mercoledì 28 settembre 2022

Lo stupro ha una base genetica?

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Ancora una volta, il biologo e primatologo Frans De Waal, partendo da considerazioni nate dalla ricerca scientifica svolta sulle società dei primati a noi più vicini, mette in evidenza come la socializzazione, l’evoluzione culturale e l’evoluzione biologica abbiano viaggiato e viaggino di pari passo. E di come effettivamente le disuguaglianze di genere, presenti ed inevitabili, siano spesso l’origine e la causa di determinati aspetti della società e della sua rete di relazioni tra individui e comunità.

La violenza degli uomini contro le donne è uno degli aspetti più palesi e pericolosi della disuguaglianza di genere, una questione spesso ignorata dagli uomini ma di ovvia preoccupazione per le donne.

In molti primati, i maschi sono più grandi e più forti delle femmine. Lo stesso vale per gli esseri umani, in cui i due sessi mostrano marcate differenze di forza soprattutto nella parte superiore del corpo. In uno studio tedesco, atlete altamente addestrate hanno raggiunto solo la forza fisica media degli uomini non allenati.

Si pensa che l'evoluzione del dimorfismo sessuale in termini di dimensioni e forza sia guidata principalmente dalla competizione maschio-maschio. Lo scopo principale di una maggiore taglia maschile non è il dominio sulle femmine, ma la competizione con i rivali. Negli esseri umani, questa competizione si riflette nelle statistiche sugli omicidi della maggior parte dei paesi, compresi gli Stati Uniti, in cui prevalgono gli omicidi maschio su maschio.

Tuttavia, la violenza maschile contro le donne è comune. Nelle nostre società, l'abuso coniugale, lo stupro e il femminicidio sono in aumento o più frequentemente segnalati. È un dominio in cui la specie umana si distingue per la sua incidenza eccezionalmente elevata. Poiché si verifica spesso tra individui vicini, un fattore che contribuisce è l'abitudine delle famiglie umane che vivono in relativo isolamento in capanne e case. Queste disposizioni, che sono uniche tra i primati, facilitano il controllo maschile. Durante la crisi Covid e le sue politiche di blocco, gli abusi domestici sono aumentati in tutto il mondo.

Non usiamo il termine "stupro" mentre, in relazione ad altri animali, parliamo invece di "copulazione forzata". Questo comportamento è del tutto assente nei bonobo per la semplice ragione che le femmine dominano collettivamente i maschi. Ma anche negli scimpanzé, che sono dominati dagli uomini, è estremamente raro. Su migliaia di copulazioni osservate nessun primatologo ha mai visto questo comportamento.

Gli scimpanzé maschi intimidiscono le femmine fertili, a volte abbastanza violentemente. Questo è più comune negli scimpanzé dell'Africa orientale, che sono quelli di cui sentiamo parlare di più, mentre rari o assenti in Africa occidentale. Come documentato dal primatologo svizzero Christophe Boesch, le comunità di scimpanzé occidentali sono più coese. Dal momento che trascorrono più tempo insieme, l'equilibrio di potere di genere si è spostato verso le femmine. Quando le femmine viaggiano e si puliscono insieme, piuttosto che essere sparse nella foresta, formano un blocco di interessi condivisi. Si chiedono aiuto l'un l'altro. Questo mette un freno alle brutali tattiche maschili. Secondo Boesch, le molestie sessuali violente e gli accoppiamenti forzati sono assenti nella foresta di Taï in Costa d'Avorio.

In sintesi, la copulazione forzata è altamente eccezionale nei nostri parenti più stretti delle scimmie, mentre la violenza sessuale si verifica ma è soggetta a differenze di specie e culturali. Se le femmine sono in giro per sostenersi a vicenda, sviluppano una sorta di movimento #MeToo come i bonobo. I bonobo hanno efficacemente frenato la violenza sessuale maschile. Ma anche negli scimpanzé possiamo riconoscere questo potenziale di solidarietà femminile.

In quest’altro post ho trattato l’aspetto della dominanza maschile nelle grandi scimmie.

Nelle colonie di scimpanzé in cattività, ad esempio, dove le femmine sono insieme tutto il tempo, la vita sociale è strettamente regolata e i maschi non possono farla franca con comportamenti odiosi. Sono stati osservati maschi minacciare pesantemente femmine riluttanti ad accoppiarsi, ma arriva sempre un punto in cui altre femmine affrontano il maschio e si coalizzano per salvare la vittima urlante. Inseguono il maschio implacabilmente e spesso passano a vie di fatto per insegnargli a comportarsi diversamente.

