lunedì 26 ottobre 2015

26 ottobre 1860-Falso d’Autore

Teano

26 ottobre 1860. Un falso storico, magari d'autore ma sempre falso rimane.

L'incontro che non avvenne mai. Non sicuramente a Teano, non sicuramente in tal modo. Al massimo una rapida stretta di mano ed uno scambio di sguardi sospettosi.
E false le testimonianze rese dai cosiddetti testimoni oculari. Qualcuno crede ancora che avvenne dove ora c'è l'autogrill dell'autostrada perché c'è tanto di mosaico a ricordare l'incontro. I più accorti invece sanno che c'è un cartello di lamiera sbiadito verso Caianello che recita, a lettere piccole, "luogo dello storico incontro" ma a parte un cancelletto di ferro che delimita uno sterrato piccolo dove c'è una colonna in cemento su quattro gradini non c'è altro. Però la fiera del paese si chiama "tricolore" e c'è ovviamente piazza Garibaldi; "l'incontro" è il nome di un caseificio locale.

"Saluto il primo tre d'Italia"
"Ed io saluto il mio migliore amico"
Ma quando mai?

Si incontrarono a Vairano, pochi chilometri in linea d'aria, dove Garibaldi aveva dormito in una locanda. La mattina del 26 ottobre 1860 invece di partire aspettò il re.

"Majesté, je vous remets l'Italia" maestà vi portò l'Italia, glielo disse in francese perché lui era di Nizza.
E il re pare non andò oltre uno stringato "Grazie".

Soldati garibaldini e truppe piemontesi non fraternizzarono affatto separandosi in due file distinte con qualche villico che gridava "Viva Galibardo" ma guardava Vittorio Emanuele II convinto che il più popolare dovesse essere anche il meglio vestito.

Garibaldi invitò il re ad assaltare le ultime posizioni borboniche ma questi rifiutò dicendo che i patrioti, i garibaldini, avevano bisogno di riposo; in realtà si voleva prendere il merito di un paio di scaramucce a buon mercato.

Il re invitò Garibaldi a colazione ma questi declinò l'invito salvo fermarsi poi da solo con i suoi a mangiare pane.

Si organizzò una parata però riservata ai soli ufficiali e quelli garibaldini si rifiutarono di andare senza i loro uomini.

I Savoia bombardarono inutilmente Capua e fecero più vittime tra i civili che tra le truppe borboniche.

I volontari garibaldini vennero sciolti: potevano entrare nell'esercito nazionale od essere congedati con un mese di soldo. Stessa cosa per gli ufficiali ma con sei mesi di paga in caso di congedo ma solo dopo che una commissione apposita ne avesse valutato i meriti per mezzo dello "spurgo": un'ingiuria per quei valorosi.

Gli ufficiali Savoia ritenevano che gli ufficiali delle "camicie rosse" avessero fatto carriera troppo in fretta e senza la necessaria anzianità. Fatto sta che i graduati passarono da 7000 a 2000 e pochissimi conservarono i gradi.

Però contemporaneamente senza attenzione né esami o controlli entrarono nei ranghi dello Stato Maggiore dei Savoia la maggior parte degli ex combattenti borbonici, come riconoscimento per il loro contributo fondamentale alla causa dell'unità nazionale quando, invece di combattere
scappavano, spesso dopo essere stati corrotti.

Era iniziato il governo piemontese.

Benedetto Cairoli ebbe a dire che i sudditi di Ferdinando II avrebbero voluto partecipare attivamente e di buon grado alla nascita della nazione Italia e non già ritrovarsi vittime di un regno antiquato, burocraticizzato ed arretrato come quello Savoia: malcontento talmente diffuso da preferir loro gli austriaci!

domenica 27 settembre 2015

Chi di ramazza perisce…

27-09-2015 14-36-48Questo fine settimana ha visto ancora una volta, credo che siano giunti più o meno alla ventesima edizione, l’iniziativa di Legambiente che vede coinvolti cittadini volontari e volenterosi armati di ramazza a pulire qua e là città e paesini. Gli altisonanti numeri riportati dai promotori non rendono sufficiente giustizia alla reale portata dell’evento: 600.000 volontari su 1700 località che fa una media di 353 a località con punte di 1000 a Roma e qualche decina nei piccoli centri. Pochini. E l’inutilità di queste iniziative non dipende ovviamente dal numero irrisorio di risorse coinvolte.

Con il rispetto dovuto a chi ha partecipato o parteciperà non sono comunque d'accordo con iniziative come queste così come non lo sono per centinaia di iniziative dei cosiddetti gruppi retakequi il link a quelli del gruppo romano- che periodicamente ma più spesso a caso si attivano per dare una ripulita alla lordura delle nostre città di cui Roma ormai da più di un decennio sembra essersi fatta untrice e spettatrice passiva di quella che è ormai zozzeria dilagante: e qui il termine dialettale romanesco calza a pennello.

In un mondo ideale sarebbe sufficiente che ognuno si impegnasse a non sporcare e che le amministrazioni 12036797_10204709173878212_8477993124147246569_nsanzionassero pesantemente i trasgressori.
Non sono d'accordo perché pagando tasse in cambio di servizi pretendo che questi vengano erogati e se ciò non accade non voglio sborsare ancora risorse di tasca mia anche fossero solo tempo e mezzi.

Qualcuno osserva che così come esistono i cattivi esempi ci sono anche quelli buoni e queste iniziative sono proprio del secondo tipo: dare un esempio, buono, di comportamento. Certamente. Ma il buon esempio è continuamente dato anche da tutti coloro i quali rispettano le regole e non mi pare serva: iniziative quindi certamente ammirevoli, forse, ma sicuramente altrettanto ingenue nel pensare di fungere da esempio.

adesiA che giova farsi venire la tendinite gratuitamente per scrostare da pali, cassonetti e serrande milioni di adesivi abusivi se una settimana dopo si è punto e daccapo senza che nessuno, autorizzato a farlo, si sia preso la briga di individuare (e qui è facile, ci sono i telefoni!) ai mandanti dell’attacchinaggio selvaggio per sanzionarli pesantemente?

Inoltre il cittadino corretto e pulito va a fare, con queste iniziative, proprio ciò che chi sporca non si sognerebbe mai, danno e beffa dunque.

Insomma questa beneficenza a chi non ne ha diritto, le amministrazioni e gli enti che fanno funzionare le cose, non la trovo corretta. La beneficenza la faccio a chi non avrebbe comunque nulla da nessuno: non si tratta di situazioni di emergenza come quelle che vedono coinvolti i volontari a portare aiuto a persone alluvionate o vittime di altri disastri più o meno naturali.

I sostenitori di iniziative come queste portano esempio stranieri con i soliti slogan “in tutto il mondo lo fanno…” quando la realtà dei fatti li smentisce categoricamente.
Le uniche iniziative che si conoscono sono quelle relative alla cosiddetta street art, come in Olanda ad esempio, e che coinvolgono gli studenti di grafica e design ad abbellire la monotonia del mattoncino bruno tipico di quell'edilizia. Non certamente di pulizia, dal Portogallo alla Polonia. E quindi, un conto è abbellire un anonimo muro grigio con disegni ed ornamenti e ben altro è ripulire le strade dal pattume dovuto da una parte all’assenza delle amministrazioni e dall’altra alla sciatteria di pochi incivili.

