
Ma se penso alla moda dei selfie, e soprattutto a certi selfie, allora mi scatta una molla fetente e parecchio bastarda che mi porta a pensare che quella della diffusione di massa di certe tecnologie è controproducente, con degli effetti collaterali fastidiosi…più o meno come il suffragio universale insomma!
E così l’antico adagio che recitava come un’immagine valesse più di mille parole ha perso completamente significato in questo mondo iperfotografato con immagini ripetitive e noiose fino alla nausea; purtroppo gli autori molto spesso oltre a tempestarci di inutili immagini ci aggiungono anche le mille parole, inutili e per lo più sbagliate in questo mondo che oltre tutto è un mondo parolaio con commenti a vanvera sulle già stupide immagini.
Aneddoto. Ricordo la prima volta che un amico mi chiese di fargli una foto con una delle prime “superautomatiche”: non erano ancora compatte ma già i display ad LCD e le prime impostazioni “auto” apparivano. Lo incontrai qualche settimana dopo e mi raccontò che di tutte le foto scattate con quel rullino l’unica mossa era quella che gli avevo fatto io!