lunedì 26 ottobre 2009

Trasformati ma non cambiati

Non molto tempo fa (Trasformarsi) avevo maldestramente cercato di esprimere un concetto piuttosto complesso anche perché frutto di pensieri personali, di intuizioni, di sensazioni e soprattutto di altamente opinabili considerazioni.

Ma nello scorso fine settimana credo d'averne avuto una conferma: sia nell'osservare me stesso che gli altri che erano intorno.

Venerdì scorso è accaduto quanto tutti noi si temeva e di cui avevo accennato nel marzo scorso e così, al suo capezzale, c'erano tutti, con quel del tutto umano miscuglio di normalità del convivere comune e di doloroso stato d'animo espresso da ognuno in modi diversi incomparabili dacché il dolore non ha unità di misura.

E così, questa mia enorme famiglia, soprattutto da parte di madre, ha ancora una volta dimostrato la sua coesione, pur sparpagliati per l'Italia e la Svizzera, pur senza vederci né tanto meno magari sentirci anche per anni, è stata catalizzata dall'evento luttuoso.

Ma anche se il collante è stato soprattutto lui, lo Zio Vittorio, quello con la Z maiuscola, come un padre per me e forse per tutti noi nipoti oltre che ovviamente per i suoi due amatissimi figli, l'averci riunito tutti, con i nostri genitori e tanti altri conoscenti, venuti da tutta Italia a salutarlo un ultima volta fin dal giorno prima dei funerali mi e ci ha dato modo di ritrovare e ritrovarci azzerando d'un colpo il tempo passato, gli screzi, le incomprensioni, la pigrizia e le attese di telefonate o notizie che non arrivano o che se lo fanno è per interposta persona: una famiglia insomma.

Ho rivisto zii e cugini che in qualche caso non vedevo da un decennio, altri persino ancora di più ed i cui motivi sono i più disparati ma tra i primi annovero la disattenzione che si ha verso persone a cui si vorrebbe e si dovrebbe dimostrare affetto e tra i secondi va comunque citata la distanza, la vita quotidiana, le regole non scritte a cui sottostiamo e che soprattutto per chi vive in grandi centri come il sottoscritto negano il tempo materiale per fare quando vorremmo o dovremmo. Forse c'è un sottofondo leggero di ipocrisia in molte azioni ma resta comunque un velo che è facilmente spazzato via dalla luce negli occhi di ognuno degli attori presenti, partecipi e attivi e non spettatori che hanno pagato un biglietto per uno spettacolo preventivamente noioso.

E ci si è ritrovati come fosse una tavolata d'altri tempi, imbandita in ventose giornate d'estate in stanze illuminate dal bagliore dell'azzurro del mare e del cielo di quella bellissima costa pugliese o nelle sue rossoverdi campagne che per anni e decenni ci ha visto crescere, anno dopo anno circondati dall'affetto e dall'attenzione di genitori, padri, madri, zii e zie gli uni per gli altri in uno scambio continuo d'amore, attenzioni e preoccupazioni comuni.

E così mi sono letto negli occhi di ognuno di loro, nelle loro parole, nei discorsi di vita comune e normale od in quelli di ricordo e di commiato. Nei sorrisi scambiati a distanza, negli abbracci di coraggio e solidarietà, nel dolore o nei singhiozzi e nelle lacrime che andavano e tornavano a tratti ed in quella malcelata forma d'invidia che magari si esprime nei confronti di chi ha il dono, se dono può essere, della fede a cui ci si rivolge in certi momenti a cercare speranze e giustificazioni.

Mi sono letto ed ho letto trasformazioni ma non cambiamenti. Vedevo in loro gli stessi sguardi, gli stessi sorrisi, i medesimi atteggiamenti che vedevo allora, quando bambini, adolescenti o ragazzi si interagiva tra noi o con i loro genitori, nostri reciproci zii, e tra loro anche colui che venerdì ci ha lasciato. E così negli zii o nelle zie, segnate dagli anni in loro vedevo le stesse cose che osservavo ed ascoltavo fin dal tempo che mi è dato ricordare.

E credo che loro abbiano vissuto le medesime sensazioni.

Anzi, ne sono sicuro.

Siamo tutti trasformati, chi più chi meno, ma nessuno di noi è veramente cambiato. Potremmo anche aver avuto difficoltà a riconoscerne qualcuno incrociandolo per caso per la strada ma sarebbe bastata una parola od uno sguardo per dire noi stessi che siamo sempre gli stessi.

Trasformati ma non cambiati.

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