«Che cosa tenta di descrivere la scienza? Il mondo, naturalmente. Di quale mondo si tratta? Del nostro mondo, nel mondo in cui noi tutti viviamo e con il quale interagiamo. A meno che la scienza non abbia fatto degli errori davvero madornali, il mondo in cui noi oggi viviamo è un mondo fatto, tra le altre cose, di elettroni, elementi chimici e molecole di RNA. Il mondo di mille anni fa era un mondo di elettroni e RNA? Sì, anche se all’epoca non lo sapeva nessuno.
Ma se qualcuno avesse pronunciato la parola elettrone nel Medioevo non avrebbe significato nulla; quanto meno, non quello che significa ora. Il concetto di elettrone è il prodotto di dibattiti ed esperimenti che hanno avuto luogo in un contesto storico specifico. Quindi come possiamo dire che il mondo del Medioevo era un mondo di elettroni e RNA? Non possiamo farlo; dobbiamo invece considerare l’esistenza di queste cose come dipendenti dai nostri concetti, dai nostri dibattiti e dalle nostre negoziazioni.
Per qualcuno, le affermazioni fatte nel primo paragrafo sono talmente ovvie che solo una persona completamente confusa potrebbe negarle. Il mondo è una cosa e le nostre idee su esso un’altra. Per altri, gli argomenti del secondo paragrafo mostrano che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nelle affermazioni apparentemente semplici del primo. L’idea che le nostre teorie descrivano un mondo reale che esiste in modo completamente indipendente dal pensiero e dalla percezione è un errore, collegato ad altri errori riguardanti la storia della scienza e del progresso, e alla fiducia e all’autorità che dovremmo accordare oggi alla scienza.»[1]
Il brano del filosofo della scienza Peter Godfrey-Smith, mette in evidenza le difficoltà e gli ostacoli con cui il mondo scientifico, e non solo, deve confrontarsi per sostenere di continuo l’immagine positiva che la scienza deve avere: operando con modalità cooperative e guidata da spirito critico. Soprattutto in questi tempi, con le interazioni tra scienza e mercato che stanno portando conseguenze di grande portata, diventa essenziale valorizzare l’autodeterminazione della scienza stessa. E allora ecco il tema.
Il consenso scientifico
Consenso - Il CONSENSO è la concordanza tra la volontà o tra le idee di due o più persone: in questo significato, dunque, la parola è un sinonimo di accordo[2]
Ma cosa rappresenta davvero il consenso in ambito scientifico? Cosa significa che una determinata idea, o una teoria, goda del consenso della comunità scientifica? E’ misurabile?
Il tema del consenso, e di conseguenza di un eventuale fine del dibattito scientifico intorno ad un determinato argomento, tratta di soggetti di cui spesso si sente parlare sui media con, o più spesso senza, un reale chiarimento di cosa questo rappresenti. In questi ultimi anni è piuttosto diffusa, ad esempio, una sorta di querelle intorno al consenso scientifico relativo al cambiamento climatico in atto.
Mappa concettuale della parola “Consenso”
Il consenso è dunque un accordo, in particolare un accordo che viene esplicitamente stabilito e quindi, tornando e restando in ambito scientifico, il consenso implica normalmente un accordo relativo ad un particolare approccio, o meglio, su una particolare teoria – scientifica ovviamente.
Potremmo, in ambito scientifico, avere persone non completamente d’accordo tra loro, ma ciò non vieta che possa esserci un certo grado di consenso anche senza accordo completo o senza completa fiducia in una determinata teoria. Il termine grado comporta la misurabilità di qualcosa e laddove i membri di una comunità scientifica abbiano gradi di credenza simili e ragionevolmente alti riguardo a qualche ipotesi, ecco che emerge il consenso - addirittura misurabile con formule matematiche di tipo probabilistico e statistico.
