Sono appena tornato da una breve trasferta lavorativa a Napoli. E come sempre quanto riporto lo faccio con tristezza nei ricordi di quella Napoli che tanto mi piaceva ed amavo quando ci andavo col caro zio Vittorio.
Qualche altra volta su queste pagine ho avuto modo di riportare le impressioni terribili che ricavo nel vedere come mese dopo mese, amministrazione dopo amministrazione, nulla cambi nella china, lenta ed inesorabile, che la città ed i suoi cittadini hanno imboccato: quella di un degrado costante che ha fatto pronunciare ad un mio collega che non era mai stato a Napoli “mi sembra di stare in qualche favelas sudamericana!”.
Ma stavolta l’idea che mi sono fatto è diversa da quella espressa a volte. Fino a poco tempo fa ritenevo che la città fosse formata da una maggioranza di persone per bene in stile “Un posto al sole”, la nota soap di RaiTre che dal 1996 fa credere al resto d’Italia che Napoli sia un posto meraviglioso. E questa maggioranza ostaggio dei cattivi.
Non sono i panni stesi, le macchine contro mano, i sensi unici violati e neanche i vicoli stretti fatiscenti e maleodoranti di un’edilizia improvvisata e arrampicata dal mare verso il Vomero e Camaldoli o Posillipo e paradossalmente non è neanche l’azione del singolo o lo stato di degrado e grigiore inesorabile degli intonaci scrostati ovunque. Ma è l’atmosfera complessiva che si percepisce che mi spingono amaramente a pensare che saranno sì in maggioranza persone per bene che nel loro angolo individualistico sono come tanti ma che tutti insieme formano quella comunità: i napoletani appunto ed il loro modus vivendi.
Durante le pause per il pranzo si chiacchierava del più e del meno con due tecnici che hanno collaborato con me e dal livello culturale decisamente basso e durante queste conversazioni è emerso ad esempio come questo essere napoletano si esprima. Uno di loro ad esempio è passato con classe dall’antico a Napoli non c’è lavoro ad una disquisizione in buona fede su come il napoletano sia specializzato nel fregare il prossimo perché, dato che appunto non c’è lavoro, impera l’arte di arrangiarsi. E queste sono cose che sentiamo da decenni. E l’altro, che evidentemente vive in una bella casetta abusiva alle pendici del Vesuvio che asseriva sicuro che il Vesuvio è morto e che è il governo che dice che è pericoloso perché li vuole mandar via senza cacciare soldi…con buona pace del vulcanologo giapponese e dei suoi avvertimenti recenti (visto che sicuramente Plinio e i calchi di Pompei sono inutili prove).
Domanda retorica. Possibile che in decenni non ci sia stato modo di risollevare Napoli ed i napoletani ad un livello analogo a quello di altre situazioni italiane che (ri)partivano dalla stessa condizione di degrado post bellico? E cito il 1945 tanto per fissare un limite al passato.
Nulla cambia ed anzi sembra quasi che esista una volontà al mantenimento se non al peggioramento. Non stiamo parlando solo delle periferie degradate, della suburra raccontata da Saviano ma anche del centro, compreso il più antico e storico, della zona delle rappresentanze governative della città. Possibile che basti entrare a Napoli ed osservare lo stato delle strade e delle case per sentirsi in un posto strano…sensazione che non si prova in nessun’altra città italiana e che non ho mai provato in nessuna delle tante città europee che ho visto?
E allora la mia conclusione è che esiste davvero questa volontà. Ed è una maggioranza di napoletani che schiaccia quei pochi rassegnati perché questo è l’unico modo per nascondersi dietro un anonima napoletanità e poter continuare a fare i loro interessi primo fra tutti l’interesse a mantenere costante la situazione. Un napoletano fuori Napoli è infatti immediatamente identificabile (un esempio: un pullman di napoletani in gita che si ferma in autogrill).
Oggi a Napoli si festeggia San Gennaro ed in milioni in tutto il mondo (da New York a Sidney)chiederanno le loro piccole grazie, tutte mirate a guadagnare qualcosa di estremamente personale ed individuale a loro esclusivo vantaggio e, volenti o nolenti, fregando qualcun altro. E questa cosa la parodiava il compianto Massimo Troisi nel 1978: trentacinque anni fa.
Che si sciolga o meno quella sostanza tissotropica che gli stolti credono essere sangue non importa, purché sia un coro di San Genna’…facite ‘a grazia!
Il tesoro di San Gennaro (sicuramente arricchito da pesanti donazioni d’origine malavitosa e camorristica) si dice valga più di quello della Corona inglese o degli zar.
Venderlo per fare qualcosa, qualsiasi cosa, no? No, perché nulla deve cambiare e nulla cambierà affinché l’antico adagio sia perpetuato: chiagne e fotte.
Mi è molto piaciuto anche quanto riportato poco fa su “Il post”.
Massimo Troisi e Lello Arena - 1978