La Germania di inizio secolo XX, a differenza degli altri paesi moderni, era quella che forse più di tutte aveva una struttura antiquata: un anacronismo con una federazione di 27 regni, ducati, principati e “città libere e imperiali” tra le quali la più importante di queste componenti era la Prussia, il cui re Hohenzollern, a norma della costituzione imperiale del 1871, aveva anche il titolo di imperatore tedesco. Imperatore che nominava il cancelliere che a sua volta nominava i “segretari di Stato” che erano i reali depositari del potere esecutivo tanto che «l’esercito prussiano giurava fedeltà all’imperatore e non al popolo tedesco». E l’imperatore allora era Guglielmo II di cui si narra fosse un emerito incompetente incapace persino di seguire le proprie scelte sbagliate e temuto dai suoi stessi ufficiali che erano terrorizzati all’idea che questi potesse decidere di assumere direttamente il comando delle forze armate in tempo di guerra.
Uno dei primi clamorosi errori di Guglielmo II fu quello di far cadere un trattato con i russi per disprezzo verso Bismarck e l’aura di gloria che ancora accerchiava l’anziano generale: in tal modo fu completata quella sorta di accerchiamento ai danni della Germania stretta tra paesi tutti suoi nemici. Un sovrano assolutamente medievale convinto di poter condurre ancora la guerra in tal modo utilizzando truppe che avrebbero dovuto avere spirito primitivo e sanguinario (da lì a poco i Freikorps prima e le SA naziste dopo avrebbero dimostrato quanto questo spirito fosse così forte in simili mentalità).
Così un po’ per quello che quell’uomo era ed un po’ per quello che si credeva fosse la guerra fu considerata conseguenza inevitabile ed alla fine scoppiò davvero: non tanto per ragioni oggettive o perché qualcuno dell’alto comando l’avesse progettata, ma semplicemente per effetto del peso cumulativo delle convinzioni dell’una e dell’altra parte. Gran Bretagna, Francia e Russia si sentivano minacciate, la Germania circondata. La soluzione della faccenda non poteva essere rimandata oltre.
A differenza della guerra franco-prussiana del 1870 (nell’immagine qui sopra Napoleone III e Bismarck dopo Sedan), che Bismarck aveva preparato con cura e fatto scoppiare deliberatamente, la I guerra mondiale iniziò quasi per caso. Prendendo a pretesto un normale assassinio politico tutte le parti si gettarono in una mischia confusa, inglesi e francesi senza piani di sorta, i tedeschi con un piano rabberciato ed improvvisato. L’Italia addirittura mantenendo una meschina neutralità fino al 1915 per non smascherare la sua mancata volontà di entrare in guerra al fianco degli alleati de “La Triplice”.
Quello che seguì fu un conflitto più raccapricciante e stupido, più assurdamente distruttivo di tutti quelli che figurano nella lunga, sanguinosa storia dei professionisti della guerra, compreso quello in cui sarebbero incappati vent’anni dopo.
Ma a differenza dei vecchi tempi la radice dei loro guai non fu la semplice ignoranza tipica delle menti medievali, bensì la tipica ottusità accademica che scaturisce ogni qualvolta che uomini privi di qualsiasi predisposizione naturale per le idee sono ugualmente costretti ad imbottirsene la testa.
Lo sviluppo dell’artiglieria, già dimostrato a Sedan e nella guerra russo-giapponese del 1904-1905, aveva fatto capire che se ognuno dei due contendenti si mette sulla difensiva diventa pressoché imbattibile e condannato all’insuccesso quando tentava di passare all’offensiva; tanto che all’epoca già si studiava un modo per creare una specie di artiglieria mobile e corazzata in grado di spezzare l’impasse. In pratica uno studioso inglese aveva già inventato il carro armato a fine Ottocento ma ancora nel 1910 gli ottusi generali francesi erano ancora convinti, straordinaria conclusione, che la chiave del successo nella guerra moderna era l’impeto dell’assalto in massa!
I francesi inoltre trascurarono le linee di difesa e si autoconvinsero che i tedeschi avrebbero attaccato come fecero nella guerra del 1870 e non attraverso il Belgio neutrale. Gli inglesi non avevano affatto un esercito moderno e i tedeschi, nonostante le loro 87 divisioni non avevano ancora risolto il problema di manovrare un esercito così grande: problema comunque comune a tutti. Il quartier generale elaborava le direttive strategiche ma toccava ai comandanti delle singole unità impegnate sul campo escogitare i mezzi per produrle in pratica. Inoltre i tedeschi una volta attraversato il Belgio la loro offensiva perse slancio ed i collegamenti difettosi provocarono un varco nel fronte di avanzata dove gli inglesi prima ed i francesi dopo si infilarono ben presto.
Ma ciò significò anche altro.