E’ stato usato il termine credenza e occorre fare una brevissima digressione. Credere in qualcosa significa riconoscerla per vera e, senza avventurarci nei labirinti della definizione di verità, spesso vicoli ciechi, è indubbiamente affermabile che la fiducia in una teoria scientifica, o in una sua ipotesi, è un tipo di credenza del tutto analogo a quel che potrebbe essere la credenza in uno spirito maligno che scatena i temporali o una qualche forma di fede religiosa e dogmatica: dimostrabilità a parte la differenza principale è che nelle credenze scientifiche il grado di fiducia è spesso talmente alto, che chi crede è pronto a scommetterci su. E di nuovo la parola grado ha fatto la sua comparsa.
Karl Popper, a sinistra, e Paul Feyerabend
Non è proprio brainstorming
Tornando alla questione relativa al disaccordo in una comunità scientifica va detto che ciò rappresenta un valore: moltissimi filosofi della scienza, da Popper a Feyerabend non avevano nulla in contrario e ritenevano che il dibattito, la creatività, la libera esplorazione delle idee, fossero alla base di una ricerca scientifica libera e svincolata da pregiudizi di ogni sorta, e soprattutto svincolata dalle aspettative dei singoli ricercatori che spesso influenzano negativamente l’obiettività e senza dimenticare quel certo grado di serendipità che ci racconta la storia della scienza.[3] Nell’esplorazione creativa delle idee il consenso è del tutto opzionale e se per Popper non c’era affatto da preoccuparsi in caso di mancanza di consenso, o se Feyerabend auspicava una sorta di diversificazione permanente, resta evidente che a volte una certa questione scientifica va comunque risolta, ed una volta fatto se ne deve accettare la risoluzione, soprattutto quando questa deve indurre o indurci in azione, quando dobbiamo fare qualcosa guidati dalla scienza. Qualcuno direbbe, nel gergo aziendale in voga negli ultimi decenni, ben vengano Free-Wheeling e Brainstorming, ma senza esagerare, purché se ne esca e si agisca.
(Se d’ora in poi i vostri pensieri andranno alla recente pandemia da Covid-19 o alle tematiche relative al cambiamento climatico, siete giustificati.)
Le informazioni di cui è in possesso una comunità scientifica implicano spesso, se non sempre, la divulgazione ad enti governativi o simili allo scopo di prendere decisioni politiche. E la domanda che gli scienziati si sentono rivolgere è questa: c’è consenso scientifico su questo tema?
Se, come accade nella maggioranza dei casi, c’è accordo completo all’interno di una comunità scientifica, ambito per ambito ovviamente, non c’è problema. Altre volte potrebbe esserci una maggioranza, anche molto ampia, ma anche dei dissidenti. E qui la cosa si complica, perché spesso la dissidenza ha come fonte valenti scienziati o comunque persone addette ai lavori. C’è un modo per complicare la questione, e negli anni passati ne abbiamo viste di ogni tipo. Basterà inserire, spesso strumentalmente o pretestuosamente, persone assolutamente estranee alla comunità e ignoranti in materia, invitandole a…dire la loro: ciò darà l’illusione che esista un dibattito tra posizioni rigorose e non e, peggio ancora, un dibattito tra opinionisti o influencer e ricercatori e scienziati. Ciò ovviamente non va ad escludere dal dibattito terze parti che pur non appartenendo al mondo scientifico, quali sociologi o filosofi, potrebbero comunque fornire indicazioni preziose. L’esclusione senza appello è per quei personaggi che buona parte dei media sono soliti invitare in trasmissione al solo scopo di aumentare l’audience.
E’ sempre la scienza ad indicare la strada da percorrere nel caso in cui non ci sia completezza di consenso. Senza entrare nei suoi complessi dettagli il Teorema di Bayes, associato alle idee di Frank Ramsey, indica quale azione migliore scegliere pur considerando che il mondo potrebbe essere fatto diversamente da come lo si ritiene: è questione di scelta delle possibilità più probabili e quali meno, cose su cui le persone saranno in disaccordo quando non c’è consenso. In precedenza è stata associata alla credenza la possibilità che ci si possa scommettere su e una scommessa è guidata da parametri statistici di maggiori o minori probabilità che eventi possano accadere. Ecco perché è possibile utilizzare metodi analitici, scientificamente validi, per individuare le migliori opzioni relative al consenso. Ovviamente quando il disaccordo è molto forte, e complicato dal rumore di fondo delle migliaia di dissonanze amplificate e rilanciate dai social, il problema non sarà risolto in fretta anche se spesso può sussistere un certo grado di urgenza, soprattutto nel calcolare prima possibile quali sono le scelte dagli esiti sicuramente disastrosi.
