giovedì 20 gennaio 2022

E’ tutto grasso che cola o è tutto gas che sfiata?

Un interessante video sulla pagina Facebook di Geopop ha stimolato in me riflessioni di varia natura che, almeno per ora, non mi hanno convinto sulla reale necessità e sull’altrettanto concreto beneficio derivante dall’incremento della produzione di gas naturale in Italia. E preciso subito che i complottismi notriv o gli ambientalismi grinpis non hanno nulla a che fare con ciò. 

Ricapitolando.

Consumo annuo di gas naturale in Italia: 70 miliardi di mc, dati 2020. Qui una fonte.
Produzione attuale annua di gas naturale in Italia: 3,6 miliardi di mc, pari a circa il 5% del fabbisogno (1,7 da giacimenti on-shore, a terra, e ben 1 mld di questi dalla sola Basilicata, e 1,9 mld di mc da giacimenti off-shore, a mare).
Qui la tabella dal MISE.
Riserve: soltanto nell’Adriatico settentrionale si stimano riserve per 35 mld di mc, mentre il totale nazionale ammonterebbe a circa 90 (70 se pessimisti).

Perché non estraiamo?
Per l’art. 8 della legge n. 133 del 6 agosto 2008 che recita testualmente: "1. Il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia"; è tutto bloccato da allora temendo che l’estrazione possa provocare fenomeni di subsidenza(*) (abbassamento del livello del suolo) che metterebbero a rischio –dicono, ma chi lo dice?- la città di Venezia e più in generale tutta l’area nord adriatica, dal delta del Po fin quasi alla costa triestina. Ma il fenomeno di subsidenza è stato dimostrato non avere nulla a che fare con le attività di estrazione, se non e non sempre, limitatamente alla zona prossimale al pozzo. Appurato ciò non ho capito questo cosa c’entri con la possibilità di estrazione in tutte le altre aree che non siano appunto, il nord Adriatico. Perché non si estrae in tutto il resto delle aree più produttive? E soprattutto cosa c'entra questa legge con il blocco delle perforazioni o dell'ampliamento di quanto già in produzione? Situazione questa che impedirebbe di avere gas naturale a 5 centesimi al metro cubo anziché a 50, tanto paghiamo quello importato (
https://www.ilsole24ore.com/art/trivellazioni-adriatico-ferme-ma-gas-italiano-costa-decimo-AEgbV0u).

Ma facciamo finta che la legge venga abrogata: l’iter istituzionale richiederebbe almeno un anno di tempo; l’analisi di impatto ambientale che porterebbe ad autorizzare le estrazioni richiederebbe altri 16 mesi, per un totale di 28, e siccome siamo in Italia facciamo 36 e non se parli più. Tre anni, dopo l’avvio dello sblocco, per fornire ad ENI l’autorizzazione ad avviare la costruzione degli impianti necessari ad estrarre il gas: altri 2 o 3 anni almeno, totale 6 anni per avere i primi metri cubi di gas dalla riserva. E non consola sapere che le spese di realizzazione non sono a carico dei cittadini perché sono tutte di ENI; anche se presumo che questa e le varie altre, sapranno trovare la scusa per un bel rincaro delle forniture in essere.

Trascurata l’ipotesi comica di estrarre tutti i 90 miliardi in un colpo solo, il piano è quello di fornire 5 o 6 ulteriori miliardi l’anno per un totale di 10-15 anni. Quindi la produzione nazionale passerebbe da 3,6 a circa 10 mld di mc, arrotondando.
10 su 70, necessità odierna e sempre che questa non cresca in futuro. Quindi andremmo a coprire il 14% circa del fabbisogno nazionale. In tempo di magra anche un incremento dell’8 o del 10% è tutto grasso che cola (o forse sarebbe meglio dire gas che [non] sfiata); ma è un incremento tale da non giustificare affatto una diminuzione dei costi “alla pompa”.
L’utilizzo del gas del nostro sottosuolo quindi non serve a ridurre i costi in bolletta: le dinamiche internazionali la farebbero comunque da dominante perché fonte di ben 60 su 70 miliardi di metri cubi di fabbisogno.

E allora a che scopo? Ambientale? E qui mi trovo in parziale disaccordo con l’autore del video. Trovo abbastanza ridicolo sostenere che l’estrazione nazionale, questo ipotetico contributo di 10 mld di mc l’anno, ha un impatto ambientale estremamente più basso dell’equivalente estero che deve attraversare migliaia di km di gasdotti. E’ altrettanto vero però che la produzione italiana tra perdite di gas dagli impianti, attrezzature in regola e mancato trasporto taglia del 40% le emissioni correlate all'attività (il solo il trasporto brucia fino al 30% del metano prodotto) e quindi quei 10 miliardi impatterebbero molto meno. Per esser minore quindi, questo impatto lo è, ma nel bilancio complessivo delle maggiori o minori emissioni è quasi ininfluente.

Gli unici benefici reali deriverebbero dalla creazione di nuovi posti di lavoro e dall’incasso delle royalties da parte dello stato italiano, che potrebbe investirli nelle nuove tecnologie legate al rinnovabile o comunque allo scopo di rispettare la decarbonizzazione auspicata.
Ma il conto economico è estremamente complesso da realizzare.

Nella prima figura ho importato anch’io in Google Earth i dati ViDEPI delle zone di estrazione A, B, C e D, il quadrettato con colori diversi, da nord a sud da A a D; i pallini verdi sono invece tutti i pozzi di estrazione realizzati in Italia dall’inizio del novecento.       
      
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In quest’altra mappa, sempre da nord a sud, le zone E, F e G, più che altro di ricerca per ulteriori aree e di scarsa produttività.

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(*) E’ ampiamente documentato che la subsidenza dei territori del Polesine o di Venezia sono state provocate dal prelievo di acque, a scopo agricolo, e da fenomeni di compattazione geologica del terreno alluvionale caratteristico dell’area alluvionale.

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