O si pretende forse che il singolo abitante di una città popolosa si comporti come la famosa massaia pugliese di paesini come Locorotondo od Alberobello che si pulisce con secchio e straccio i pochi metri quadrati di selciato davanti alle porte delle loro abitazioni a livello del vicolo?

Non è con questo tipo di esempi che si cambia la testa dell'incivile. Non è luogo comune ma realtà dei fatti raccontare dei tedeschi incivili (e solo loro ovviamente non i tedeschi tutti) che a casa loro non oserebbero lasciare una bottiglia in giro e poi nei nostri campeggi sono mediamente i più zozzi di tutti. A casa loro non osano perché vengono pesantemente sanzionati da un'amministrazione efficiente nell'esecuzione e nella prevenzione.

Ognuno esprime la propria attività in modo personale. Mi sembra di non essere l'unico che dissente. Preferisco giudicare dai fatti: gli amministratori si presentano con un programma con cui solo i fatti, serenamente osservati, possono confermarlo e sono troppi anni che vengono disattesi o lasciati all'iniziativa privata.

Perché allora non auto finanziarci anche l'asfalto delle strade? Perché non rimuovere le auto parcheggiate male? Ironicamente, perché questi volenterosi cittadini non si organizzano in turni di ramazza a coprire le strade del quartiere come le massaie le già citate massaie pugliesi?

cambio-lampione-adelfia-1-1024x1024A quando il vedere un cittadino arrampicato su una scala a cambiare le lampadine dei lampioni perché chi dovrebbe farlo latita e chi dovrebbe controllare chi dovrebbe farlo è assente?

Posso accettare ed apprezzare di ornare l’anonimo muro grigio o di interrare piante in un area che ne è priva ma proprio non riesco ad accettare l'idea di pensare di risolvere problemi SERI con iniziative che, per quanto in buona fede, restano locali e limitate e spesso inutilmente fini a sé stesse. Demagogiche. I problemi richiedono soluzioni adeguate ai problemi non battute polemiche, code di paglia e sorrisetti autocompiaciuti di chi fa questo tipo di volontariato.
E qui parliamo di problemi grossi e seri da trattare con serietà.

Se vedo qualcuno che sta male chiamo un'ambulanza e lo faccio portare in ospedale e pagando le tasse pretendo l'una e l'altro, non mi aspetto né mi affiderei ad iniziative locali.

Così, e parlo per la mia città, è proprio  soltanto…na romanella.

sabato 13 giugno 2015

Scienza e civiltà–ed una carezza ad Enrico Berlinguer

 

hqdefaultDi fronte alle magliette con le “ruspe” di Salvini, e più in generale alle sue esternazioni, non so se far prevalere in me il senso di nausea o quello sarcastico che lo vorrebbe relegato nella zona in cui metto i mentecatti.

 

 

Ma poi mi soffermo a pensare sulla totale irrazionalità delle affermazioni di quel genere e ripenso alle parole di Enrico Berlinguer,  del quale giusto l’altro ieri si commemoravano i 31 anni dalla scomparsa prematura. Berlinguer invitava tutti a fare politica, senza distinzioni di sorta, ad esercitare sempre e comunque il proprio diritto di critica, di ragionamento, di uso delle proprie facoltà.
Scriveva Berlinguer dal carcere di Sassari, a soli 22 anni, dove fu rinchiuso per 100 giorni per aver preso parte ad una protesta contro il carovita:

«(…) Mi accade spesso di incontrare questi strani individui che sogliono ugualmente autodefinirsi apolitici, ma finora sono fortunatamente rimasto immune da questa nuova elegante moda neofascista. Perché in fondo, questo terrore della politica, che è, non lo si dimentichi, quella parte essenziale dell’attività dell’uomo che concerne i rapporti sociali con i propri simili, è un fenomeno tipicamente fascista. Del fascismo post 25 luglio, ben s’intende. Perché prima la politica, i fascisti, la facevano e in un modo così originale e delicato che non la lasciavano fare agli altri. Secondo queste persone, dove si parla di politica, non c’è pace per l’uomo. E uomo è qui uguale al fascista e alla sua coscienza. In altre parole: o politica fascista che chiude la bocca agli altri, o niente politica che ugualmente chiude la bocca agli altri. (…) In questo senso tutti possiamo dirci liberali, inteso il liberalismo non nel significato politico o economico, ma in quel più vasto significato umanistico che vuole che a tutte le facoltà dell’uomo sia dato libero sviluppo.»

A tutte le facoltà dell’uomo sia dato libero sviluppo.

E mi viene proprio in mente adesso Karl Popper che distingueva le società essenzialmente in due categorie: «società aperta», ovvero una società nella quale è possibile l’esercizio della critica e «società chiusa», dove questo non è possibile. Esercizio della critica che deve consentire alcune idee ne soppiantino altre con queste ultime che dovranno scomparire perché razionalmente si è dimostrato la loro inapplicabilità, la loro irrazionalità, la loro inutilità. Far scomparire le idee con l’esercizio della critica e non far scomparire gli uomini che le sostengono, sia chiaro, e sempre per dirla con Popper «Il metodo critico o razionale consiste nel far morire al nostro posto le nostre ipotesi» e, parafrasando Winston Churchill quando il suo partito perse le elezioni per la prima volta disse alla moglie che era contento perché si era battuto tutta la vita per consentire ad altri di imporre democraticamente altre idee alle sue.

L’atteggiamento riportato da Popper è la base stessa del metodo scientifico, della scienza moderna, che ancora una volta si dimostra non solo essere il più efficace metodo per accrescere la nostra conoscenza ma anche un contenitore di valori che personalmente vorrei continuamente vedere applicati anche in altre aree della vita civile. Se c’è un settore dove prevalgono sempre onestà e moralità è proprio quello della ricerca scientifica proprio perché, è sempre Popper a dirlo, la scienza non è un insieme di predicati verificabili ma è al massimo un insieme di teorie complesse che possono essere, al più, falsificate globalmente. Ogni scienziato sa che ogni teoria ha come limite di validità il momento in cui il confronto con la realtà dovesse fornire elementi per ritenerla non più valida ed è la teoria stessa che offre gli strumenti di verifica, di falsificabilità. Più onesto di chi, innocente, offre ai propri accusatori gli strumenti atti a cercare di dimostrarne la colpevolezza, chi altri?

Il fatto che le teorie scientifiche sono, anzi, devono essere criticabili, espresse con chiarezza ed indicanti in anticipo quali fatti potrebbero «falsificarle» è una lezione per la democrazia, per la politica perché la politica democratica non è, contrariamente a quanto si pensi, il governo del popolo (alla faccia dell’etimologia), o della maggioranza, ma deve semplicemente essere la possibilità di eliminare idee sbagliate od un cattivo governo senza spargimenti di sangue, senza eliminare le persone che le sostengono.