Al contrario, in un primate senza relazioni sociali strette, come l’orango che vive gran parte della sua vita in modo solitario, le femmine sono da sole. Considerando la preferenza delle femmine per avere rapporti con maschi completamente adulti nono sono affatto rari casi di copulazione forzata da parte di adolescenti e giovani maschi adulti.

Chiedersi quindi se i nostri antenati erano stupratori, ha come risposta che le probabilità sono estremamente basse dato il comportamento dei nostri due parenti più stretti, e dato che i nostri antenati probabilmente vivevano in comunità affiatate segnate da reti femminili.

Non lo sappiamo con certezza, e c’è chi ha sostenuto che lo stupro e la sua diffusione, nelle società umane ancestrali potesse essere una strategia adattiva evoluta: un modo come un altro di assicurarsi una strategia di fecondazione per alcuni maschi, che diffondono i loro geni in questo modo.

Esiste però un numero piuttosto piccolo di specie segnate dalla copulazione forzata (ad esempio anatre, mosche scorpione, oranghi, umani), mentre se lo stupro fosse davvero una strategia così vantaggiosa, dovrebbe essere diffuso nel regno animale. E non lo è. Alcuni antropologi hanno inoltre notato che gli uomini che stuprano in società umane su piccola scala rischiano di essere espulsi o uccisi dai parenti della donna. Lo stupro dunque potrebbe essere stata una strategia piuttosto disadattiva nelle comunità ancestrali.

Oltre a concentrarsi su come proteggere le donne dalla violenza maschile (ad esempio attraverso una rete di relazioni strette tra donne), la società ha il compito di educare i ragazzi in un modo che scoraggi tale comportamento.

Personalmente non credo molto nell'educazione neutra dal punto di vista del genere: i figli non sono figlie e viceversa. I ragazzi hanno bisogno di un'educazione che riconosca le future differenze di genere nel fisico. Il rispetto per le donne dovrebbe essere esercitato in loro.

Citando Frans De Waal: «Se le descrizioni dei primati e del comportamento umano ci insegnano qualcosa, è che i maschi cresceranno per essere più inclini alla violenza. Acquisiranno anche una forza corporea considerevolmente maggiore rispetto alle femmine. Ogni società deve fare i conti con questo duplice potenziale di difficoltà e trovare modi per civilizzare i suoi giovani uomini e guidare la loro spinta aggressiva in una direzione costruttiva. Per assicurarsi che diventino fonti di forza piuttosto che di abusi, i ragazzi devono acquisire abilità emotive e atteggiamenti orientati specificamente al loro genere. Devono imparare che la forza va immancabilmente associata alla responsabilità».

Bibliografia.

Frans De Waal – Different

Un dibattito sul genere

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Spesso la biologia o più genericamente la “natura”, il “naturale” e il suo opposto, vengono chiamati in causa per ottenere una sorta di sostegno scientifico a determinate posizioni che sono in realtà prevalentemente culturali. Nel suo ultimo libro il biologo e primatologo Frans De Waal ci pone di fronte a quanto effettivamente in natura, nei nostri parenti più prossimi, le grandi scimmie prive di coda, ma non solo, esiste effettivamente.
Provate a parlare di “istinto materno” in determinati ambienti. Se cercate la rissa è un modo per arrivarci rapidamente. Ma innanzi tutto vanno corretti altrettanto in fretta tutti coloro che si oppongono a ciò che è stato definito “essenzialismo biologico”, e che per questo rigettano a priori qualsiasi confronto con altri primati.

La biologia non segna il destino, su questo non si discute. Moltissime coppie pur potendone avere scelgono volontariamente di non avere figli e viceversa, molte coppie che non possono biologicamente fanno di tutto per averne, col proprio seme o i propri ovuli o adottando figli biologici altrui. La specie umana ha parecchi gradi di libertà nel modo in cui disegna le proprie vite e le proprie società.

Siamo una specie altamente culturale con un'enorme variabilità individuale, quindi la biologia non ci offre leggi per vivere, ma piuttosto suggerimenti e probabilità. Ma rimane vero, come lo è per tutti i mammiferi, che la probabilità che una femmina sia attratta dai giovani membri maschi della propria specie supera la probabilità che ciò possa accadere per un maschio, e viceversa.