Da quel momento in poi ambedue le parti furono condannate, grazie alla totale incapacità dei rispettivi comandanti di inventare tattiche nuove, a più di tre anni di logorante guerra di trincea. Entro il 1914 la potenza congiunta dell’artiglieria da campagna, delle mitragliatrici e dei fucili a ripetizione era diventata soverchiante. La fascia di terreno compresa tra le prime linee dei due contendenti si trasformò in una distesa di fango insanguinato, disseminato dei resti umani di attacchi precedenti e resa pressoché insuperabile dalle migliaia di crateri aperti dalle granate. Né un uomo, né un animale, né una casa potevano sopravvivere in questa landa desolata, dai Vosgi alla Manica.
I tentativi dei tedeschi di uscire dal vicolo cieco con l’uso di gas velenosi e vescicanti(*) si dimostrarono vani grazie al rapido sviluppo della maschera antigas anche se le loro prime versioni erano così grossolane che le truppe attaccanti, costrette ad indossarle, non riuscivano a vedere dove stessero andando, offrendo un bersaglio ideale avanzando incespicando, attraverso centinaia di metri di terreno sconvolto, verso i reticolati di filo spinato a volte anche elettrificati dietro i quali, appostati nelle casematte, li aspettava il nemico pronto a rovesciare sugli attaccanti micidiali raffiche di proiettili di fucile e mitragliatrice o bombe a mano in grado di colpire fino a 50-70 metri.
Nel tentativo di spezzare questo tipo di posizione si ricorreva spesso al tambureggiante tiro d’artiglieria di sbarramento che a volte durava giorni interi prima di un assalto: ma gli uomini di entrambe le parti impararono presto a scavare buche più profonde, a rinforzare le difese con cemento armato od a disporre le linee a zig-zag, e soprattutto a vivere per settimane intere sotto terra in rifugi spesso parzialmente allagati, con scarsità di viveri e munizioni, contraendo malattie, morendo anche per le conseguenze virali di lievi ferite o impazzendo. In tutti gli eserciti coinvolti il numero di diserzioni, ammutinamenti e casi di autolesionismo furono tra i più alti se non i più alti della storia militare.
Nell’intera storia della guerra nessuno aveva mai ideato un sistema di combattimento altrettanto inefficace, altrettanto distruttivo della sempre precaria umanità dell’uomo, e soprattutto applicato con così feroce ostinazione.
Nel passato, anche quello recente di Sedan, le battaglie erano sempre state necessariamente episodiche: gli eserciti si addestravano, marciavano, effettuavano manovre ed infine, dopo qualche settimana, prendevano posizione e si affrontavano una volta per tutte, di solito nel giro di poche ore. Seguiva poi un periodo analogo che vedeva impegnate a volte le stesse forze a volte nuove. Sebbene la minaccia incombesse su tutti, i soldati non vi erano esposti in modo continuo, per mesi od anni di fila eccezion fatta che le rare campagne come quella di Napoleone in Russia o Carlo XII in Ucraina. Nonostante le prime avvisaglie della guerra civile americana dove si pensava ancora che gli uomini avrebbero resistito fu solo nel 1914 che la guerra divenne un inferno e fece perdere alla vita del soldato quel minimo di fascino che ancora esercitava.
L’imbecillità umana non ha limiti ma nella I guerra mondiale raggiunse un apice destinato forse ad essere superato solo il giorno in cui cervelli dello stesso stampo avrebbero affrontato il problema di come combattere e sostenere una guerra nucleare dove nessuno sopravvive. E questa imbecillità è palese leggendo come Remarque racconta, nel suo memorabile e famosissimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” che nonostante la ferocia degli assalti e dei bombardamenti dei giorni precedenti un assalto “Non immaginavamo di trovare una simile resistenza”. Dopo anni di insuccessi, milioni di granate, miliardi di franchi, marchi, sterline e lire spesi e centinaia di migliaia, milioni di vite umane spese, nessuno aveva capito che l’artiglieria non ha alcuna possibilità di annientare una guarnigione annidata nella terra come tarli(**).
E con simili imbecilli al comando, la cui mentalità non superava quella di uno spedizioniere impegnato a sostituire morti con vivi, non si poteva andare oltre.
L’Italia poco od affatto citata in tutto questo? Ha certo contribuito con i suoi generali ad alimentare la stupidità generale e l’assoluta mancanza di strategia e men che meno di tattica. Ma pur con i risentimenti emotivi che questa ci evoca, a cominciare dalla canzoncina del Piave che chi ha la mia età ha imparato a memoria alle elementari, il suo ruolo nel quadro complessivo della I guerra mondiale fu davvero marginale.
Ed in questo orrore ed errore clamoroso alla fine non ci furono mai davvero dei vinti né dei vincitori tanto che da lì a poco gli stessi attori finirono per ingaggiare l’ancor più sanguinaria II guerra mondiale con l’Italia, guarda caso, ancora una volta, poco disposta a prendere una posizione certa altalenando da un attendismo iniziale ad un cambio di posizione finale con tanto di interludio imperial-espansionistico.
(*) Le vittime di questi gas spesso affogavano dall’interno. I loro polmoni si riempivano infatti di liquidi e morivano soffocati sotto gli occhi dei medici impotenti.
(**) Lo avrebbero sperimentato ancora gli americani nelle Ardenne o nelle isole del Pacifico, in Vietnam od anche i russi in Afghanistan.