Da questo punto di vista le persone come Salvini rappresentano, a mio giudizio, il fascismo mascherato da volontà popolare, la prevaricazione di idee irrazionali ed inapplicabile su elementi logici; persone che senza contraddittorio di sorta, senza conoscere i termini della questione, vorrebbero chiudere la bocca ad ogni forma di politica che non sia la loro salvo poi, una volta consolidati, far di tutto affinché non si parli più di politica, come nel periodo fascista precedente al 25 luglio 1943. L’idea stessa che una ruspa trasmette è quella di demolizione e quindi violenza, anche se solo concettuale ma pur sempre violenza.

Ma allora, alla luce delle così tante adesioni che partiti come la Lega e movimenti estremisti come Casapound, come conciliare il potere del voto come strumento di falsificabilità dell’idea politica?

Ebbene, questi, secondo me, sono gli effetti collaterali della democrazia e del suffragio universale che conviene comunque accettare. A differenza del mondo scientifico nel mondo reale, nelle società, aperte o chiuse chi siano, a prevalere è l’irrazionalità.

Sappiamo infatti cosa accade quando l’irrazionalità si arroga il diritto di pontificare in ambito scientifico.

Nei lontani anni del comunismo duro e puro di sovietica matrice e fino a tutti gli anni ‘70 in Unione Sovietica era scienza soltanto quanto dichiarato o scoperto dai possessori della tessera di partito mentre gli altri o erano rapiti e costretti comunque a lavorare per lo stato, ma in segreto, o finivano come si diceva e faceva allora in Siberia ed infine i più fortunati riuscivano a passare oltre cortina e costretti all’esilio.

Questo oltre ad aver portato ritardi o clamorosi errori, a volte catastrofici, nei cosiddetti piani pluriennali questa cosa evidenzia, come se già non fosse palese di suo, che la scienza è una e non esiste scienza ufficiale distinta da qualcosa non ufficiale.

Ed ancora una volta emergono forti ed insormontabili i motivi di inapplicabilità del metodo scientifico alla vita civile.

La maggioranza irrazionale è troppa ed imbattibile e come dice l’adagio, è inutile cercare di discutere con un idiota, per farlo dovresti abbassarti al suo livello e saresti battuto per inesperienza

mercoledì 10 giugno 2015

Giocate, giocate!

10-06-2015 16-50-43Tempo fa, pur a conoscenza dell’argomento, feci mio un passaggio del bel libro di divulgazione matematica “Chiamalo X! Ovvero cosa fanno i matematici?” di Emiliano Cristiani che, nel capitolo dedicato alle probabilità ed alla statistica, esordiva più o meno così: “La statistica andrebbe insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado … perché la statistica non conosciuta può anche uccidere”. Si riferiva ovviamente al gioco d’azzardo ed all’accanimento che diventa anche patologico in moltissimi casi.

Un paio d’anni fa poi ci fu anche un bel servizio de “Le jene”, rivedibile qui, che spiegava ottimamente, con il sussidio di un matematico e di un fisico, come la statistica può dimostrare che tutti i giochi d’azzardo sono cosiddetti giochi iniqui, ovvero con regole ben scritte sì, ma scritte per far vincere (quasi) esclusivamente il banco. Compresi ovviamente i giochi avallati con bollino di stato ufficiale quali quello del Lotto e tutti i suoi derivati similari, i “gratta & vinci” di ogni tipo e così via.

Per motivi che non sto qui a raccontare conosco quelli che sono gli utili degli enti autorizzati a far giocare i nostri concittadini in maniera ufficiale, e sorrido amaramente pensando che una volta uno dei funzionari di uno di questi enti disse che senza di noi prolifererebbe il gioco clandestino in mano alla criminalità…”. Sappiamo bene invece che questo prolifera comunque, con o senza di loro; vedi l’ultimo caso della cosiddetta calciopoli che ha coinvolto le serie minori in Italia da una parte ed addirittura la FIFA dall’altra!.

Un nostro ministro dell’Economia una volta inoltre disse: “Le entrate da gioco sono entrate come tutte le altre”. Contraddicendo invece sia il ministro che la mia precedente posizione, che auspicava il ravvedimento degli stolti giocatori, in realtà sposo invece oggi una posizione completamente diversa. Anziché quindi auspicare che il fenomeno diminuisca dovrà invece restare costante se non aumentare!

Al contrario dei fumatori, che da contribuenti extra anch’essi, è decisamente meglio per le tasche di ognuno che diminuiscano, viste le spese che ogni stato sostiene ogni anno per le malattie da tabagismo, che i giocatori ossessivo-compulsivi aumentino!  Mi sovviene ora che il giocatore fumatore, accoppiata frequente visto il nervosismo indotto da perdite frequenti, direi continue, è quindi doppiamente ignaro del prelievo fiscale a suo danno!

Le entrate da gioco (non è mia) sono altro che entrate qualsiasi! Sono le entrate più nobili perché “possiamo plaudire alla lotteria pubblica come un sussidio pubblico per l’intelligenza” (W. Quine, filosofo americano del ‘900): altro che cercare di spiegare al popolo, tenuto molto saggiamente nell’ignoranza che giocare al Lotto(*) è estremamente irrazionale, che si continui così e lo si lasci al suo destino!

Se vi collegate alla pagina web ufficiale del gioco del Lotto (www.giocodellotto.com) trovate, tanto per cominciare, in bella vista i numeri ritardatari. La cosa simpatica, se non fosse tragicamente illustrante l’ignoranza statistica –anche se secondo me è malafede- è che alcuni numeri sono talmente in ritardo che lo Stato si preoccupa affinché non vengano giocati con troppa ostinazione! Un po’ più sotto poi si scade nel patetico: istruzioni su come giocare ispirandosi alla Smorfia, ai sogni, al contenuto del frigorifero!

Utilissimo! Tutte cose che distolgono l’attenzione dalla verità, dal paradosso della lotteria:

- benché ci siano dei vincitori, la probabilità di essere tra questi è talmente bassa da essere praticamente nulla

E che distraggono anche da una fondamentale, ed elementare, legge della statistica:

- le probabilità di estrazione di un numero sono sempre identiche ad ogni giocata, indipendentemente dal fatto che esso sia già uscito o meno

Insomma che ci crediate o no anche se il 31 non esce a Bari da 127 settimane (dati odierni) la probabilità che esca è sempre la stessa ed è identica a qualsiasi altro numero e persino a qualsiasi numero fosse anche uscito 127 volte di seguito in altrettante estrazioni!

Lasciate perdere istruzioni e ritardi e correte a giocare! Giocate, giocate, giocate!!! Il Lotto e per dirla sempre con Quine “produce entrate pubbliche calcolate che contribuiscono ad alleggerire il fardello di esazioni, tasse e balzelli che grava su ognuno di noi, noi avveduti ed attenti cittadini che ci guardiamo bene dal giocare, ci asteniamo dal farlo a spese della massa incauta ed ottenebrata…”, di chi spera nella botta di culo.

In altre parole sia lodata questa deliziosa “tassa sull’imbecillità” (lo disse un famoso matematico). A patto che noi, minoranza esigua di razionali intelligenti, ne traiamo davvero qualche vantaggio. E, statisticamente parlando, i vantaggi sono garantiti anche dal fatto che chi non gioca trae beneficio dalla riduzione indiretta del carico fiscale dovuto alle entrate delle lotterie, mentre chi gioca no…quel minimo vantaggio…se lo gioca!

