Il motto recita "à la guerre comme à la guerre” ma la storia non lo chiarisce quasi mai.
A volte ci si sorprende di come le stesse entità, che siano persone o popoli o semplicemente idee, possano diventare ora nemici ora amici per l'una o per l'altra parte. In tempi recenti si pensi al ruolo ondivago dell'Egitto e dei suoi governi, a Saddam Hussein dapprima finanziato dagli USA contro il comune nemico Iran e poi abbandonato per difendere l'interesse iracheno e, recente, al ruolo della Siria di Hassad passata da nemico giurato dell’occidente ed alleato di Mosca a collaborante nelle azioni contro il neonato califfato fondamentalista.
Ma la storia è piena di questi cambi di prospettiva, spesso utilizzati con ferocia, e soltanto l’ingenuo si sorprende.
Nella sanguinosa ed efferata guerra, o meglio strage, genocidio, contro l'Etiopia condotta a partire dal 1935 dagli italiani arrivò il momento in cui a Mussolini, responsabile primo ed ideatore della maggioranza della azioni (eseguite dai fedelissimi e ferocissimi Graziani e Badoglio), interessava non tanto vincere la guerra quanto sterminare gli avversari accanendosi contro le popolazioni inermi e consentendo che venissero massacrate con l'iprite, e con esse il bestiame, i raccolti, i fiumi, i laghi. Fino al punto di ordinare di non rispettare nemmeno i contrassegni della Croce Rossa (furono distrutte 17 installazioni mediche).
Ma, e ancora solo agli ingenui sembra paradossale, consentiva che si lanciassero contro l'Etiopia cristiano-copta i libici musulmani della divisione Libia, al comando del generale Gugliemo Nasi. Con l'invio sul fronte meridionale di queste truppe libiche, per la totalità di religione islamica, contro un avversario in gran parte di fede cristiana, il regime fascista commetteva un nuovo e gravissimo crimine consentendo ai libici, con estrema perfidia, di vendicarsi per le violenze subite per vent’anni dalle loro famiglie ad opera dei battaglioni amhara-eritrei.
La divisione Libia non faceva prigionieri, molto pochi soltanto quando il generale Nasi, forse più umano di Graziani, offriva 100 lire per ogni prigioniero; ma era troppo tardi per fermare un odio religioso, sul quale prima, irresponsabilmente ma volutamente, si era fatto preciso assegnamento. La mattanza, anche dei prigionieri, continuava, anche a guerra finita.
Lo stesso Nasi, nei suoi memoriali, tenta di attribuire addebiti agli ascari libici (*) colpe gravissime che sono invece degli italiani, i quali sfruttarono sempre ed in maniera sistematica gli odi etnici e religiosi delle popolazioni soggette.
E questi addebiti sorprendono ancora di più perché lo stesso Nasi, prima di comandare la divisione Libia, interamente musulmana, contro i patrioti etiopi cristiano-copti ebbe la ventura, poco tempo prima, di condurre all’assalto in Libia i battaglioni amhara-eritrei di fede cristiana contro i mujaheddin musulmani!
E infine, nonostante la premeditazione, la ricerca quasi scientifica del metodo migliore per sterminare e ridurre al nulla il nemico anche se già battuto, un grado elevato dell’esercito come Nasi non teme di affermare: «La storia coloniale di tutti i paesi è purtroppo una storia di orrori. Ma dobbiamo riconoscere che la storia coloniale italiana è quella che di gran lunga ne annovera meno.»
Che faccia di culo! Ma non era colpa sua, è nel DNA nostrano. Ancora una volta, anche nelle riflessioni di un generale dell’esercito, affiora il mito dell’italiano diverso, più tollerante, più generoso. Ancora una volta l’italiano era posto, nella graduatoria dei popoli, in una posizione privilegiata, protetta. Ancora una volta scattava, naturale, spontanea, la solita e sconsiderata autoassoluzione tipica del falso mito italiani brava gente!
Proprio così come, e solo per noi, la nostra cucina, la nostra moda, le nostre automobili, le nostre donne e le nostre mamme sono le migliori del mondo…
Balle!
(*) questi non vanno confusi con gli ascari eritrei operanti al fianco di truppe italiane fin dal 1887 come reparto coloniale proveniente dall’Eritrea, come i citati amhara.