domenica 22 gennaio 2012

Vedi Napoli e poi muori

Sono tornato a Napoli per lavoro di recente, e dovrò tornarci ancora.

Non ce l’ho con Napoli in sé ed ho alcuni amici napoletani; direi che ce l’ho con tutto ciò che rappresenta e che ha a che fare con la totale assenza di senso della collettività, del bene comune. E forse Napoli è solo uno specchio esasperato ed ingigantito della nostra coscienza nazionale, di quel che sta accadendo in questi giorni con le reazioni di fronte alle ipotesi di liberalizzazione, sensazioni riportate poco fa. Proprio come esasperate ed ingigantite sono le grida ed i pianti di disperazione delle donne napoletane ai cortei funebri.

Oltre alla solita kabul distinta da quella vera solo perché le strade hanno un po’ d’asfalto ma le stesse buche (non da mortaio fortunatamente per i napoletani) devo dire che c’è un po’ meno spazzatura concentrata ma tantissima rimane quella endemica, autoctona direi. Insomma i mezzi e gli addetti della Asia passano e puliscono ma nulla possono contro il partenopeo medio che dissemina in modalità imprevedibile. Ricordo a margine che il presidente della Asia (Raphael Rossi) nonostante il gran bel lavoro e la sua rettitudine è passato come si dice “ad altro incarico” per la tristissima vicenda di questi giorni.

Per il resto la città è la solita fetenzia ed altre volte ne ho scritto tentando di descrivere aspetti che solo vivendoli appaiono; proprio una fetenzia come dicono da quelle parti e come sempre a fronte di una minoranza di napoletani responsabili, tra cui tutti i professionisti con cui mi onoro di collaborare, il resto della città è seppellita sotto quella che ormai non è più endemica e tipicamente partenopea rassegnazione a secoli di vessazioni e soprusi ma è connivenza e menefreghismo, utilitarismo e settarismo. E non sto parlando delle periferie degradate da decenni ma anche del centro; il termine degrado inoltre mal si addice a certe realtà perché implica un processo di decadimento nel tempo mentre da quelle parti e per la maggioranza delle zone a cui mi riferisco sono nate già degradate.

Nelle parole di un collega napoletano trovo la semplice spiegazione, quasi lapalissiana, ma talmente banale da sembrare assurda pur non violando il principio di semplicità. Napoli è e così resterà perché soltanto in questo modo la maggioranza incivile e menefreghista dei suoi abitanti potrà continuare a fare il proprio comodo. Come potrebbero agire indisturbati napoletani di quella risma trapiantati a Berlino? Se la città fosse ordinata e regolata, se la maggioranza facesse il proprio dovere civico la minoranza salterebbe all’occhio e sarebbe individuabile e circoscrivibile facilmente.

Insomma l’antico chiagn ‘e fotte ancora una volta impera. Lasciamo che Napoli sia quel che è perché solo così potranno continuare a far passare inosservate le malefatte d’ogni tipo, perché nella media dell’accettazione collettiva.

A seguire una carrellata rapidissima di immagini dello stato di degrado di un ufficio pubblico, alla faccia della 626 (se fosse ordinato e regolamentato potrebbero mai permettersi la moka in archivio?) e di un edificio di centralissima strada in perfetto stile “campano non finito” con antenna parabolica ma foratino in piena vista.

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