(*) ed oltre al Lotto, ripeto, ci metto tutti i vari giochi sponsorizzati e sostenuti dai nostri Monopoli di Stato e facenti capo al gruppo Lottomatica (oggi gruppo internazionale, IGT) e vari altri concessionari di gaming, anch’essi rispondenti ai Monopoli, quali Codere, B!Win, William Hill e tanti altri.

domenica 7 giugno 2015

Appendice razionale–sull’ateismo derivato.

 

topicAppena un paio di giorni fa, in questo post, evidenziavo quelle che sono le conseguenze più importanti, in termini sociologici e psicologici, che derivano dall’accettazione della spiegazione darwinista, ed ovviamente delle sue successive rielaborazioni moderne corroborate e sostenute da una mole di dati sperimentali e di evidenze empiriche.

Al tempo stesso anticipavo brevemente il mio punto di vista:

(…) tutto questo, nella mia visione della vita che comunque deve attribuirle un senso umano, il vivere stesso, la rende ancora più degna di rispetto e rafforza il concetto che va compiuta meritatamente ad un’etica kantiana: “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.

O, in altre parole, che la visione del mondo filtrata attraverso il mio pensiero non è priva di un senso di rispetto profondo e di incolmabile stupore nei confronti della vita stessa, della realtà delle cose, terribilmente più complessa di ciò che appare, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande passando attraverso questo flash cosmico che chiamiamo Terra.

Il fatto di non credere che alcun dio stia ad ascoltarmi e di vivere la mia vita pressoché certo(*) che non esista affatto non mi impedisce di guardare al mare o ad una montagna con un canto di gioia silenzioso che ringrazi il mondo per la sua bellezza. Non trovo nessuna contraddizione fra rifiutare l’irrazionalismo ed ascoltare la voce degli alberi, dialogare con loro, poggiare le mani sui loro tronchi e sentirne il fluire della loro forza verso il palmo delle mie mani. Gli alberi non hanno un’anima. Né più, né meno, ne sono certo, di quanto non abbia anima l’amico con cui mi confido, ma questo non mi impedisce di chiacchierare con lui così come non mi impedisce di ascoltare la voce di una montagna che mi racconta il suo divenire, né di gioire profondamente di entrambi questi scambi e, non ultimo, né di mettere tutto me stesso per cercare di lenire il dolore dell’amico che soffre così come nutrire un gatto randagio.

Non c’è bisogno di alcun dio per percepire la sacralità della vita e del mondo. Non abbiamo bisogno di garanti esterni per accorgerci che abbiamo valori e possiamo arrivare fino a morire per difenderli. Se scopriamo che il motivo della nostra generosità, del nostro amore per gli altri, lo si può trovare nelle pieghe dell’evoluzione (come fatto appunto nel post già citato) della nostra specie, non per questo ameremo meno i nostri figli od i nostri simili. Se la bellezza ed il mistero delle cose ci lasciano senza fiato, resteremo senza fiato, emozionati ed in silenzio.

tumblr_nlib2f3A461rxar5ho1_1280Bastano 100 microgrammi di LSD per permetterci di percepire il mondo, la sua realtà, in modo completamente diverso. Non più o meno vero: diverso. Il nostro sapere è di gran lunga troppo poco per non accettare di vivere immersi nel mistero proprio come Socrate quando affermava “so di non sapere”.

 

 

Proprio perché esiste il mistero ed è così grande, non possiamo fidarci di chi dichiara se stesso il depositario delle chiavi di tale mistero. E questo è proprio quando pretende la religione e soprattutto quanto pretendono in assoluto i monoteismi e con esse le tre grandi religioni monoteiste.

E non cado nel tranello di chi cerca di attribuire egoismo all’individualità razionale: è questa una tentazione irrazionalista, così di moda oggi insieme all’antiscientismo dilagante, che crea solo confusione. Questi pretenderebbero che essere razionali sia sinonimo di comportamenti sociali ingenerosi e, falsando la prospettiva, si cerca di attribuire ad un comportamento razionale egoismo. Perché mai un comportamento razionale dovrebbe essere più egoista di uno irrazionale?

La ricerca di soddisfazione di bisogni personali, ad iniziare dai meccanismi che sono alla base della trasmissione dei caratteri ereditari (ricordo ancora una volta Richard Dawkins e la sua splendida teoria de “Il gene egoista”)  sono iscritti nel nostro patrimonio genetico, ma lo sono egualmente la nostra generosità ed il nostro comportamento sociale. Assumere che le motivazioni primarie dell’uomo siano solo egoistiche ed antagoniste agli altri uomini non è razionale: è miope alla complessità dell’umano.

Dal lato opposto la spinta irrazionale non brilla certo in generosità: fu puro irrazionalismo, espressione di quello spirito «dell’interezza e della comunità» che oggi molti vorrebbero mettere a difesa della civiltà, quello che nutrì la risplendente ascesa dell’ideologia nazista nella Germania degli anni Trenta che non brillo certo per generosità; fu per un onesto desiderio di salvare le loro anime che furono bruciate come streghe migliaia di donne europee; fu per spirito di identità religiosa che cristiani e musulmani si sono, e si stanno tuttora, massacrati senza quartiere.

Preferisco l’incertezza ed accettare di andare verso l’incertezza ha permesso all’umanità di costruire il mondo nel quale stiamo vivendo. Insegna più sul mondo l’incertezza, più seria, più onesta, più bella, di quanto facciano messi tutti insieme gli irrazionalismi religiosi che pretendono, ognuno a suo modo, d’essere i depositari della verità assoluta.

Alla faccia del principio antropico(**)!

 

(*) in una scala da 1 a 7, dove 1 è il teista certo e 7 l’ateo certo sono per motivi logici a 6. Non ho prove scientifiche della non esistenza così come non ne ha chi sta ad 1, ma vivo come se ne avessi. Ovviamente il 4 rappresenta l’agnosticismo.

(**) altro argomento meraviglioso che mi piacerebbe riuscire a trattare anche sue queste pagine.

venerdì 5 giugno 2015

La vita: sopravvivenza senza scopo (darwinismo)


“Gli esseri umani si interrogano da sempre sul significato della vita: la vita non ha alcuno scopo diverso da quello di perpetuare la sopravvivenza del DNA. Non c’è alcun disegno o scopo nella vita, non c’è bene né male, nient’altro che cieca ed impietosa indifferenza” (Richard Dawkins)

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Nella figura una bellissima e dettagliata rappresentazione grafica dell’evoluzione (click per ingrandire)

Il titolo è forte, diretto, immediato: scuote violentemente alla base qualsiasi posizione antropocentrica e soprattutto elimina qualsiasi giustificazione teologica. Ma è così o per lo meno, come il grande biologo inglese, ne sono convinto.

Ed anticipo però quanto forse doveva essere conclusione. Ma tutto questo, nella mia visione della vita che comunque deve attribuirle un senso umano, il vivere stesso, la rende ancora più degna di rispetto e rafforza il concetto che va compiuta meritatamente ad un’etica kantiana: “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”. 

Rileggo a tratti in questi giorni pagine quasi prese a caso dai numerosi libri di Richard Dawkins o di Charles Darwin stesso tra cui lo splendido diario di viaggio con il Beagle.

