sabato 26 marzo 2011

A chi tocca non s'ingrugni. Oggi Gheddafi e domani?



Molto recentemente ho avuto già modo di esprimere una parziale opinione su quanto accadeva in Libia ed a quanto pare i fatti mi stanno dando ragione.

Che l'intervento militare sia stato affrettato e scomposto, né più né meno di quanto fece Reagan nel 1986 ma sotto l'egida ONU, che la Francia di Sarkozy e non solo abbia risfoderato tutta la pretesa di grandeur e qualche nostalgica vena colonialistica e che la Gran Bretagna, indipendente dal party di turno sia come sempre il vice degli USA è ovvio e scontato, come lo sono altrettanto la nostra fermezza e chiarezza in campo di politica estera magistralmente riassunta da Travaglio (da non perdere!) l'altra sera ad Annozero.

L'armata Brancaleone dei ribelli, termine col quale si indicano in genere quelli che stanno dalla parte del torto ringrazia comunque l'intervento occidentale che, violando o no la risoluzione ONU (tanto per quel che contano...) sta cercando di togliere di mezzo chi improvvisamente è diventato scomodo; e persino il mullah di Bengasi ringrazia commosso. Se così dev'essere...

Ma queste sono delle tragicamente comiche ovvietà se di mezzo non ci fossero vite umane, comprese quelle di chi da quelle aree, e non mi soffermo qui sulla loro buona o cattiva fede, sta fuggendo.



Quanto mi chiedevo invece ha ben altra natura. Oggi a Gheddafi che, diversamente da Ben Alì e Mubarak, non lo schiodi se non a cannonate. E domani?

In Siria e nello Yemen soprattutto in questi giorni il solito distratto occidente si accorge che da decenni il popolo è oppresso da una dittatura di nome e di fatto e lo stesso popolo ne ha le balle piene. Negli Emirati Arabi o nella stessa così moderna Arabia Saudita non stanno tanto meglio ed a quanto pare voci di dissenso si affacciano neanche tanto timidamente in Giordania. Solo il Marocco europeista sembra per ora esente dalle proteste.

L'hanno chiamata primavera araba ma credo che gli effetti collaterali siano molto poco considerati e che l'occidente campicchi in attesa di eventi che richiederanno altrettante decisioni improvvisate e confuse che dimostreranno che l'Unione Europea è solo qualcosa che serve a non farsi chiedere i documenti quando si passano le zone di confine...

E la domanda che sorge spontanea è la seguente. Se oggi si lanciano missili, raid aerei, si impongono no flight zone ed amenità del genere per la Libia perché non allora domani correre in soccorso degli oppressi yemeniti o dei siriani? E nel far ciò come reagiranno Giordania ed Israele? E se la cosa dovesse accadere in Giordania da che parte si schiereranno gli occidentali visto che il buon re Abd Allah e la sua ancor più famosa figlia, la bella e moderna principessa Rania, stanno così a cuore a tutto il mondo occidentale?

E infine soprattutto come decidere da che parte stare in una guerra civile? Ieri sera una tipa che è intervenuta alla trasmissione radio Zapping di Aldo Forbice su RadioUno ha detto che questa guerra è ingiusta perché aumenterà ancor di più l'invasione (sue parole) di extracomunitari arabi nel mondo cristiano ed a nulla saranno valse la battaglia di Lepanto od i martiri di Otranto, le Crociate insomma...come vedete c'è spazio, purtroppo, per tutte le opinioni.

E siamo rimasti in nord Africa e Medio Oriente, nel tormentato mondo arabo dove si coltiva da oltre un millennio anche un odio religioso che fomenta fondamentalismi pericolosi e dove dietro i giovani esausti e veramente stanchi potrebbero emergere domani figuri ben più pericolosi di un Gheddafi qualunque.

Ma perché fermarsi al mondo arabo? Forse che Che Guevara non ha fatto lo stesso a Cuba per decenni? E il Sudan? E la Corea del Nord? E quanti altri ancora dimenticati oppressi?

Lanciamo loro un centinaio di Tomahawk (costo 1.200.000 € l'uno) come salva di avvertimento?

sabato 19 marzo 2011

Le patate di Viterbo, Fukushima e Roma radioattiva




Le patate di Viterbo sono radioattive.

Mezzo chilo di quelle coltivate a nord del lago di Bolsena, famose per la loro alta qualità, danno una dose di radioattività pari a quella di una lastra al torace.