E’ vero che esiste un’idea diffusa e generalizzata che osservando gli altri primati stiamo osservando aspetti biologici, mentre osservando gli esseri umani ne stiamo cogliendo gli aspetti culturali. Ma è altrettanto vero, e le ricerche antropologiche e sociobiologiche lo confermano, che vediamo anche la cultura mentre guardiamo altri primati e vediamo anche la biologia mentre guardiamo gli esseri umani. I primatologi ritengono che anche le scimmie abbiano un genere, perché imparano molto durante la vita, incluso il comportamento tipico del sesso di appartenenza. Ed è ormai dimostrato che posseggono più diversità di genere di quanto si possa pensare, compreso individui, nelle loro società, che si discostano dai tipici ruoli di genere.

Nulla è semplice quando si ha a che fare con la biologia del genere. E il tutto è complicato dal fatto che i nostri parenti più stretti (bonobo e scimpanzè) hanno società molto diverse: per i primi decisamente dominata dai maschi e per i secondi del tutto matriarcale.

Solo gli esseri umani hanno un genere?

E’ piuttosto comune sentire che per gli esseri umani ha senso parlare di genere, e di appartenenza a questo, mentre per gli altri primati, o per qualsiasi altra specie animale, non avrebbe senso effettuare confronti: questi hanno solo sessi.

Ciò è altamente improbabile.

Gli scimpanzé ad esempio sono esseri culturali, con uno sviluppo lento quasi quanto gli umani, che consente ai giovani di imparare dai loro anziani. Un piccolo scimpanzé osserva la tecnica di schiacciare le noci da sua madre e impara, un'attività che richiede due strumenti e un'eccellente coordinazione occhio-mano.

Sempre negli scimpanzè, un piccolo di due anni, segue da vicino ogni azione dimostrativa di potere o di potenza eseguita dai maschi di alto rango della colonia. Ogni maschio ha uno stile o un gesto distintivo, tra cui salti spettacolari, battiti di mani, oggetti lanciati e rami spezzati. Il maschio alfa spesso batte per minuti e minuti contro un oggetto specifico per dimostrare il suo vigore. Le madri tengono i loro piccoli da presso ed evitano che possano avvicinarsi troppo ai maschi in agitazione, ma non appena l’atmosfera si calma, li lasciano avvicinare. Ed ecco che il piccolo di due anni corre verso lo stesso oggetto, lo prende a calci, finge di strapparsi i peli dalla testa, proprio come aveva fatto l’alfa. Non è proprio lo stesso ma è esattamente ciò che vi aspettereste da un bambino che imita un adulto.

clip_image004I primatologi hanno spesso osservato piccoli maschi farlo, mai femmine. Le giovani femmine seguono piuttosto le azioni delle femmine adulte, come le loro madri. La chiamano "auto-socializzazione": i giovani primati emulano il comportamento degli adulti del loro stesso sesso. Li scelgono come modelli. Se la loro mentalità scimmia-vedi-scimmia-fare li aiuta a sviluppare comportamenti tipici del sesso, potremmo dire che anche loro hanno "generi". Il genere si riferisce all'influenza dell'ambiente nel plasmare il comportamento degli adulti, come le aspettative e le norme che circondano i ruoli di uomini e donne.

Non siamo l'unica specie ad imparare dagli altri e non l'unica con la cultura. Gli esseri umani sono segnati da uno sviluppo lento, che ci consente di imparare molto da giovani (neotenia)(*). Ma anche le grandi scimmie non si sviluppano molto più velocemente. I nostri parenti primati più stretti allattano fino a 5 anni e sono considerati completamente cresciuti solo circa 16 anni. Anche loro hanno molto da imparare e sono quindi prodotti del loro ambiente.

Il sesso biologico è diviso in maschi, femmine e una piccola categoria intermedia, gli animali in grado di cambiare sesso a seconda delle circostanze. Più la scienza approfondisce, più il sesso diventa complesso, motivo per cui parlare del "binario sessuale" è una mera approssimazione. Il genere è ancora più complesso. Nella sua definizione più comune, è come un sovrastruttura culturale in cui i sessi camminano, un elemento addizionale e spesso fittizio, un’etichetta, che cambia da luogo a luogo e di volta in volta. Il genere non è diviso in maschile e femminile, ma in maschile, femminile e tutto il resto. C'è una grande variabilità e limiti tra generi valicabili o insormontabili a seconda di casi e circostanze. Molte persone mostrano elementi di entrambi, e alcuni sfuggono del tutto alle etichette di genere.