I punti principali che emergono chiari dall’analisi di dettaglio compiuta da Dawkins sono pochi ma limpidi; analisi che già fu chiara allo stesso Darwin ma che, probabilmente su revisione delle ultime edizioni operata da sua figlia Henrietta, non passarono allora forti come ora.

L'evoluzione è semplice in modo ingannevole ma totalmente profonda nelle sue implicazioni, la prima delle quali è proprio quella che porta le creature viventi ad essere diverse le une dalle altre con variazioni che sorgono a caso, senza un piano o uno scopo.  L’evoluzione non può e non ha di fatto nessun piano, nessun progetto o fine perché il suo principio fondamentale è la selezione naturale del più adatto a sopravvivere in determinate condizioni ambientali e quindi del più adatto a perpetuare nella progenie il proprio patrimonio genetico: è un prodotto di errori casuali di copiatura di parti di codice e che i genetisti chiamano mutazioni. E voglio ricordare che con ambiente non va inteso soltanto molto semplicemente quello esterno che circonda un organismo vivente ma soprattutto, quello meno noto e citato, dato dalle interazioni ambientali tra qualunque vivente e le specie che tendono a parassitarlo, a contaminarlo, a trasformarlo in una risorsa.

Darwin era profondamente consapevole che l'ammissione di qualsiasi intenzionalità di sorta per la questione dell'origine delle specie avrebbe messo la sua teoria della selezione naturale su un pendio molto scivoloso nonostante le prove fossero sotto gli occhi di tutti che però erano accecati dal desiderio, molto umano, di trovare un disegno ed uno scopo alla vita, all’universo stesso.

Il genio di Darwin fu dato dal saper vedere oltre l’apparente illusione di un disegno e dalla comprensione del processo spietato operato dalla selezione naturale, dal comprendere la vita e la morte in natura e soprattutto che l’eliminazione della maggior parte degli organismi dall’albero della vita tranne quelli di maggior successo non deve far intendere, non deve dare l’idea che ci sia dietro tutto  ciò un intelletto maestro che abbia progettato il mondo. Perché un’attenta analisi della apparente perfezione rivela che tutto ciò è esclusivamente prodotto di comportamenti casuali, ripetitivi ed inconsci e non certo un disegno consapevole.

Il fatto che l'evoluzione insegni che la vita non ha scopo diretto se non quello di perpetuare la propria sopravvivenza sembra fortunatamente che non vada perduto tra i docenti: uno di loro, interrogato in proposito, una volta rispose che l’insegnamento dell’evoluzione e della selezione naturale aveva fortemente influenzato la propria coscienza perché un insegnante, per definizione, deve poter pensare che il proprio scopo sia quello di trasmettere conoscenza. Più difficile è il mondo dei bambini che offrono una naturale resistenza nell’accettare i concetti dell’evoluzione: questi in maniera del tutto naturale vedono il mondo in termini di disegno e di scopo esattamente come civiltà primitive cercavano nel volere degli dei la spiegazione e le cause degli eventi naturali nonché dello scopo stesso del vivere.

Il concetto fondamentale è stato ben espresso: siamo soltanto un po’ di spazzatura inquinante, se non esistessimo, l’universo sarebbe per lo più lo stesso. Siamo del tutto irrilevanti.

Purtroppo ancora oggi molti libri di testo continuano a trasmettere, spesso in maniera quasi subliminale, concetti distorti del darwinismo e delle sue implicazioni lasciando intendere che la visione evoluzionistica sia nichilista ed atea attribuendo a Darwin l’appartenenza a scuole di pensiero che credevano in un certo materialismo filosofico che attribuisce alla sola materia il concetto di sostanza di tute le cose e che tutti i processi mentali e spirituali sono suoi sottoprodotti.

Un altro grossolano errore, ripetuto in maniera voluta e provocatoria, è quello di attribuire al darwinismo un certo grado di inutilità visto il suo essere senza cuore con una natura maligna e diabolica che elimina con cura e senza pietà tutti gli inadatti e con infine, la mente umana ridotta ad una massa di neuroni in evoluzione e, peggio che mai, senza alcun piano divino a guidarci.

L’estensione poi del concetto di adatto a, volutamente ed erroneamente, forte, in ambito sociale ha scatenato fin dai tempi della pubblicazione dei testi di Darwin, questa idea di sopravvivenza del più forte che in ambito umano provoca reazioni etiche di varia natura. Darwin fu addirittura annoverato come una delle menti causa dell’evoluzione di movimenti culturali in cerca di identità razziale quali il nazismo.

Una visione ancora legata al concetto di progetto, di guida occulta, riconosce i meccanismi evolutivi e li accetta ma, considerando che in cima al già citato schema evolutivo c’è l’essere umano come prodotto più complesso ed evoluto di tutti, le attribuisce come scopo quello di esser giunti all’uomo. Insomma, anche se disposti ad accettarne i concetti per molte persone è stato più duro accettarne le conseguenze fino al punto di rifiutarle a meno di non doverle trovare comunque uno scopo.

Gli essere umani provengono invece dalla stessa fonte evolutiva ed al pari di qualsiasi altro organismo vivente: la selezione naturale di geni egoisti ci ha dato il nostro corpo ed l nostro cervello. La selezione naturale spiega  perfettamente da sola tutta la vita, la sua enorme diversità, la sua complessità ed il disegno apparente che sembra governare tutto ciò.

La vera difficoltà ad accettare la teoria di Darwin è sempre stata dovuta al fatto che che sembra diminuire la nostra importanza. L’evoluzione ci chiede di accettare il fatto che, come tutti gli altri organismi, anche noi siamo i prodotti di un processo casuale e che, per quanto la scienza sia in grado di dimostrare, non siamo creati per scopi speciali o come parte di un disegno universale. Conseguenza, o meglio direi premessa fondamentale, è che darwinismo e teismo sono antitetici. Con tutte le conseguenze sociologiche ed antropologiche immaginabili.

La visione darwiniana che gli organismi oggi presenti, di qualsiasi tipo, non sono stati creati spontaneamente, ma si sono formati in una successione di piccolissimi eventi selettivi in tempi lunghissimi in passato, ha contraddetto la visione religiosa comune del disegno intelligente di un progettista. Lo schema evolutivo invece non necessita né di progetto né tanto meno di progettista ed ancora una volta antitetiche sono ovviamente le visioni creazionista e darwinista.

Prima di Darwin la vista della natura era oscurata dalla giustificazione e dalla credenza del disegno naturale, una sorta di piano, di ordine costituito. Dopo Darwin tutto si è illuminato con l’applicazione di processi semplici nella loro essenzialità ma dalle conseguenze profonde e sotto gli occhi di tutti. E’ difficile abbandonare il punto di vista che impedisce di abbracciare la casualità degli eventi.

Rendersi conto che il piacevole volto esteriore della natura cela invece una lotta continua tra individui non solo di specie diverse ma all’interno della stessa può turbare ma va accettato nella sua pienezza. La chiave del successo riproduttivo scuote violentemente il senso teologico e tutti gli obiettivi su cui i teologi naturali hanno basato le loro idee di adattamento e perfezione è stato sostituito da tutt’altro.