E questo perché le patate in questione si coltivano e crescono in terreni di natura vulcanica che sono notoriamente naturalmente più o meno radioattivi. Anche il granito o le rocce intrusive di questa famiglia sono radioattive, e parecchio, tanto che è proibito in edilizia usare più di un certo quantitativo di granito e quando questa cosa non era nota per esempio le bellissime stazioni della metropolitana di Mosca sono più radioattive dello studio di radiologia di un ospedale.

E così molti oggi, catalizzati dalle notizie che si susseguono dal Giappone, hanno scoperto che anche Roma è parecchio radioattiva, addirittura naturalmente molto più di quanto sia misurato in questi giorni nella stessa Tokio da cui, secondo voci false e incontrollate, sarebbe iniziata un'evacuazione della popolazione (35 milioni di abitanti, tanto per essere precisi).

Ma anche qua si danno i numeri in tutti i sensi. 800 REM dichiarati come valore di fondo per Piazza San Pietro a causa del torio contenuto nella pavimentazione storica tipica di Roma (i famosi sanpietrini appunto, blocchetti di basalto ricavati da grossi giacimenti di roccia vulcanica).

Andiamo con ordine e vi rimando al sito inglese di Wikipedia per saperne di più sulle unità di misura come i Sievert ed i suoi simili.

Gli effetti della radioattività sull'uomo si misuravano in REM (dal nome dello scopritore dei raggi X, Roentgen) perché la radioattività in sé si misura invece in Becquerel (nome di un altro illustre pioniere del settore, conterraneo dei più famosi coniugi Curie, con lei talmente famosa da dare il cognome alla coppia anziché quello del marito). Il REM poi è un po' desueto ed è stato sostituito a sua volta dal Sievert (1 Sv = 100 REM), ma basta capire di cosa stiamo parlando: di effetti sulla biologia o meglio la biochimica degli essere viventi, non necessariamente dannosi.

Nell'articolo citato precedentemente e riportato in pompa magna da altri giornali, televisioni e blogger, si parla di 800 REM nell'area di Piazza San Pietro. 800 REM fanno 8 Sv e tenendo conto che la radiazione che normalmente un essere umano assorbe in un anno è di 2,5 mSv (0,0025 Sv) qualcosa non torna. O noi romani siamo fluorescenti e nessuno ce l'ha mai detto o qualcuno ha confuso i REM con i milliREM! Siamo alle solite: si danno i numeri tanto nessuno li capisce!

Che il livello di radioattività romana sia più alto della media di qualsiasi altro posto della Terra normalmente bombardato da miliardi di raggi cosmici (e radiazioni) ogni ora e sicuramente corresponsabili dell'evoluzione dei viventi è cosa nota (qui un più serio articolo) ma fare affermazioni affermazioni del genere è da criminali. E poi parlare di valori assoluti senza riferimenti temporali è altrettanto privo di senso: fare una lastra ogni tanto sicuramente ha effetti pressoché nulli ma farne una ogni giorno alla lunga fa male, e parecchio.

Se pensiamo che la fonte è tale Giorgio Prinzi, nuclearista fondamentalista convinto, non c'è speranza: e ancora una volta siamo di fronte a del sensazionalismo privo di ogni fondamento. Per far sapere agli italiani che non hanno nulla da temere è troppo difficile parlar loro con dati certi, di meteorologia planetaria ed altre sciocchezzuole del genere: si fa prima a raccontare loro la favola della Roma radioattiva con dei numeri che fanno impressione perché si sa, i prefissi "milli" non tutti li capiscono.

Insomma: nessuno sa nulla con certezza, si danno i numeri e si sparano notizie sensazionali abusando di termini quali apocalisse, disastro, episodi senza precedenti e via discorrendo. Ma quale senza precedenti? Per almeno un paio di decenni americani, russi e persino i francesi, hanno fatto esplodere ordigni nucleari con potenze decisamente superiori a quelli delle atomiche di Hiroshima e Nagasaki. E prima che ci fosse al mondo una rete capillare di satelliti e sensori capaci di registrare ogni minima variazione a migliaia di km quanti incidenti nucleari non dichiarati ci saranno stati in paesi come l'Unione Sovietica dalla quale non trapelava nulla?

La situazione è certamente tragica per i giapponesi ma è altrettanto tragico vedere il giornalismo sensazionalistico aggirarsi come avvoltoi intorno ai moribondi anziché attenersi strettamente ai fatti. Proprio in queste ore fonti ufficiali giapponesi ci dicono che il livello di radiazioni è sceso a circa 200 microSv...andate a guardare i valori di Chernobyl poco dopo l'esplosione.

