Quando ho visto i risultati della ricostruzione in Giappone a poco più di un anno di distanza dallo tsunami e di cui mi sono occupato qui ho voluto fare una ricerca diversa scoprendo che il debito pubblico nipponico è pari al 200 % del PIL: eppure quel paese non mostra i segni tipici della recessione che sono poi puntualmente usati come scusa per tagliare salari, stipendi, pensioni o ammortizzatori sociali. Anzi, continuano gli investimenti tesi soprattutto a garantire condizioni vantaggiose per i giovani visto soprattutto il tasso di invecchiamento di cui soffrono, paragonabile al resto della media dell’Europa occidentale.
Alcuni amici sono recentemente rientrati da un viaggio in Andalusia (Spagna), e fanno parte di quella particolare classe di turisti che amano calarsi nelle realtà dei paesi che visitano con i comprensibili limiti che da’ lo spazio di una vacanza. Ovvio che visitando città storiche e meta di turismo quali Cordoba, Valencia, Siviglia, Granada o Malaga va considerato l’effetto filtro dato dal fatto che luoghi come questi siano comunque oggetto di riguardo da parte dei governi nazionali o locali ed a maggior ragione se considero Roma e la confronto con la paritaria e non meno turistica Parigi. La Spagna è nei guai come noi si dice ormai da mesi paventando lo spettro del default.
Dai loro racconti emerge invece ancora una volta come i fondi comunitari elargiti con abbondanza per investimenti a medio e lungo termine in grado di generare un indotto economico notevole sono stati ben spesi: servizi, infrastrutture, opere pubbliche, restauri, ammodernamenti, nuovi impianti, istruzione, ricerca scientifica. Esattamente il contrario da noi dove abbiamo beneficiato di questi stessi fondi che sono stati dirottati e fagocitati dalla sempiterna voracità utilitaristica e magnona della classe dirigente spazzatura di questi ultimi decenni. Se osservo le fotografie dei marciapiedi di una strada semiperiferica di Siviglia con quelli della mia posso trarre qualche amara conclusione e sto citando briciole di malessere. Insomma come ho già avuto modo di dire io stesso ogni qual volta rientro in Italia da un viaggio in altri paesi dell’Europa occidentale mi sembra di tornare indietro nel tempo e non nello spazio.
La domanda: se la Spagna è in crisi (?) ma almeno gli investimenti hanno dato i loro frutti che accadrà da noi anche qualora uscissimo da questa situazione sapendo che c’è comunque una nazione da (ri)costruire?
E di quale crisi parliamo poi? Sono state proprio le teorie economiche liberiste a portarci dove siamo o quanto meno dove dicono che ci troviamo con una campagna mediatica che da una parte salvaguardia da destra e da sinistra l’appoggio solidale al governo attuale e dall’altra da’ voce di cronaca (nera) agli aumentati suicidi di piccoli e grandi imprenditori (in pieno stile 1929). E il prof. Mario Monti & C. ancora credono in queste teorie.
Mi sento profondamente preso in giro, tanto per cambiare. Sono decenni che i nostri governi di ogni fatta e matrice demoliscono le condizioni di vita e le tutele del mondo del lavoro ed ogni volta lo fanno con la scusa che stanno lavorando per il futuro dei giovani. Ma dove, quando? Il sottoscritto e quelli della mia generazione(*) non ne hanno usufruito, ed eravamo giovani a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80; gli attuali quarantenni, giovani tra i ‘90 ed il nuovo millennio, non stanno meglio, anzi sono calate le possibilità e gli attuali ventenni o trentenni si trovano nella situazione più disperata.
Da una parte le solite classi che pagano il prezzo di una crisi paventata o concreta che sia sono vittime dell’indebolimento politico e della connivenza dei sindacati con un mondo del lavoro che vede enormemente peggiorate le condizioni di entrata in esso e l’assenza di futuro su una eventuale uscita pensionistica; d’altra parte qualcuno tenta di convincerci che occorre poter licenziare di più e senza troppi vincoli, sempre per il bene ed il futuro dei giovani salvo poi scoprire che nella quasi totalità delle realtà imprenditoriali non ci sono proprio gli estremi che possano coinvolgere il famoso articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
E per ritrovarmi infine con l’ancor più amara considerazione che è quella data dal fatto che la sinistra parlamentare più rappresentata, il PD, è ormai anch’esso un partito di destra, meno a destra del PdL, ma altrettanto a destra che pur di conservare lo stato rappresentativo e gli scranni parlamentari appoggia pariteticamente qualsiasi iniziativa governativa ed anche qualora borbotti si limita a precisare che voteremo quel che ci piace senza dirci cosa non piace.
Non ci credo. Più a nessuno. Stufo.
(*) potrei fare decine di esempi personali e non tesi a dimostrare che alla fine la stragrande maggioranza di noi giovani allora si è letteralmente accontentata di quel che allora ci veniva offerto mettendo da parte velleità e sogni per restare sul concreto.