103836Non siamo più in epoca vittoriana dove le reticenze e le ostilità contro il pensiero darwinista potevano essere in un certo qual modo giustificate. L’evoluzione è sotto gli occhi di tutti ed ormai numerosi esperimenti sia in laboratorio che in natura ha ampiamente dimostrato che è una realtà. Questa visione è quella che ha la maggioranza degli scienziati: uno studio su 149 biologi di fama internazionale ha rilevato che il 90 percento di questi ritiene che l'evoluzione non ha scopo ultimo né obiettivo tranne che la sopravvivenza necessaria alla trasmissione dei geni dei singoli individui. Persino il vecchio concetto di adattamento della specie è stato dimostrato essere soltanto una conseguenza incidentale dell’evoluzione del singolo individuo.

Noi, come qualsiasi altro essere vivente, siamo solo un incidente cosmico casuale nel tempo e nello spazio.

La resistenza è più sociologica ed antropologica che scientifica tanto che qualcuno ha detto che il darwinismo ha un potere distruttivo sociale enorme alla luce della scoperta che tutti coloro i quali che ritengono, correttamente, che l’evoluzione non ha scopo alcuno, sono atei.

E questo è il motivo principale per cui ancora oggi si fatica ad accettare più le conseguenze del darwinismo che i concetti in esso espressi.

giovedì 4 giugno 2015

Me ne frego!

11350484_774090346042879_6870130212229630650_nProprio oggi che sono finiti in carcere altri 44 nomi (no dico, qua-ran-ta-quat-tro) della nomenKlatura comunale di Roma, manette bipartizan a seguito della seconda parte dell’inchiesta “Mafia Capitale”, mi sono sorpreso a pensare che sono decisamente stanco di sentire da ogni dove i soliti triti e ritriti discorsi sui costi della politica come male da estirpare e causa di ogni disastro, sociale ed economico.
In ogni talk show e rimbalzato di bocca in bocca con alcune delle modalità che ben sono state evidenziate qui questi discorsi si rifanno sempre, scimmiottandosi l’un l’altro in un crescendo di idiozia, al proponimento di soluzioni radicali del tutto inapplicabili a problemi che invece andrebbero smontati in mille piccoli pezzi soltanto per capirne la struttura, figuriamoci le soluzioni!

14Rizzo e Stella scrissero il loro “La casta” ben otto anni fa e da allora nulla è cambiato se non l’aumentare delle fonti che riportano più volte al giorno casi di personaggi del mondo della politica che di volta in volta vengono additati perché guadagnano troppo, perché hanno incarichi multipli, perché prendono gettoni di presenza per riunioni a cui non partecipano (salvo contemporaneamente lamentarsi dell’assenteismo degli impiegati), per i loro vitalizi immeritati che daranno loro centinaia di migliaia di euro in pensioni a fronte di qualche decina di migliaia di euro di contributi…e via di questo passo. Ma quando vai a farti due conti seriamente ti rendi conto che anche tagliando del 50% i costi della politica, come va tanto di moda oggi dire e ripetere a vanvera, non cambierebbe proprio nulla.

Milena Gabanelli è quasi un ventennio che settimanalmente ci racconta le schifezze di questo paese, eppure l’ignavia e la stasi regnano ovunque ed anzi, peggiorano ed una parte del peggioramento è tangibile nell’aumento, certamente non preoccupante più di tanto, dei fenomeni tipici della destra estrema ottimamente rappresentata dall’attuale leader leghista Matteo Salvini, che sarà sempre il solito contaballe celodurista ma ha effetti carismatici su parte dell’elettorato indeciso.

Sul grillismo sorvolo: è stata una novità ma solo sulla carta, talmente ben lucidata che ha ingannato, ma solo la prima volta, anche un vecchio astioso come me.

La sinistra? …

E nonostante queste costanti a cui si cerca di addossare capri espiatori oggi sui costi della politica, domani sui migranti e sui Rom, dopodomani chissà dove, il risultato complessivo nonostante ben quattro cambi di governo in pochi anni, non cambia. Evidentemente sono errate sia l’analisi che l’approccio, per non parlare degli analisti.

E’ chiaro che io stesso, di fronte a tutto questo, mi sento defraudato e privato di qualcosa, che provo un continuo e fastidiosissimo senso di prurito anale perché qualcosa o qualcuno mi sta fottendo mio malgrado, ma è altrettanto chiara in me la sensazione che mi sono decisamente stufato di ascoltare e men che mai di capire. Da cittadino l’unica arma a disposizione per cercare di spostare un decimilionesimo di millimetro l’ago verso la direzione voluta, desiderata, è la partecipazione democratica, la proposizione collettiva, l’espressione del voto. Spostamento che non avviene perché da troppi anni le promesse elettorali sono disattese sistematicamente, in buona o mala fede.

Nella società dove tutti credono di sapere tutto non si muove più niente e le uniche reazioni, mi si perdoni il gioco di parole, sono quelle reazionarie che fanno notizia o quelle delle notizie manipolabili per crearla la notizia, in un vortice di non senso che non porta da nessuna parte. Non mi fido più neanche di me stesso e delle mie reazioni che spesso sento potrebbero prendere una china sgradita violentando quelli che ancora reputo siano principi da seguire e quindi ci metto un freno, o meglio, un frego.

E me ne frego pure di dare un senso a questo post… sì lo so, questo me ne frego ricorda qualcosa a me estraneo ma, dopo tutto, me ne frego!

PS) A proposito di prurito. Dal 1 luglio potrò andare sul sito INPS e simulare quanto (se) avrò di pensione ed a partire da quando…altro che Preparazione H allora!

domenica 15 febbraio 2015

Storni a stormi

Questo è il periodo. YouTube è piena di filmati di storni, io ne ho scelto uno tra tanti.

Non è infrequente osservare nei cieli delle nostre città e campagne, stormi di migliaia di storni che vengono a svernare da noi e che all’avvicinarsi del tramonto escono in massa a consumare l’ultimo pasto a base di insetti. E non è infrequente vedere gabbiani od altri predatori, qui a Roma anche falchi pellegrini, tentare l’assalto al singolo cercando di isolare e dividere il gruppo allo scopo di isolare un singolo uccello. Anche quei predatori esperti manovrano con attenzione, spesso anche loro a gruppi di tre o quattro che cercano di collaborare. Una cosa simile si osserva anche in molte specie di piccoli pesci che agiscono, come gli storni, come fossero un singolo individuo ben coordinato da un qualche capo stormo, un eccellente coreografo a capo di una squadra di ottimi esecutori.

Nulla di tutto questo. Non c’è nessun capo, nessun coreografo. Ogni individuo agisce per proprio conto, individualmente, obbedendo ad una serie di regole locali e coadiuvato da un sistema nervoso evolutosi in modo da riuscire a controllare i movimenti dei propri vicini, fino a circa sette di loro, e reagire di conseguenza. Come?

Per capirlo facciamoci aiutare da Richard Dawkins, da un brano preso da uno dei suoi libri più belli: “Il più grande spettacolo della Terra”.

A colpirci nel comportamento degli storni è che, nonostante tutte le apparenze, non vi sia nessun coreografo e, a quanto ne sappiamo, nessun capo. Ogni uccello agisce individualmente e si limita a seguire regole locali.