La maggior parte dei giovani guarda ed emula modelli adulti del proprio sesso. Questa tendenza si estende ai personaggi fittizi, come quando le ragazze si vestono come principesse da favola e i ragazzi uccidono i draghi con le spade. Uno studio recente di neuroimaging ha dimostrato quanto i bambini beneficino di queste rievocazioni: la ricerca ha scoperto che i centri del piacere nel cervello dei bambini sono attivati dall'imitazione di modelli dello stesso sesso ma non di altri generi.

In altri casi Invece la società non fornisce ai giovani l’attesa socializzazione, e possono dare corpo ai loro ruoli di genere in gran parte autonomamente attraverso l'osservazione e l'emulazione di modelli del genere con cui si identificano. Se questi modelli appartengono al sesso opposto a quello in cui sono nati, il risultato sarà la socializzazione transgender, come proposto da Joan Roughgarden, biologa transgender.

clip_image006Nello stesso studio ai bambini sono stati mostrati anche attori umani, un uomo e una donna, che svolgono compiti semplici su un grande schermo cinematografico. Gli attori hanno agito in modo indipendente su diversi lati dello schermo. I ragazzi guardavano di più l'uomo e le ragazze di più la donna.

Nei nostri cugini primati, abbiamo prove sparse che i giovani si occupano selettivamente di modelli dello stesso sesso. Ad esempio, un recente studio sugli oranghi nella foresta di Sumatra ha dimostrato che le figlie pre-puberali mangiano gli stessi cibi delle loro madri, mentre i figli della stessa età hanno una dieta più diversificata. Avendo prestato attenzione a una gamma più ampia di modelli, compresi i maschi adulti, i giovani maschi consumano cibi che la madre non tocca mai.

Allo stesso modo, sono è stato osservato come i giovani scimpanzé del Parco Nazionale di Gombe, in Tanzania, imparino dalla madre come estrarre le termiti immergendo ramoscelli nei nidi degli insetti. Le figlie copiano fedelmente l'esatta tecnica di pesca della madre, mentre i figli no. Nonostante entrambi trascorrano lo stesso tempo con la loro mamma, le figlie sembrano guardarla più attentamente durante l'alimentazione delle termiti.

Le giovani scimmie femmine amano prendersi cura delle bambole che, in natura, vengono sostituite dal maneggiare tronchi di legno e rocce come fossero bambolotti, da parte delle femmine immature. Se si forniscono alle scimmie in cattività delle bambole, sono solo le femmine che le raccoglieranno e si prenderanno cura di loro per alcune settimane, mentre la maggior parte dei maschi non sarà interessata o letteralmente, le smonta.

Questo non vuol dire che tutte le femmine siano così, o che nessun maschio sia mai interessato. Ma solo che le differenze di sesso sono statisticamente bimodali con distribuzioni sovrapposte.

Ovvio che semplici esempio come questi non equivalgono ancora a ruoli di genere. È molto più facile misurare l'uso degli strumenti e le abitudini alimentari nella foresta o in una riserva piuttosto che gli atteggiamenti e le norme sociali. Ma gli studi sulla cultura dei primati si stanno evolvendo e senza dubbio includeranno misure sociali in futuro. Per lo meno, le prove attuali suggeriscono che le giovani scimmie scelgono quali modelli adulti emulare in base alla propria identità di genere. I giovani maschi cercano modelli maschili, le giovani femmine per modelli femminili.

Non va quindi esclusa la socializzazione di genere nei nostri compagni primati, né in altri animali.

(*) elemento che ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle specie che hanno portato ad Homo.

Bibliografia

Frans de Waal - Different
Tim Birkhead - Promiscuità

La dominanza maschile ha origini naturali?

Risposta breve: NO.

Risposta lunga: essere in grado di esercitare un predominio di tipo fisico non ha nulla a che fare col potere e con la leadership in una società.

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In una colonia di scimpanzè, la più grande del mondo, una femmina è stata la femmina alfa di tutti per oltre 40 anni.

Un secolo fa, lo zoo di Londra riunì un centinaio di babbuini amadriadi nella proporzione sbagliata tra i sessi. Oltre il 90% delle scimmie erano maschi. Combatterono per anni e alla fine le femmine erano tutte morte così come la maggior parte dei maschi. Lo scienziato allora in carica, Solly Zuckerman, che era piuttosto importante in quanto Fellow of the Royal Society (come Isaac Newton o Stephen King), rese popolare questo disastro assoluto. «Nei primati», affermò, «i maschi governano in modo brutale e supremo». Le femmine non hanno voce in capitolo. Le sue osservazioni alludevano, secondo lui, all'origine della società umana. Ripetuto più e più volte da altri, questo punto di vista è diventato un luogo comune finché i moderni primatologi, saggiamente ad evitare bruttissime figure, non citano più Zuckerman. In una parola, quel che l’inglese sosteneva, era del tutto privo di fondamento.

