Duo genera sunt, ut Posidonio placet, quibus movetur terra. Utrique nomen est proprium: altera succussio est, cum terra quatitur et sursum ac deorsum movetur, altera inclinatio, qua in latera nutat alternis navigii more. Ego et tertium illud existimo quod nostro vocabulo signatum est; non enim sine causa tremorem terrae dixere maiores, qui utrique dissimilis est; nam nec succutiuntur tunc omnia nec inclinantur sed vibrantur, res minime in eius modi casu noxia; sicut longe perniciosior est inclinatio concussione: nam nisi celeriter ex altera parte properabit motus qui inclinata restituat, ruina necessario sequitur (Seneca, Naturales quaestiones – Qui la traduzione)
Tre erano i tipi di terremoto secondo Seneca. Ne aggiungo un quarto: il terremoto italiano.
Ancora una volta mi trovo a scrivere su queste pagine di terremoti e delle loro conseguenze, ma soprattutto delle conseguenze dell’inettitudine umana, unico elemento prevedibile in tutto questo o quanto meno misurabile. Come è possibile tollerare oltre questo terribile deja vu di chiacchiere e promesse? Com’è possibile definire moderno un paese che si straccia le vesti piangente e che si consola dietro la grande umanità, la enorme solidarietà, l’unità dimostrata nel momento del bisogno?
Si dice, ed è molto probabilmente vero, che l’Italia abbia la migliore Protezione Civile del mondo, che sia stata inventata qui, all’indomani del devastante terremoto friulano del 1976: in un paese civile che si rispetti la Protezione Civile dovrebbe passare la maggior parte del tempo a girarsi i pollici perché in un paese civile tutto dovrebbe essere demandato alla prevenzione. Ma nonostante la prevenzione sia suo mandato fondamentale accade invece che quella dai danni causati da eventi naturali -frane, terremoti, inondazioni ed eruzioni vulcaniche- si rivela ahimé, ad ogni loro verificarsi, pressoché inesistente.
Un terremoto da solo non uccide, ciò che uccide sono i manufatti umani, le abitazioni inadatte a dare a chi le occupa quanto meno il tempo e la possibilità di uscire di casa soprattutto se si rapporta all’intensità di quest’ultimo evento.
Il terremoto di suo è un evento naturale e la cosa si ferma qui: non esiste la catastrofe naturale del tutto indifferente alla nostra presenza, esiste solo la nostra incapacità di convivere in un territorio geologicamente giovane e proprio per questo ad altissimo rischio. Dobbiamo quindi assumercene la responsabilità, una responsabilità che finora non è stata presa da nessuno e che viene riciclata periodicamente (statisticamente l’Italia subisce un terremoto distruttivo ogni 5 anni) parlandone per qualche mese, reiterando la solita sequela di polemiche sterili e che ben presto viene dimenticata con la labilità della memoria umana che tende a rimuovere i traumi rapidamente, spesso anche da parte delle vittime stesse che quando non abbandonano il territorio si affidano ad un macabro fatalismo.
I geologi, categoria di professionisti che appare dal nulla ad ogni catastrofe del genere, lo ricordano sempre. Purtroppo sempre dopo visto che nei periodi di intervallo restano inascoltati o peggio, loro stessi tacciono crogiolandosi nel benessere momentaneo della quotidianità.
Il terremoto che ha colpito la zona appenninica tra i Monti della Laga ed i Sibillini è un tipico terremoto italiano: avviene in una zona rurale, marginale e tra collina e montagna, dove si è costruito, anche in tempi recenti, male e senza progettazione antisismica moderna, dove spesso si sono usati materiali di risulta, dove non si è posta mano né al risanamento né alla ristrutturazione e poi, quando il terremoto arriva, ed arriva , tutti cascano dal pero sbalorditi come se il terremoto fosse una fatalità inevitabile.
Centri abitati con numero di residenti invernali diversi ordini di grandezza inferiori a quelli estivi, con piccole frazioni di qualche decina di abitanti e paesi da uno a poche migliaia di abitanti. Dove molte vecchie case destinate alla villeggiatura estiva, laddove non ereditate da genitori o nonni, sono state comprate a prezzo di realizzo, e ristrutturate negli interni, con nuovi impianti di riscaldamento, bagni ed infissi alla moda ma senza la cura minima per l’aspetto strutturale antisismico, con nemmeno una verifica di tetti, solai, scale e vie di uscita. Negli anni vecchie stalle ristrutturate come appartamenti, strutture turistiche di tipo bed & breakfast ed agriturismi sorti dal nulla ogni poche centinaia di metri, migliaia di euro spesi per fare una piscina e neanche uno per ancorare un solaio ma che dico, per ancorare a muro un armadio che ti crolla sul letto alla prima scossa intrappolandoti!
Ed a questo si aggiunge quella sorta di fatalismo ignorante che fa dimenticare di vivere in un territorio classificato ad elevato rischio sismico, il massimo.