Gli storni sono composti da migliaia di individui, i quali però non si scontrano quasi mai. E’ un bene, perché, alla velocità a cui volano, rimarrebbero gravemente feriti nell’impatto. Spesso l’intero stormo si comporta come un singolo individuo, volteggiando e virando all’unisono. Sembra quasi che stormi distinti penetrino l’uno dentro l’altro volando in direzioni opposte e conservando intatta la coesione interna. Pare un’impresa quasi miracolosa, ma in realtà sono a distanze diverse dalla video camera e non penetrano gli uni negli altri. Lo spettacolo incanta anche per i netti contorni degli stormi, senza sfocature. La densità degli uccelli subito prima del contorno non è inferiore a quella rilevabile al centro, mentre è zero all’esterno. Non è meravigliosamente sorprendente?

Una simile sequenza sarebbe assai elegante come salvaschermo del computer. Ma non dovremmo cercare un filmato di storni, perché il salvaschermo ripeterebbe più volte le stesse identiche movenze di danza e quindi non userebbe allo stesso modo tutti i pixel. Dovremmo invece elaborare una simulazione al computer e, come sa qualsiasi programmatore, c’è il modo giusto e il modo sbagliato di farlo. Non cercate di coreografare l’intero balletto: sarebbe un pessimo stile di programmazione per quel tipo di compito. Devo illustrare la maniera migliore di procedere perché è quasi sicuramente così che gli uccelli sono programmati nel cervello. E, per venire al punto, è una splendida analogia con il funzionamento dell’embriologia.

Ecco come programmare il comportamento di aggregazione degli stormi. Concentratevi quasi esclusivamente sul comportamento del singolo uccello. Incorporate nel vostro robostorno regole dettagliate che gli insegnino a volare e a reagire agli altri storni in base alla loro distanza e posizione relativa. Incorporate regole sull’importanza da dare al comportamento dei vicini e all’iniziativa individuale nel mutamento di traiettoria. Queste regole modello devono ispirarsi a un attento studio dei veri uccelli in azione. Dotate il robostorno di una certa tendenza a variare a caso le proprie regole. Dopo che si è scritto un complicato programma in cui si specificano le regole comportamentali del singolo storno, si compie il passo finale, che è il fulcro del presente capitolo. Non si deve programmare il comportamento dell’intero stormo, come avrebbe fatto la generazione precedente di programmatori di computer, ma si deve clonare il robostorno appena programmato. Fatene un migliaio di copie, mantenendo le regole tutte uguali oppure variandole leggermente a caso da un individuo all’altro. Poi liberate migliaia di storni modello nel computer, in maniera che possano interagire tra loro obbedendo tutti alle stesse regole.

Se le regole comportamentali di ciascuno storno sono giuste, mille robostorni, ognuno rappresentato da un punto sullo schermo, si comporteranno come gli uccelli veri che si aggregano in stormi d’inverno. Se l’aggregazione non è del tutto corretta, tornate sul singolo uccello e correggetegli il comportamento, magari alla luce di un’ulteriore analisi del comportamento degli storni veri. Poi clonate la nuova versione un migliaio di volte e mettetela al posto di quella precedente sbagliata. Reiterate la programmazione del singolo storno clonato finché il comportamento di aggregazione dei mille uccelli virtuali non costituisca un salvaschermo abbastanza realistico.

Il concetto chiave è che non ci sono né coreografi né capi. Ordine, organizzazione, struttura emergono come effetti collaterali di regole a cui si obbedisce molte volte localmente, non globalmente. E’ così che funziona l’embriologia. Si procede in base a regole locali, a vari livelli ma in particolare al livello della singola cellula. Non c’è nessun coreografo, nessun direttore d’orchestra, nessuna pianificazione centrale, nessun architetto. Nel campo dello sviluppo o della manifattura, l’equivalente di questo tipo di programmazione è noto come autoassemblaggio.

domenica 18 gennaio 2015

Etiopia 1935. Anche l’Italia ebbe le sue jihad

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Il motto recita "à la guerre comme à la guerre” ma la storia non lo chiarisce quasi mai.


A volte ci si sorprende di come le stesse entità, che siano persone o popoli o semplicemente idee, possano diventare ora nemici ora amici per l'una o per l'altra parte. In tempi recenti si pensi al ruolo ondivago dell'Egitto e dei suoi governi, a Saddam Hussein dapprima finanziato dagli USA contro il comune nemico Iran e poi abbandonato per difendere l'interesse iracheno e, recente, al ruolo della Siria di Hassad passata da nemico giurato dell’occidente ed alleato di Mosca a collaborante nelle azioni contro il neonato califfato fondamentalista.
Ma la storia è piena di questi cambi di prospettiva, spesso utilizzati con ferocia, e soltanto l’ingenuo si sorprende.

Nella sanguinosa ed efferata guerra, o meglio strage, genocidio, contro l'Etiopia condotta a partire dal 1935 dagli italiani arrivò il momento in cui a Mussolini, responsabile primo ed ideatore della maggioranza della azioni (eseguite dai fedelissimi e ferocissimi Graziani e Badoglio), interessava non tanto vincere la guerra quanto sterminare gli avversari accanendosi contro le popolazioni inermi e consentendo che venissero massacrate con l'iprite, e con esse il bestiame, i raccolti, i fiumi, i laghi. Fino al punto di ordinare di non rispettare nemmeno i contrassegni della Croce Rossa (furono distrutte 17 installazioni mediche).

Ma, e ancora solo agli ingenui sembra paradossale, consentiva che si lanciassero contro l'Etiopia cristiano-copta i libici musulmani della divisione Libia, al comando del generale Gugliemo Nasi. Con l'invio sul fronte meridionale di queste truppe libiche, per la totalità di religione islamica, contro un avversario in gran parte di fede cristiana, il regime fascista commetteva un nuovo e gravissimo crimine consentendo ai libici, con estrema perfidia, di vendicarsi per le violenze subite per vent’anni dalle loro famiglie ad opera dei battaglioni amhara-eritrei.

La divisione Libia non faceva prigionieri, molto pochi soltanto quando il generale Nasi, forse più umano di Graziani, offriva 100 lire per ogni prigioniero; ma era troppo tardi per fermare un odio religioso, sul quale prima, irresponsabilmente ma volutamente, si era fatto preciso assegnamento. La mattanza, anche dei prigionieri, continuava, anche a guerra finita.

Lo stesso Nasi, nei suoi memoriali, tenta di attribuire addebiti agli ascari libici (*) colpe gravissime che sono invece degli italiani, i quali sfruttarono sempre ed in maniera sistematica gli odi etnici e religiosi delle popolazioni soggette.

E questi addebiti sorprendono ancora di più perché lo stesso Nasi, prima di comandare la divisione Libia, interamente musulmana, contro i patrioti etiopi cristiano-copti ebbe la ventura, poco tempo prima, di condurre all’assalto in Libia i battaglioni amhara-eritrei di fede cristiana contro i mujaheddin musulmani!

E infine, nonostante la premeditazione, la ricerca quasi scientifica del metodo migliore per sterminare e ridurre al nulla il nemico anche se già battuto, un grado elevato dell’esercito come Nasi non teme di affermare: «La storia coloniale di tutti i paesi è purtroppo una storia di orrori. Ma dobbiamo riconoscere che la storia coloniale italiana è quella che di gran lunga ne annovera meno.»