Tuttavia, la visione della supremazia maschile è ancora presente nella mente del grande pubblico, e ancora nel 2002, uno psichiatra americano, Arnold Ludwig, in un suo libro scriveva: «La maggior parte degli esseri umani è stata socialmente, psicologicamente e biologicamente programmata con la necessità di un unico dominante, la figura maschile, per governare la loro vita comunitaria. E questa programmazione corrisponde strettamente a come sono gestite quasi tutte le società di primati antropoidi».

Questa affermazione ricorda la ricostruzione di Sigmund Freud della prima famiglia umana come orda primordiale attorno ad una figura paterna prepotente.

I fatti non supportano affatto questo tipo di posizioni, relative alla nozione del signore supremo maschile obbligatorio. L’aver preso in considerazione il babbuino inoltre significava considerare una specie a noi non particolarmente vicina. Scimmia è generico: apparteniamo alla stessa piccola famiglia dei grandi primati senza coda (ape, in inglese, le grandi scimmie come scimpanzè, bonobo, oranghi e gorilla), ma non alle scimmie come i babbuini (monkey). Inoltre, il babbuino amadriade presenta un marcato dimorfismo sessuale con enorme differenza di dimensioni e peso tra i sessi, ed infine i maschi di questa specie sono eccezionalmente possessivi.

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Studiare i nostri parenti più prossimi, le grandi scimmie, offre un quadro più sfumato e meno patriarcale. I nostri due parenti più stretti, scimpanzé e bonobo, mostrano una moderata differenza di dimensioni tra i sessi, più vicina alla gamma umana. Queste due specie mostrano aspetti contrastanti, con gli scimpanzé dominati dai maschi, territoriali e violenti, e i bonobo dominati dalle femmine, molto più pacifici e pronti ad esprimere il loro carattere erotico continuamente. Fino ad ora, non ci sono osservazioni confermate di un bonobo che ne uccide un altro, laddove invece ma molte di queste osservazioni sono state registrate negli scimpanzé. La stretta sorellanza dei bonobo assicura che l'individuo alfa sia sempre una femmina. Questo è vero per tutte le colonie in cattività così come per i bonobo in natura.

Non mancano disappunti e critiche da parte di chi non si dimostra entusiasta di avere i bonobo nel proprio albero genealogico (è una battuta, ci si riferisce all’antenato comune tra noi e loro). Addirittura qualcuno sospetta che nei maschi di bonobo ci sia una sorta di “difetto” genetico, e costoro preferiscono di gran lunga gli scimpanzè perché sono favoriti come modelli ancestrali da molti antropologi, a causa dell'enfasi tradizionale sulla fratellanza e la guerra negli scenari evolutivi umani; d’altra parte le femministe ammirano la ginarchia dei bonobo. Ci si deve tuttavia rendere bene conto in termini di DNA entrambe le specie sono esattamente ugualmente vicine a noi, condividendo il 99 percento di codice genetico: non serve scegliere, sono entrambi rilevanti per la ricostruzione dell'evoluzione umana.

L'idea che i maschi siano più gerarchici delle femmine, comunemente sentita in relazione alla società umana, sorprende qualsiasi biologo. Tutte le femmine competono per rango e privilegi, stabiliscono gerarchie sociali e hanno una femmina alfa in cima.(*)

Si ricordi che, dopo tutto, la traduzione dell’inglese “pecking order”, ordine di beccata, ha dato origine al termine ordine gerarchico, e quindi ha a che fare con le galline e non dai galli.

Le femmina di cui si è scritto all’inizio (Mama era il suo nome), la grande mamma della colonia di scimpanzè più grande al mondo, l'imponente femmina alfa, potrebbe non aver dominato fisicamente nessun maschio adulto, ma godeva di un notevole potere politico. Il potere è la capacità di decidere i processi di gruppo e a questo proposito, la matriarca era assolutamente centrale. È stata alfa per quarant'anni, rispettata in questa posizione anche quando era quasi cieca e riusciva a malapena a camminare. Gli alfa maschi andavano e venivano durante il suo lungo regno, ma ognuno di loro aveva bisogno del suo supporto per avere una possibilità di restare al primo posto. La capacità della femmina alfa di radunare alleate femminili l'ha resa protagonista di tutte le interazioni sociali e una giocatrice indispensabile della squadra, maschi o femmine che sia. Era l'individuo più curato della colonia e nessun maschio si sarebbe messo in testa di ignorarla o maltrattarla.

