domenica 23 febbraio 2014

Infiniti noi

Perché noi qui, infiniti noi
siamo il tempo innocente
che nasce dal silenzio del mondo
intorno a noi.
(I Pooh, 1973)

 

 

 

Se l'universo fosse infinito? Avremmo il paradosso della replicazione infinita.

Immaginate di vivere in un universo dove nulla è originale. Nessuna idea è mai nuova. Non c'è nessuna originalità, nessuna novità. Nulla è mai stato fatto per la prima volta è nulla sarà mai fatto per l' ultima volta. Nulla è unico. Ognuno non soltanto ha un sosia ma ne ha un numero illimitato.

Questa insolita situazione si verifica se l'universo è infinito quanto a estensione spaziale (cioè a volume) e se la probabilità che la vita si sviluppi non è uguale a zero. Si verifica a causa del modo singolare in cui infinito differisce radicalmente da qualsiasi grande numero finito, per quanto grande è esso sia.

In un universo di estensione infinita tutto ciò che ha una probabilità non nulla di accadere deve accadere infinite volte.

Così in ogni istante - per esempio, in questo momento - deve esserci un numero infinito di copie identiche di ciascuno di noi che stanno facendo esattamente ciò che ognuno di noi sta facendo ora. Ci sono anche numeri infiniti di copie identiche di ciascuno di noi che stanno facendo qualcosa di diverso da quello che stiamo facendo noi in questo momento. In realtà si potrebbe trovare un numero infinito di copie di ciascuno di noi che in questo momento stanno facendo qualsiasi cosa ci fosse possibile fare con una probabilità non nulla in questo momento.

Il paradosso della replicazione spaziale, a parte il comprensibile disagio psicologico che crea, ha conseguenze di ogni tipo anche strane.

Una delle conseguenze logiche del risultato dell’evoluzione della vita è che questa ha probabilità non nulla visto che siamo qui a parlarne; quindi in un universo infinito deve esistere un numero infinito di civiltà in vita con al loro interno copie di noi stessi di tutte le possibili età. Quando moriremo ci sarà sempre altrove un numero infinito di copie di noi stessi, che avranno tutti i medesimi ricordi e le esperienze delle nostre vite passate, ma che continueranno a vivere nel futuro. Insomma così vista la questione è come se ognuno di noi «vive» per sempre.

I teologi, primo fra tutti Agostino, hanno confutato questo argomento sostenendo che la vita deve esistere solo sulla Terra e non altrove perché se la crocifissione di Cristo ha avuto una probabilità non nulla di accadere – e stando a quanto sostengono è accaduta – allora in un universo infinitamente grande essa è accaduta infinite volte altrove: in questo modo essa perde il significato che le si attribuisce.

E’ inoltre dimostrabile che se incontrassimo uno dei nostri cloni non sarebbe come rivedere se stessi nello specchio del tempo perché è più probabile che pur avendo avuto passati identici di fronte a nuove situazione si prenderebbero decisioni diverse, proprio come farebbero gemelli identici con i futuri di ognuno dei cloni con più probabilità di divergere che di rimanere simili.

La cosa curiosa di questa «teoria» è che essa stessa non sarebbe originale. E’ già stata proposta infinite altre volte.

Come se ne esce? Qualche ipotesi c’è. La scappatoia meno elegante ma più semplice è ammettere che l’universo sia finito oppure ricorrere alla finitezza della velocità della luce che come noto ha un limite ben preciso. Il fatto che la velocità della luce abbia un limite pari a circa 300.000 km/s fa sì che l’universo che possiamo osservare abbia delle dimensioni circoscritte. La conseguenza è che a conti fatti (che vi risparmio) la distanza alla quale potremmo incontrare un primo sosia, mio o vostro, è pari a circa 10N metri dove N=1027, un numero enorme!

C’è un altro modo per evitare il paradosso della replicazione infinita ovvero ammettere che la probabilità dell’evoluzione della vita nell’universo sia nulla.

In tal caso il numero delle copie di ognuno di noi sarebbe pari a 0 x ∞ che può essere uguale a qualsiasi numero finito, perché se dividiamo 1 per 0 otteniamo infinito, se dividiamo 2 per 0 otteniamo ancora infinito e così via. Quindi potrebbe esserci soltanto un nostro sosia altrove, ma potrebbero benissimo essercene un milione di miliardi!

Ma affermare a priori che la vita compaia pur avendo una probabilità nulla di realizzarsi in modo naturale equivale a dire che essa ha un’origine miracolosa o soprannaturale. Quindi il paradosso della replicazione infinita è scongiurato ammettendo che la vita sulla Terra sia pre-programmata per evolversi. Personalmente questo introduce per me ben altri paradossi.

Se fosse infinito nel tempo, anche solo nel tempo e non nello spazio, le cose non starebbero certo meglio. Con un tempo infinito a disposizione qualsiasi cosa abbia una probabilità finita di accadere sarà accaduta infinite altre volte nella storia passata. Nessuna idea può essere nuova ed universi di questo tipo hanno una caratteristica sorprendente.

Se c’è una probabilità finita che la vita intelligente si sviluppi (e c’è visto che, ancora, siamo qui a parlarne) questa deve essere infinitamente comune e con il passare del tempo dovrebbe esserci un enorme incremento della frequenza di esseri viventi tale che in un universo infinitamente vecchio dovremmo vedere extra terrestri ovunque ma visto che non li vediamo ecco un altro paradosso anche se non è escluso che ET sia talmente piccolo, nanoscopico, da non poter essere visto nella maniera che intendiamo comunemente.

Ultimo paradosso. Con implicazioni etiche e morali.

In un universo infinito ne consegue che la quantità di bene o di male, intesa come azioni che li producano, è altrettanto infinita. Quindi nulla che possiamo fare (o non fare) può aumentarla: infinito più qualcosa è sempre ancora infinito. In un universo infinito gli imperativi etici che spingono a fare il bene non hanno senso alcuno; perché dovremmo agire per il bene se in questo momento ci sono infinite copie di noi stessi che stanno facendo esattamente il contrario scegliendo alternative moralmente riprovevoli? Ecco che quindi più che imperativi etici che spingono a fare il bene occorrerebbe che gli stessi imperativi spingano a fare azioni giuste analizzate individualmente.

Ma ciò non toglie che un universo infinito porta con sé una serie di conseguenze che definire bizzarre è solo un inizio pur ammettendo che la finitezza della velocità della luce restringe il nostro orizzonte ad un punto tale che possiamo teoricamente preoccuparci ed occuparci soltanto delle nostre azioni visto che le probabilità di avere un contatto, od un impatto se volete, diretto con un nostro sosia sono pressoché nulle, ma non nulle.

Non c’è una soluzione semplice per i problemi etici posti da un universo infinito. Forse c’è qualcosa di sbagliato nella nostra concezione geocentrica dell’etica.

Vi affascina o vi inquieta?

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