Sono zone sismiche, come tantissime altre in Italia, non definibili tali da qualche secolo, ma fin dai tempi di Cicerone e Tacito le cronache di raccontano di episodi sismici importanti, tali da essere annotati anche allora: stiamo parlando quindi di una delle zone più tipicamente sismiche dell’Appennino e chi, come me, ha studiato geologia, sa bene che da quelle parti esistono linee tettoniche note a livello mondiale e che coincidono con i piani di scivolamento e stiramento di una parte dell’Appennino centro meridionale rispetto a quella nord-orientale. Rimando al blog di Aldo Piombino per gli approfondimenti.
Ma se anche un ospedale, come quelli di Amatrice e di Amandola, e come già successo all’Aquila, una caserma dei Carabinieri, una prefettura, non reggono ad una scossa sismica del genere, mi convinco che la modernità ostentata dal mio paese sia solo apparenza e che in realtà vivo in un paese rimasto al medioevo degli scongiuri e delle processioni. Scosse queste ultime tutto sommato non così forti come si potrebbe pensare a giudicare dalla distruzione che ha seminato. E un albergo che si sbriciola come un biscotto, una scuola che poteva essere piena di bambini o di ragazzi e che si scopre persino andata soggetta a ristrutturazione e di recentissima inaugurazione (Amatrice, 2012)!
E’ stato un terremoto che da punto di vista energetico, rispetto a quello de L’Aquila del 2009, molto meno intenso: ricordando che la magnitudo Richter esprime un valore su scala logaritmica, nel passare dal 6.9 de L’Aquila al 6.0 di Accumoli, la differenza non è solo quello 0,9, ovvero quasi 1 punto, ma in termini di potenza significa decine di volte meno distruttivo ma che però ha prodotto un danno che a vederlo sembra più grave di quello subito da L’Aquila stessa, se si basasse l’analisi sul numero di vittime considerando la maggior densità abitativa della cittadina abruzzese.
Un terremoto del genere, in paesi dove prevenzione antisismica e costruzione adeguata sono all’ordine del giorno come Giappone o California, avrebbe provocato al massimo un gran polverone con successiva spazzolata via, da noi invece contiamo i morti.
Come è possibile che si possa continuare a tollerare e sopportare questa oscenità? Si dice che in questi momenti, quando ancora potrebbero esserci persone sopravvissute da tirare fuori dalle macerie, le polemiche debbano esser messe da parte. E invece secondo me è proprio questo il momento di fare polemica con chi e contro chi non ascolta i moniti, gli avvisi, le raccomandazioni ma soprattutto nei confronti di chi continua a crogiolarsi nell'ignavia e nella presunzione e molto di più contro chi non è stato in grado, in oltre settant'anni di Repubblica, di far valere le posizioni che potrebbero salvare vite.
Quante volte è stato detto che cose del genere non si dovevano ripetere più? E quante volte invece ci siamo trovati davanti alla replica dei medesimi episodi con le medesime parole nelle orecchie? Ancora una volta ad estrarre sopravvissuti e morti da sotto le macerie, a diffondere immagini strazianti di chi ha perso tutto in qualche decina di secondi. Evidentemente chi sta sul territorio non fa quel che deve fare, come minimo mettere sotto controllo le strutture pubbliche più importanti e chiedersi se reggeranno o meno ad un terremoto; anche i cittadini dovrebbero essere indotti, magari con sgravi fiscali se non obbligati per legge, a ristrutturare in maniera antisismica le loro abitazioni.
Ad ogni terremoto così tipicamente italiano, nella sua tragicità e nei suoi effetti, vediamo sempre i medesimi effetti sulle abitazioni: pareti con crepe incrociate ad x da cui non si scampa, una struttura così lesionata è condannata. Solai staccati dalle pareti che crollano uno sull’altro in un tragico effetto quando sarebbero bastate chiavi di ferro infilate nel muro ad evitarlo.
Ricordiamo che molti centri dell’Appennino ristrutturati di recente a seguito di terremoti precedenti, e persino in epoca medievale reggono egregiamente ai terremoti perché fatti bene! Non è necessario il cemento armato, si può fare anche con la muratura e Santo Stefano di Sessanio (AQ) ne è un esempio che ha retto benissimo al terremoto del 2009 e Cerreto Sannita (BN) regge a qualsiasi terremoto da oltre 400 anni. Ed attualissimo il caso di Norcia che è stata epicentro di una delle scosse maggiori ma che ha saputo trarre insegnamenti importanti dai terremoti precedenti, soprattutto da quello del 1979.
Si possono fare bene queste cose risparmiando vite e denaro sapendo inoltre che in Italia finora si è speso molto di più a riparare i danni dei terremoti di quanto sarebbe stato necessario per prevenirli.
Ed è un terremoto italiano soprattutto perché uccide e distrugge quando altrove non avrebbe avuto i medesimi effetti.
E’ paradossale ma proprio quando sembra che le forze dell’ordine stiano lavorando bene ad evitarci un attentato terroristico, questo sì davvero imprevedibile come un terremoto e altrettanto impreventivabile, ce ne stiamo inerti in attesa di questi suicidi di massa periodici. O dovrei dire omicidi?
Arrivederci tra un quinquennio.