Chiudere il dibattito
Se la questione oggetto di dibattito scientifico è risolta sarà la stessa comunità scientifica a dichiarare che il dibattito si è concluso, con una sorta di consenso spontaneo, oppure occorrerà un’ulteriore valutazione della serietà delle incertezze residue, con un consenso curato nel modo in cui debbano essere fatte dichiarazioni pubbliche. L’attenzione maggiore va ovviamente alle tempistiche relative alla conclusione del dibattito: se precoce potrebbe avere come conseguenza, dagli esiti anche drammatici, quali quelli di una decisione politica presa sulla base di un’idea scientifica errata o incompleta; se tardivo, comporterebbe spreco di tempo e risorse, e ancora portare a decisioni politiche più o meno gravi, oltre alla perdita di progresso scientifico. Tardivo o precoce sono entrambi dannosi.
In passato queste decisioni erano prese a porte chiuse, e altrettanto privato era il confronto politici-scienziati. Oggi, nelle moderne società democratiche, con i flussi di informazioni liberi, e con una comunità scientifica interconnessa a livello internazionale, ciò non è possibile e alla comunità scientifica viene spesso richiesto di dire le cose nella maniera più chiara possibile. In altre parole le si chiede responsabilità pubblica, e se il consenso spontaneo riguarda soltanto le interazioni sociali tra membri della comunità scientifica, e loro posizioni individuali, il consenso curato coinvolge la società più ampia, di cui la comunità scientifica è parte. E ancora, oggi abbiamo moltissimi consumatori esterni di informazioni scientifiche, tra cui migliaia di ottimi divulgatori ed esperti, con cui la comunità scientifica deve confrontarsi raggiungendo un compromesso: impedire ad esempio che alcuni individui ossessionati possano boicottare o fermare l’uso ragionevole di una conoscenza conquistata faticosamente.
Un esempio dal passato
C’è un caso famoso e drammatico su cui riflettere che viene dal passato recente e che riporterà alla mente le dolorose conseguenze di alcune scelte politiche di minoranza, le scelte novax per esempio, o quelle che hanno seguito l’onda della cosiddetta immunità di gregge senza sapere affatto cosa ciò sia: scelte altrettanto sbagliate, e scellerate, fatte in occasione della pandemia da Covid-19 e, in senso più generale, quelle che non sono state o che non saranno fatte, nel caso dei processi di reazione e/o adattamento ai cambiamenti climatici[4].
Nei primi anni ’80 l’epidemia di AIDS, che allora non aveva nemmeno questo nome, si diffondeva come malattia che colpiva soprattutto gli omosessuali maschi, gli emofiliaci e i consumatori di droga per via endovenosa, e sempre nello stesso periodo si scoprì che un retrovirus poteva esserne causa[5].
Nonostante le evidenze si andassero accumulando fin dall’inizio ci furono alcuni dissidenti che ipotizzarono, in base ai loro studi, che il retrovirus HIV non aveva nulla a che fare con l’AIDS, formulando ipotesi diverse che potevano ragionevolmente tenere aperto il dibattito scientifico nonostante un largo consenso per l’ipotesi Gallo-Montagnier. Ciò nonostante, nel 1988 la National Academy of Sciences degli Stati Uniti elaborò una dichiarazione riassuntiva ove si affermava che «l’evidenza che l’HIV è la causa dell’AIDS è scientificamente conclusiva». Col senno di poi questa presa di posizione può essere considerata del tutto precoce perché gli esperimenti, fondamentali e determinanti per fare affermazioni di causa-effetto, non avevano chiarito ancora i motivi per cui l’HIV potesse causare molti danni.