La confusione sulle relazioni di genere nei primati deriva dall'idea sbagliata che gli animali siano governati dalla "legge del più forte". Ci è stato insegnato che tutto si riduce al combattimento, il che avvantaggia i maschi. L'abilità fisica offre vantaggi, ma le società dei primati sono caratterizzate da coalizioni. Le femmine bonobo, ad esempio, sono più piccole dei maschi e non possono dominarli individualmente. Il loro effettivo dominio è collettivo grazie alla solidarietà tra femmine, alla sorellanza.

Chi governa la comunità è deciso da scambi e interazioni nella rete sociale, dalla parentela, da amicizie e alleanze strategiche. Ciò significa che il maschio più piccolo può diventare alfa a condizione che abbia gli amici giusti e/o il supporto femminile. Significa anche che le donne esercitano un potere reale e che la leadership femminile non è difficile da trovare. In molti primati, stimo che l'influenza sociale della tipica femmina alfa sia pari a quella del tipico maschio alfa.

(*) Alfa indica la cima della piramide sociale, solitamente divisa in una per i maschi e una per le femmine poiché la competizione per lo status è prevalentemente all'interno del genere. Il termine "alfa" non si riferisce a un tipo di personalità. Ogni gruppo ha un alfa di ogni genere.

Sulla società bonobo: https://www.scientificamerican.com/article/bonobo-sex-and-society-2006-06/

Bibliografia

Frans De Waal – Different
Frans De Waal – L’ultimo abbraccio

martedì 27 settembre 2022

Cambiamento Climatico. Note perplesse, e profane, sull’efficacia e sull’utilità degli interventi.


Se i climatologi hanno ragione quando parlano di inerzia del sistema climatico globale, allora non possiamo aspettarci miracoli. La Terra continuerà a riscaldarsi anche qualora tutti i paesi del mondo si comportassero in maniera esemplare e riducessero drasticamente i gas di scarico. Questo potrà forse irritare qualcuno. Ma è una notizia migliore rispetto alle previsioni di un imminente glaciazione che circolavano all’inizio degli anni ’60. Ogni volta che la temperatura si abbassa di molto, la società è scossa alle radici. Per contro, il riscaldamento ha prodotto alcune fioriture culturali: se si può imparare qualcosa nella storia della civiltà, è questo: è vero che gli uomini sono “figli dell’eraclip_image002 glaciale”, ma la civiltà è figlia dell’interglaciale. La rivoluzione neolitica e la nascita delle prime civiltà superiori ebbero luogo in periodo in cui faceva un po’ più caldo di oggi. Se le prognosi dell’IPCC sono corrette, nel corso di questo secolo raggiungeremo nuovamente quei valori. A quel punto i ghiacciai alpini si scioglieranno, ma non quelli dell’Antartide. È già successo più volte. Risparmieremo sul riscaldamento e bruceremo meno energia fossile. Che ne sarà dei deserti? Davvero si estenderanno? Durante il Periodo Atlantico, (tra 5.000 e 7.500 anni fa, con una temperatura media più alta di circa 2,5 °C)(*) nell’area circolava più acqua di adesso, il Sahara era fertile (come testimoniato anche da stratificazioni sedimentarie di origine lacustre risalenti all'inizio a quel periodo).

clip_image006Difficile prevedere il futuro. Gli scienziati seri dovrebbero guardarsi dal voler interpretare il ruolo di Nostradamus. Le simulazioni al computer non funzionano meglio delle premesse in base a cui i dati vengono forniti; descrivono delle attese, non il futuro. La storia delle scienze naturali è anche una storia fatta di teorie false e prognosi sbagliate. È interessante conoscere i margini di imprecisione dei metodi di datazione proposti dalle scienze naturali. Le datazioni stabilite col metodo del carbonio 14 o con altri procedimenti fisici, per poter essere utilizzabili devono essere “calibrate”. In concreto: solo grazie alle cronache storiche è possibile riportare le scienze esatte sul binario giusto. Gli umanisti non sono abituati a tanta imprecisione. Rispetto ai periodi su cui gli scienziati calcolano con un margine d’errore di cento anni in più o in meno, gli storici sanno indicare il giorno, l’ora, persino il minuto. Non bisognerebbe farsi troppe illusioni sull’esattezza delle scienze naturali.