Che faccia di culo! Ma non era colpa sua, è nel DNA nostrano. Ancora una volta, anche nelle riflessioni di un generale dell’esercito, affiora il mito dell’italiano diverso, più tollerante, più generoso. Ancora una volta l’italiano era posto, nella graduatoria dei popoli, in una posizione privilegiata, protetta. Ancora una volta scattava, naturale, spontanea, la solita e sconsiderata autoassoluzione tipica del falso mito italiani brava gente!
Proprio così come, e solo per noi, la nostra cucina, la nostra moda, le nostre automobili, le nostre donne e le nostre mamme sono le migliori del mondo…

Balle!

(*) questi non vanno confusi con gli ascari eritrei operanti al fianco di truppe italiane fin dal 1887 come reparto coloniale proveniente dall’Eritrea, come i citati amhara.

giovedì 8 gennaio 2015

Andy Luotto e l’arabo

I più giovani non lo ricorderanno ma sono qui anche per questo.

Andy Luotto–L’arabo

Correva l'anno 1985 e nelle mitiche trasmissioni di "Quelli della notte",  e che ci mandavano al lavoro ogni giorno con molto sonno arretrato, Andy Luotto, uno dei partecipanti, inventò questo divertente personaggio.

Erano tempi decisamente non sospetti anche se proprio all’inizio degli anni ‘80 aveva iniziato di nuovo ad inasprirsi l’eterno conflitto arabo-israeliano sfociato con la guerra fratricida in Libano ed uno dei primi interventi di truppe ONU in teatri internazionali, comprese le nostre.

Eppure già allora e dopo qualche apparizione l'attore fu minacciato e se non ricordo male anche percosso da un paio di energumeni che lo attesero sotto casa: le sue apparizioni furono interrotte su decisione comune da parte di Arbore e della redazione del programma.

E ciò perché si prendeva in giro bonariamente il mondo arabo non più di quanto qualche decennio prima aveva fatto Totò. Tutto qui. Mai una parola di troppo e tanto meno mai un accenno a qualcosa che avesse a che fare con l’islamismo ed il Corano. Già questo religioso rispetto a me dà personalmente fastidio perché non capisco perché si possa parlare e discutere di qualsiasi cosa ma se si tratta di temi di fede ci si debba astenere dal confronto, figuriamoci dallo sfottò.

Da ragazzino durante il periodo della cosiddetta austerity, non molti anni prima di Arbore e soci, quando si girava la domenica a targhe alterne per mancanza di petrolio, per un paio d’anni a Carnevale mi mascherai da arabo e giravo per Roma con gli amici con una lattina di olio vuota a cui avevo aggiunto un "petr" davanti per sfottere un po’ di qua ed un po’ di là e scimmiottando tanti allà-accà offrivo questo petrolio d’oliva ai pochi automobilisti. Oggi non potrei farlo neanche a Carnevale non tanto per l’età o perché abbiamo scoperto ricchi giacimenti nazionali quanto perché rischierei d’essere quanto meno picchiato da qualche ortodosso.

Se non sbaglio nel 2012 in Somalia fu assassinato un umorista conosciutissimo e molto amato in quel paese. Si prendeva gioco quasi quotidianamente delle milizie armate utilizzando principalmente la parodia con la quale attaccava i terroristi di non so più quale gruppo.

Gli umoristi nel mondo islamico esistono come sono sempre esistiti ovunque nel tempo e nello spazio e talora possono prendere di mira il regime, come avveniva in molti paesi del Maghreb, oppure i fedeli e le loro pratiche. Io stesso ho conosciuto parecchi musulmani in Bosnia che pur essendo parecchio annacquati da decenni di Tito ed il suo comunismo raccontavano barzellette su argomenti vari, compresa la bigotteria dei loro vecchi ma mai ne ho sentita una che riguardasse le scritture o, apriti cielo, Allah in persona.

Ciò nonostante non accade MAI che il loro bersaglio diventi il Corano ed il suo profeta.

E’ rarissima la critica del dogma musulmano figuriamoci la satira o persino un po’ di ironia.

Le tematiche "religiosamente scorrette" si trovano  quasi esclusivamente nelle performance dei musulmani europei, prevalentemente francesi e inglesi di seconda o terza generazione come minimo.

E non è la prima volta che far ridere prendendo in giro qualcuno nel mondo musulmano in Africa od in Medioriente fa spesso delle vittime. Anche se spesso ad provocare assassinii è la satira diretta contro la politica questi sono solo una parte di quelli che si sono avuti e, tristemente si avranno ancora, a causa di ciò che ritengono offensivo per motivi religiosi.

E nonostante la presenza di movimenti ortodossi le altre religioni occidentali strettamente imparentate con l’Islam per ciò che concerne miti, tradizioni e fonti “storiche”, ovvero cristianesimo ed ebraismo, hanno, almeno questo, superato il momento oscurantista che impediva a chiunque di scherzar coi santi e che ha generato fenomeni secolari quali l’Inquisizione o le radiazioni dalle comunità quali quella subita da Spinoza nella moderna, per l’epoca, Amsterdam del XVI secolo. L’Illuminismo ci ha salvato e troppo tempo dovrà ancora passare affinché i paesi musulmani si affranchino laicamente da queste tragedie che si chiamano religioni. Loro sono ancora al Medioevo e con tutto il rispetto per i fermenti culturali grandissimi che hanno animato persino quello Alto qui da noi!

Neanche gli imperatori romani più feroci osavano eliminare le critiche mosse loro eliminando gli autori satirici di allora, tanto che i loro testi sono giunti terribilmente freschi e moderni, fino a noi.

Posso cercare di capire, vorrei capire e sono pronto a farlo come ha scritto il mio amico Jestercap72 proprio oggi; posso arrivare a comprendere che se cresci in un campo profughi in Palestina e ti venga promessa vita eterna e vergini se morirai da martire sei disposto a fare stragi come quella di ieri a Parigi ma sono molto poco disposto a dialogare con chi ostenta, e non per tradizione e cultura od anche solo esteticamente, posizioni ortodosse e certamente intransigenti. E mai capirò o cercherò di capire chi spara ai poeti.

E concluderò dicendo che ancora una volta la radice prima di questi episodi è la religione.

Immaginiamo, con John Lennon, un mondo senza religione. Immaginiamo un mondo senza attentatori suicidi, senza 11 settembre o 7 gennaio, senza crociate, cacce alle streghe, spartizioni dell’India, guerre israelo-palestinesi, massacri serbo-croati-musulmani, persecuzioni di ebrei «deicidi», conflitti fratricidi come in Irlanda del Nord, telepredicatori impomatati che spillano soldi agli allocchi. Immaginiamo un mondo senza neocatecumeni o testimoni di Geova, senza talebani che distruggono statue millenarie, che decapitano «bestemmiatori» o che fustigano donne ree di aver mostrato un centimetro di pelle. E immaginiamo un mondo dove il testo della canzone di John Lennon non venga censurato, come a volte accade negli USA, proprio laddove dice «and no religion too».

Si può ridere di tutto. Era il credo delle vittime di “Charlie Hebdo”. Ed anche se da ieri non mi va per niente di riderci dedico loro questo mio contributo.

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