Pochi anni dopo l’epidemia di AIDS nell’Africa subsahariana divenne un problema enorme e l’allora governo del presidente Mbeki in Sud Africa prese posizioni poco ortodosse, fino ad includere nel 2000 all’interno del comitato scientifico consultivo il biologo Peter Duesberg, principale rappresentante delle posizioni dissidenti sull’HIV. Il governo dichiarò di non voler procedere nell’affrontare l’epidemia con i farmaci retrovirali usati altrove, di essere interessato a riflessioni e altre opportunità.
Paradossalmente questo atteggiamento scientifico può essere appropriato in qualche modo, quando il consenso non è unanime e la dissidenza viene da fonti piuttosto autorevoli e ascoltabili; ma in questo caso, la posizione durata circa 3 anni, fino al 2000, provocò direttamente la morte di diverse centinaia di migliaia di persone, come risultato delle decisioni del governo di Mbeki.
Nulla è certo, la storia mostra che possono arrivare grandi sorprese, «la cosa importante è non smettere mai di interrogarsi» disse una volta Albert Einstein, ma dobbiamo anche agire, prendere decisioni e in questo caso l’evidenza che l’HIV era la causa dell’AIDS era forte e si era accumulata regolarmente nel corso degli anni ’80 e ’90. La situazione di emergenza imponeva che le si desse seguito accettandola.
Come trattare la malattia è un’altra storia. L’unico farmaco allora in uso era il Retrovir ed è un farmaco estremamente tossico. Pur accettando le teorie dominanti c’erano forti sospetti sulle compagnie farmaceutiche che giustificavano la dissidenza se non altro allo scopo di incentivare la ricerca di altre opzioni. Oggi si conoscono molto in dettaglio i modi in cui l’HIV porta alla malattia e già dalla metà degli anni ’90 si iniziarono a sviluppare trattamenti farmacologici migliori.
Non è dato sapere se questo caso emblematico di ricerca del consenso scientifico possa fornire spunti per altri contesti, per qualcosa che ci tocca da vicino nel tempo e nello spazio come premesso all’inizio del paragrafo. Forse. Ma sicuramente emerge che c’è un lato negativo dell’attraente idea che sarebbe sempre bene mantenere una mentalità aperta ed evitare di chiudere il dibattito. Va bene continuare ad interrogarsi, va bene la ricerca continua di nuove idee[6] ma occorre anche e soprattutto agire.
Sarebbe fantastico continuare ad interrogarsi se le politiche fossero guidate dal peso di opinioni esperte, Franco Battiato avrebbe detto il centro di gravità permanente della comunità scientifica, e soprattutto senza minarle con uno scetticismo, idiota ed inutile molto spesso o ancora peggio, alimentato da pressioni politiche interessate.
Purtroppo, come accennato in precedenza, è diventato sempre più difficile nei casi recenti, soprattutto nell’importante caso del cambiamento climatico accelerato, oltre ogni ragionevole dubbio, dalle attività di origine antropica. Ma la ricerca di consenso, in questo caso, per quanto le evidenze siano notevoli e consolidate, vede numerosi tentativi di tenere il dibattito ancora aperto, a tratti spalancato verso strade che comporteranno soltanto perdite di tempo e spreco di risorse, soprattutto per quanto riguarda la tematica più importante da sottoporre all’attenzione di tutti: cambiamento va bene, ma di adattamento quando ne trattiamo?
[1] Peter Godfrey-Smith. “Teoria e realtà. Introduzione alla filosofia della scienza.”
[2] Enciclopedia Treccani online
[3] Telmo Pievani ha scritto un bellissimo libro in proposito, intitolato appunto “Serendipità”.
[4] In questo caso la tematica è vastissima e l’affermazione va intesa come un’ampia generalizzazione.
[5] Molti ricorderanno la disputa per la paternità della scoperta tra l’americano Robert Gallo e il francese Luc Montagnier; di quest’ultimo si ricorderanno anche le dichiarazioni choc che rilasciò all’inizio del 2022 sull’inutilità e addirittura sulla criminalità del vaccinare i bambini, dichiara
[6] Anche se, in questo mondo reale, la competizione, ancorché cooperativa, e la ricerca continua di fondi per la ricerca rendono la stessa spesso molto selettiva.
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