Scrivere una “storia culturale del clima”, specie se affronta le conseguenze culturali e sociali dei mutamenti climatici, vuol dire conoscere le premesse metodologiche della scienza della cultura e vuol dire prendere sul serio quei dati che non si ricavano dal ghiaccio o dal fango, ma dagli archivi della società. L’esperienza ci dice che è redditizio combinare i metodi storici con quelli propri delle scienze naturali. La storia culturale del clima ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto fargli fronte. In ciò le prognosi apocalittiche non si sono mai rivelate utili. Per capirlo non c’è bisogno di risalire alla caccia alle streghe o al crollo delle dinastie dell’Antico Egitto. Basta confrontare i provvedimenti progettati negli anni settanta per combattere il raffreddamento globale con quelli che vediamo discutere oggi contro il riscaldamento globale. E quindi opportuno invitare i climatologi alla moderazione quando parlano della storia del clima e alla cautela quando ne va della civiltà e della società.

E la combinazione di ricerca scientifica e storica confermano che l’umanità ha avuto continuamente fasi alterne di cambiamenti climatici importanti, ora molto più caldi ora molto più freddi di adesso. A volte per qualche decennio, se non anni, altre per secoli.

clip_image008Il clima cambia. Il clima è sempre cambiato. Come vi reagiamo, è una questione di cultura. Il ciò conoscere la storia ci può aiutare. I mutamenti climatici sono stati spesso percepiti come delle minacce. I falsi profeti e gli imprenditori morali hanno tentato sempre di trarne dei vantaggi. Non lasciamo l'interpretazione dei mutamenti climatici nelle mani di chi non sa nulla della storia della civiltà. Gli uomini non sono come gli animali, che devono subire passivamente ogni trasformazione del loro mondo e nella storia recente il mutamento climatico ha avuto anche conseguenze positive. Se quello attuale dovesse rivelarsi di lunga durata, e così sembra il momento, non c'è che una cosa da fare: restare calmi. Il mondo non andrà a fondo. Se farà più caldo, ci prepareremo. Un classico adagio latino dice: tempora mutantur, et nos mutamur in illis. I tempi cambiano, e noi con loro.

clip_image010Le immagini che gli astronauti delle missioni Apollo, a cominciare da quella bellissima alba della Terra, mandavano del nostro pianeta ripreso dallo spazio ne evidenziarono per la prima volta agli occhi del mondo tutta la sua fragilità.

A partire dagli anni 90 il timore del riscaldamento globale ha rimpiazzato i precedenti, come quello per la “Moria dei Boschi” o quello per il buco nell’ozono. Per la prima volta, alla sbarra non è più solo l'industria, ma ogni consumatore finale.

In pratica ogni abitante della terra è colpevole: il boscimano sudafricano, che incendia la savana per cacciare o per guadagnare terreno coltivabile, e il fazendero argentino, i cui manzi producono metano, il coltivatore di riso a Bali e il banchiere cinese, che fa i suoi affari in uno studio dotato di aria condizionata. Alcune regioni in Italia vietano rigorosamente l’uso di caminetti a legna o stufe a pellet e centinaia di milioni di indiani, miliardi in tutto il mondo, utilizzano esclusivamente la legna per scaldarsi e cucinare.

Quando, in questo contesto, si parla di protezione del clima o dell'ambiente, occorre aver ben presente di che cosa si tratta. La Terra esiste da circa cinque miliardi di anni e ci sono molte buone ragioni per ritenere che essa continuerà a esistere indipendentemente da ciò che gli uomini le fanno. La scala dei possibili mutamenti va dal pianeta infernale e rovente (Adeano) fino allo scenario della palla di neve (Snowball Earth, argomento di cui ho scritto di recente). Negli ultimi miliardi di anni della sua esistenza, per la maggior parte del tempo sulla Terra ha fatto più caldo di adesso. Solo negli ultimi milioni di anni il clima è diventato più variabile, cioè a volte è molto più caldo di adesso, altre volte -e ciò avviene più spesso- è molto più freddo. E ogni mutamento climatico ha delle conseguenze per la vita sulla Terra. Ma la natura non è un sistema morale. Alcune specie di piante e di animali prosperano quando fa più caldo, altre quando fa più freddo; alcune hanno bisogno di maggiore umidità, altre di minore umidità. Rispetto alla natura tutti i cambiamenti dell'ecosistema sono neutrali, perché ciò che danneggia una specie offre dei vantaggi a un'altra. Chi vorrebbe ergersi al giudice su questo?

