Premessa storica.
Dopo il terremoto dell’Irpina del 23 novembre 1980 per rilanciare 20 zone industriali tra Campania e Basilicata vennero stanziati 7.762 miliardi di lire (circa 8 miliardi di € del 2010). Il costo finale fu dodici volte superiore al previsto in provincia di Avellino e diciassette volte in provincia di Salerno. Secondo la relazione finale della Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a punte «di circa 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie». Il 48,5% delle concessioni industriali (146 casi) venne revocato. La Corte dei Conti accusa «la superficialità degli accertamenti e l'assenza di idonee verifiche», approvate senza «adeguatamente ponderare situazioni imprenditoriali già fragili e già originariamente minate per scarsa professionalità o nelle quali la sopravvalutazione dell'investimento, in relazione alle capacità imprenditoriali, ha portato al fallimento dell'iniziativa». Nel 2000, 76 aziende risultavano già fallite, ma solo una piccola parte dei contributi (il 21% nella provincia di Salerno) era stato recuperato. Io stesso ho visto decine di vecchie stalle abbandonate, spesso a decine di km dalla zona sismica, trasformate in lussuose ville grazie ai fondi ricevuti.
Molte altre volte (qui, qui e ancora qui ad esempio), fin dall’inizio della vicenda, ho parlato del terremoto de L’Aquila 6 aprile 2009 e l’ho fatto anche per parlare di sismologia, di geologia, di rischio e di prevenzione nel nostro paese. Paese in cui, nonostante l’ingresso nell’era moderna, nessun governante ha mai capito veramente cosa voglia dire vivere e produrre in una delle zone tra le più sismiche nel mondo e con un territorio in cui le zone veramente prive di sismicità si contano in punta di dita.
E la città abruzzese presa, non solo per la sua bellezza così adagiata sotto il gigantesco massiccio del Gran Sasso, ad esempio della miopia, dell’inettitudine, dell’incompetenza e della macroscopica imbecillità di chi potrebbe manovrare le giuste leve per fare davvero prevenzione visto che, lo ribadisco, la previsione non è percorribile; anche lo fosse comporterebbe comunque piani ben coordinati di gestione dell’emergenza, come nel caso delle zone vulcaniche (Vesuvio ed Etna tra i tanti) che, ancora una volta in Italia, sono inesistenti.
E così oltre all’assoluta mancanza di competenze e dopo aver assistito anno dopo anno alla morte della città, dove tutto è fermo fin dal 6 aprile 2009, dove nulla è stato fatto, e basta passare per i 2 km scarsi di via XX settembre per rendersi conto della stasi, ancora una volta assistiamo a quanto già visto in altre occasioni, a quei terribili e nauseanti deja vu del malaffare, della speculazione a danno degli innocenti, degli onesti e di chi ha perso da qualcosa a tutto.
E dopo aver scoperto nel 2010 che un paio di sciacalli alle 3.32 di quella notte ridevano, le proteste degli aquilani e le manganellate date loro per aver osato protestare, sembrava aver toccato il fondo. Ma al peggio non c’è mai fine si dice e così a distanza di quasi 4 anni si scopre che nulla è cambiato rispetto agli stessi metodi che in tanti altri disastri nazionali sono stati la normalità. La corruzione fatta sistema dopo aver definito il terremoto un colpo di culo, un’occasione d’oro per mettere le mani sui milioni di euro che sarebbero arrivati.
Mani sulle gare d’appalto per lavori di ricostruzione mai iniziati, tangenti su milioni di euro versati per innalzare recinzioni di plastica e sulla carta chiamarle cantieri, sulla costruzione delle famose unità abitative ultra moderne fatte realizzare da Berlusconi e dalle sue imprese in tempi record senza però avvisare gli occupanti che passata l’emergenza avrebbero dovuto comprarsele! E pur se l’emergenza non sembra aver fine le richieste di soldi sono già arrivate costringendo centinaia di famiglie a tornare nei container o ad arrangiarsi in proprio.
Eppure sembrerebbe che molto sia stato già fatto ed io stesso su queste pagine ho messo in evidenza come non tutto è ripristinabile esattamente com’era, che non tutti i campanili od i palazzi storici devono necessariamente avere finanziamenti se non alla fine, se proprio avanzano soldi: ci sono insomma priorità evidenti. Ma in tutto questo quanto altro ancora si sarebbe potuto fare senza il malaffare sistematico?
Inutile fare gli esempi noti del Giappone che dopo il terremoto di Kobe del 1995 scoprì che c’era stato malaffare e corruzione nella costruzione dei manufatti che non sarebbero dovuti crollare e mise in galera centinaia di amministratori pubblici ed imprenditori privati; ed a nulla servirebbe ricordare ancora una volta lo stesso paese che nel giro di pochi mesi rimise in sesto tutte le infrastrutture dopo il devastante tsunami del 2011.
Dal terremoto dell’Irpina sono passati poco più di 30 anni, nel frattempo sono cadute repubbliche e cambiate intere classi dirigenti e scuole di pensiero. Ma in questi casi ancora una volta il risultato sembra il medesimo a ricordarci che non sono criminalità e malaffare a creare cattivi amministratori ma è la cattiva amministrazione che attira come mosche il miele criminali e delinquenti. Nulla è cambiato ed anzi è peggiorato: si è passati dai pochi grandi burattinai che hanno fatto soldi a danno della maggioranza spartendosi ricche torte di denaro pubblico tra pochi eletti all’interno della casta ad un sistema generalizzato e diffuso dove anche l’ultimo degli uscieri comunali vuole averne parte, dove, per dirla alla Fiorito, rubbaveno tutti.
Effetto di una connivenza tutta italiana con situazioni che nascono e fioriscono dalla e con l’ignoranza: l’ignoranza, l’incompetenza e l’ignavia dantesca della stragrande maggioranza dei nostri concittadini che non hanno mai letto un libro, che l’unica cultura che ricevono è quella televisiva e che persino chi legge almeno un quotidiano ogni tanto ignora che quell’informazione è controllata e manipolata tanto da relegarci parecchio in fondo nella classifica del grado di libertà di stampa.
Un paese di ignoranti, stupidi e furbetti pronti ad approfittare di un qualsiasi vantaggio personale a scapito di chiunque sia fuori della cerchia di amici e parenti in milioni di microcosmi egoisti ed isolati che pretendono di chiamare società. La gran parte degli italiani esattamente com’era fascista la (gran parte(gran parte(gran parte(…)))) fino all’aprile del 1945 salvo sparire nel nulla fin dal mese successivo.
E tutto a breve sarà di nuovo dimenticato…beata ignoranza diceva qualcuno sapendo che così avrebbe aumentato il controllo.
E L’Aquila? L’Aquila in tutto ciò è solo un numero di morti, in questo caso piccolo, ed un numero, parecchio più grande, che indica cittadini noti solo alla statistica dei censimenti.