Le migrazioni hanno interessato l'umanità così come le altre specie animali per un solo scopo: sopravvivenza. Che sia ricercata a scapito di altre popolazioni o semplicemente per maggior capacità di sostentamento offerto dai nuovi territori il risultato non cambia: sopravvivere è la parola d'ordine e con l'individuo far sopravvivere la specie (Darwin docet).
La specie umana evoluta, sociale, ha accettato le migrazioni e le integrazioni ogni qual volta avessero portato vantaggi complessivi (vedi la civiltà romana per esempio e le sue elezioni a "cittadini romani" degli abitanti delle provincie) e molto più spesso le ha respinte se minacciavano la sopravvivenza.
Ma migrare fa parte del nostro genoma.
Le moderne società umane hanno stabilito limiti territoriali per se e più spesso per altri (si vedano gli arbitrari e convenzionali confini tracciati per esempio in Africa) ed accettiamo di buon grado le migrazioni purché limitate ed utili (nonostante i ripetuti tentativi referendari ad esempio agli svizzeri degli anni '60 non è mai venuto in mente di espellere i lavoratori stranieri, in maggioranza italiani) mentre rifiutano a priori quelle considerate, a torto od a ragione, dannose, quali ad esempio quelle di migliaia di disperati e bisognosi che in cambio non danno apparentemente nulla.
Ma la cosa davvero paradossale è che causa ed effetto allo stesso tempo delle migrazioni massive da quello che ormai non è più neanche terzo ma quarto mondo, dal "sud" al "nord" del mondo come si dice (lo stesso vale per le americhe centrale e meridionale nei confronti di Stati Uniti o Canada) è che è stato lo stesso "nord" a crearne le condizioni; siamo stati "noi" con lo sfruttamento ormai trisecolare dapprima militar-coloniale e successivamente economico-coloniale (il neocolonialismo) delle risorse, dei territori, delle masse, lasciando come unica maledetta eredità le abitudini peggiori quali quelle di veder autoproclamarsi capi di stato, dittatori assoluti in stile "re sole" o tiranni sanguinari personaggi di nessuno spessore socio-politico, semplici zimbelli in mano degli occidentali.
Se da decenni il fenomeno migratorio dal "sud" al "nord" si è acuito è solo perché è peggiorata la capacità di sopravvivenza in loco delle popolazioni derelitte del mondo, quella stessa sopravvivenza che era alla base delle migrazioni che hanno portato gli ominidi a muoversi dalle savane centrali dell'Africa ai tempi di "Lucy" verso ogni parte del pianeta.
E diventa paradossale e tragico sapere che oggi esistono, solo sulla carta per chi per interesse non ne ammette l'utilizzabilità, i mezzi per consentire al "sud" di sopravvivere ottimamente con una semplice ripartizione dei beni che nulla toglierebbe ad ognuno dei ricchi abitanti del "nord".
La sperequazione assurda della logica del profitto ad ogni costo e fine a se stesso sta danneggiando qualsiasi aspetto delle comunità umane: dai tagli di forza lavoro non appena si sente odore di crisi, quando sappiamo che alternative esistono, ai tagli in termini di vite umane su scala mondiale, che sia affamando direttamente o meno le popolazioni nei loro stessi paesi o respingendo le masse migratorie che premono e spingono contro i bastioni di questa nostra "Bastiglia" che prima o poi cederà sotto i colpi di maglio della "fame".
Ma se da una parte è vero ci sono i mezzi per rendere la vita (eco)sostenibile ad ognuno dei cittadini del "sud" a casa loro, fornendo loro le condizioni affinché il migrare possa avere quasi gli stessi motivi che spingono ad esempio un italiano a spostarsi in Olanda (lavoro, studio, famiglia ma non certamente fame...la stessa che pativano i nostri migranti del dopoguerra!) è altrettanto vero che la forza lavoro che ogni anno portano i migranti è ormai pari, solo nel nostro paese, a ben il 10% del PIL: un'enormità. Ed ancora di più in altri paesi dell'area comunitaria.
Ma l'equazione socio-economica ha una semplice soluzione: se rendiamo la vita sostenibile a casa loro eviteremo le migrazioni clandestine dei disperati, il traffico di carne umana ad arricchire contrabbandieri infami e saremo noi stessi ad invitarne quei gruppi di volontari che per scelta (non costrizione da fame) decideranno di andare a lavorare all'estero a fronte, perché no, di un certo grado, dal loro e non dal nostro punto di vista, di elevazione sociale o culturale.
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