Gli sforzi tesi a proteggere la natura sono di segno conservatore: clip_image012gli ambientalisti non vogliono preservare la “natura”, ma una forma abituale di natura, cioè una condizione ecologica che è “naturale” né più né meno di ogni altra. Quando si parla di “protezione della natura”, ciò che interessa davvero non è la natura, ma il benessere dell’uomo. Quando certi ambientalisti si riferiscono alla “natura” spesso stanno invece descrivendo il frutto di attività umane iniziate circa 10.000 anni fa e protrattesi fino ad oggi. In ciò c’è anche una certa incoerenza, come si può vedere dal fatto che la maggior parte degli abitanti dell’Europa centrale, pur temendo gli effetti del riscaldamento globale, decidono di trascorrere le vacanze in paesi caldi, per sfuggire al freddo e alla pioggia di casa propria. O peggio, e lo abbiamo visto quest’anno nonostante le raccomandazioni date anche dal conflitto in Ucraina, se fa caldo pochissimi sono disposti a rinunciare a tenere i climatizzatori al massimo, alla faccia delle conseguenze sul riscaldamento globale. E così, al contrario, sarà il prossimo inverno, in questa società che ci vede in maniche di camicia d’inverno negli uffici o nei centri commerciali e col golfino sulle spalle d’estate!

Il parolone “protezione del clima” serve solo a nascondere la paura di fronte al cambiamento. In realtà nelle regioni finora svantaggiate, come i Poli e i territori di alta montagna, si diffonderà un’enorme varietà di specie. Quelle iper specializzate, per contro, si estingueranno. Non è una questione di morale, ma di evoluzione.

Con ciò non si vuole contestare, si badi, la necessità di proteggere la natura. Ma bisogna chiarire che cosa deve essere protetto, e perché. Che la protezione delle specie debba avere una priorità maggiore rispetto alla loro scomparsa, dovrebbe risultare evidente a chiunque (quanto meno perché le specie coesistenti e coeve alla nostra fanno parte del nostro ambiente). Tuttavia è lecito chiedersi se gli orsi polari siano una specie a rischio a causa del riscaldamento o a causa dello sfruttamento dell'Artide da parte di attività umane come l’agricoltura, l’industria e la costruzione di insediamenti. Da lontano, stando al sicuro, è facile deplorare che non si possa impedire né l’una né l'altra cosa. Ma laggiù un orso polare che si aggira vicino ai cassonetti non è meno pericoloso dell’orso che nell'estate del 2006 girovagava per i boschi tra Germania e Austria suscitando rifiuti e paura nei diretti interessati. Gli animali dell’Artide saranno minacciati allo stesso modo degli animali dell’Africa o dell’Amazzonia. Per garantire la loro sopravvivenza fuori dai giardini zoologici, in coesistenza con insediamenti umani sempre più estesi, c’è bisogno di progetti seri e ben meditati.

clip_image014La lotta all'inquinamento dell'aria ha senso anche a prescindere della questione se i gas di scarico producono un effetto serra o gli aerosol contribuiscono al raffreddamento. Tuttavia, in presenza di una densità della popolazione molto alta, spostare questo o quell’insediamento non sarà facile come nel Neolitico. Anzi, non mancherà di provocare conflitti che peraltro sono palesemente già in atto se consideriamo la reazione media di fronte alla immane tragedia dei migranti climatici e/o economici.

Soprattutto per questo la comunità mondiale ha interessi a contenere i mutamenti climatici entro certi limiti. L’adattamento, volenti o nolenti, che le popolazioni umane subirono in passato, dal Neolitico alla Piccola Era Glaciale non è più attuabile.

Essa deve prepararsi a una grande trasformazione del clima (adaptation), ma al tempo stesso deve impedire che essa sia troppo grossa (mitigation). Non ha alcun senso voler contrapporre una strategia all’altra, come troppo spesso accade. Ma finora si sente quasi esclusivamente parlare di mitigation, spesso ignorando del tutto che dei due questo è l’obiettivo più difficile, apparentemente impossibile, da raggiungere.

(*) ricordo che, secondo i modelli di IPCC, il limite superiore da non superare è di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Ogni ulteriore aumento porterebbe alla catastrofe per l’umanità (…)

Bibliografia
Wolfgang Behringer – Storia culturale del clima. Dall'era glaciale al riscaldamento globale.