domenica 20 novembre 2011

E mettiamoci il no-au

Lo scollamento tra quanto viene insegnato a scuola e mondo del lavoro è direttamente proporzionale al numero di anni dedicati allo studio. Affermo e sostengo.

Così mentre un ragazzo che decida di interrompere gli studi alla fine della terza media può, in linea molto teorica d'accordo ma più percorribile che altre, aspirare a farsi un mesetto in prova, pagata poco ma sempre pagata, da qualche parte, un laureato deve invece sottostare a qualche anno speso, senza retribuzione ça va sans dir, tra tirocini formativi, master ed ovviamente tanti, troppi stage che come noto pronunciati impropriamente all’inglese, steisg, riempiono di un altro bel parolone la bocca di tanti imbecilli.

C’erano anche ai miei tempi ovviamente ma molto più seriamente condotti e sicuramente finalizzati ad uno scopo ben definito: un esame di stato, una possibile assunzione.

E così nel nostro ridente bel paese che, come più volte affermato anche su queste pagine, ha trasformato la mobilità in precarietà, ancora una volta svolazzano impuniti migliaia di personaggi che sanno trarre profitto dall'ingenuità e dalla rassegnazione di giovani pieni di belle speranze: sanguisughe maledette pronte a sfruttare chiunque sia loro a tiro. Profitto ovviamente e sicuramente personalissimo ed esentasse.

E una delle vittime mia figlia: la giovane dottoressa e dottoranda (a gratis); in tempo redenta perché fortunatamente per lei aperta al dialogo con i genitori a cui racconta tutto e di tutto ma soprattutto in grado di usare la propria testa.

Complice un post capitato come il cacio sui maccheroni in cui l’autore descrive minuziosamente il tentato raggiro editoriale ai suoi danni da parte di un personaggio ottimamente descritto mi associo, in ritardo di qualche giorno ma intenzionato a farlo prima ancora d’aver letto quel post, aggiungendo il famoso carico da 11.

Visto che come dicevo in apertura oggi come oggi più si studia e meno si è preparati anche la giovane dottoressa nel tentativo di avvicinarsi al mondo dell’editoria, soprattutto quella di qualità anche se di nicchia, ha abboccato al seducente invito della Perseo Edizioni a partecipare ad uno stage formativo: quale migliore occasione se non quella offerta da una casa editrice che vanta centinaia di titoli pubblicati da altrettanti brillanti docenti universitari?

Tutor? Non sanno neanche quale sia il significato del termine.
Mezzi? Adottando la tecnica delle migliori multinazionali applicano il desktop sharing che non è roba informatica: tre scrivanie da dividere in cinque, peccato sempre tutti presenti. Ed a proposito di desktop ognuno si porta il suo portatile, ovviamente. Il telefono invece…è uno solo.
Informazioni ed indicazioni? Nulle, al massimo improvvisate e frammentarie.
Utilità? ...

Se ho ben capito il tipo di lavoro consiste nell’effettuare tutte quelle attività tipiche del backoffice, delle ricerche di mercato e dello scouting fatto nel tentativo di proporre a librerie, di qualsiasi genere e taglio, compresa la cartolibreria sotto casa, ai caffè letterari (esistono ancora?) o peggio a quei cosiddetti “bar” che non riuscendo più a vendere caffè a sufficienza organizzano eventi su tutto e per tutti nei loro locali.

Nel tentativo di vendere libri la cui pubblicazione è stata PAGATA dagli stessi autori con la solita formula truffaldina di cui trattai proprio in uno dei primi post di questo mio blog e relativo alla casa editrice “Il filo online”. E come ben scrive l’autore del già citato post il tipo non paga per le spese editoriali, non paga gli stagisti, sicuramente non paga neanche le tasse, paga certamente le bollette e l’affitto e ci mette…il no-au…

Basterebbe non collaborare conclude l'autore del post. Non basta purtroppo perché i ragazzi sono vittime inconsapevoli ed ignare ed entrano loro malgrado nel giro del se non io un altro. Basterebbe regolamentare e vigilare. Ma questo è ancora più improbabile di un sonoro vaffa coralmente indirizzato a personaggi del calibro di quello descritto.

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