Mi preoccuperei molto di più dello stato di totale abbandono della flotta di sottomarini nucleari russi privi di manutenzione da decenni che non dello stato delle centrali giapponesi in questi giorni.

giovedì 17 marzo 2011

Nucleare, no grazie

Sono contrario al nucleare fin dai non sospetti tempi dell'università quando intelligenti professori ci insegnavano che in Italia non c'è posto sismicamente tranquillo a parte la Sardegna. E ho ridacchiato oggi alla notizia che il senatur ha scelto puntando il dito sulla cartina del Veneto e che da lì gli abbiano risposto un corale ma va in mona, ciapatelo nel cul ti e 'l Trota!

E allora si ignorava la presenza delle dozzine di centrali che da Oltralpe avrebbero potuto ammorbarci (Chernobyl era lontana e Three Miles Island non era ancora neanche il film che sarebbe diventato, "Sindrome Cinese").

Quanto accade da una settimana a questa parte in Giappone ha catalizzato l'attenzione di tutti: esperti e non, persone con cultura scientifica adeguata e non, gente che apre bocca e gli da fiato e più modeste persone silenziose che si attengono ai fatti e approfittando del catalizzatore mediatico la nostra attuale classe politica annaspa a destra in un non arrendersi neanche di fronte all'evidenza ed al buon senso di tacere (Prestigiacomo docet) ed a sinistra in un altrettando illogica posizione di negazione infarcita di luoghi comuni (a parte forse la chiarezza di Tozzi e Realacci sere fa a Matrix).

Le considerazioni ambientali e geologiche già ampiamente disastrate del nostro paese impediscono di pensare ad un sito per centrali nucleari; e sono state tragicamente dimostrate dal terremoto giapponese che ha insegnato che potremmo anche essere in grado nel futuro di costruire edifici a levitazione magnetica che si sollevino dal suolo per evitare le scosse ma poi rischiamo la tragedia perché banalmente si interrompe l'afflusso di acqua di raffreddamento...

Ma oltre a queste altre sono le cose che come italiano mi rendono contrario.

E' che non sapremmo farle, ma non come capacità tecniche.

Come ha ottimamente espresso il mio mitico Odifreddi se in Italia non sappiamo gestire i rifiuti che sono una piccolissima parte del secolare problema della mancanza di capacità, di volontà anzi, nella gestione del territorio sono sicuro che la costruzione delle centrali finirebbe nel calderone degli appalti strumentalizzati e politicizzati, della corruttela della criminalità collusa col malgoverno ed alla fine le scorie verrebbero trattate così come la camorra per decenni (e ancora) ha trattato i rifiuti tossici...pascolandoci bufale sopra!

E una delle prove indirette della direzione che (ha preso?) la politica energetica legata al nucleare in Italia è la stessa Sogin, Società per la Gestione degli Impianti Nucleari. Baraccone di stato, pluricommissariato, fucina di migliaia di assunzioni politiche per voti di scambio. Un ente che finora ha ingoiato miliardi di euro per gestire il nulla dello smantellamento (in corso) di cattedrali nel deserto quali Trino Vercellese, Caorso o Latina. Forse peggio di questo c'è solo la società "Stretto di Messina" che da decenni paga stipendi a vuoto...

Per fortuna gli italiani quando vogliono sanno essere più intelligenti di quel che vogliono far sembrare. Basti pensare a come qualche decina di migliaia di cittadini abbiano di fatto impedito la realizzazione del sito di Montalto di Castro.

Mi astengo dalle considerazioni economiche che ormai hanno ampiamente dimostrato che il nucleare non conviene con buona pace delle centinaia di laureati a caro prezzo e con tanta fatica in Ingegneria Nucleare.

Ahimé, reali alternative agli idrocarburi non ce ne sono...e sto pensando ora a quegli ecologisti che sbandierano l'eolico ma che poi si oppongono al posizionamento delle pale sulle colline dei loro paesi.

domenica 13 marzo 2011

Pubblica distruzione



Siamo alle solite...
Mariastella Gelmini ha perso un'altra occasione...per tacere.
Dovremmo ormai essere assuefatti alle sue sparate ma oggi, all'indomani del C-Day, non ha perso occasione per dirne una delle sue.

http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/1003014/gelminiincoerente-chi-va-in-piazza.shtml?1#page

"Molti di quelli scesi in piazza per la scuola pubblica poi mandano i figli alle paritarie". E' l'accusa lanciata dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. "La trovo una incongruenza e forse vuol dire che non hanno poi tutta questa fiducia nella scuola pubblica", ha detto il ministro che ha difeso la sua politica di austerity: "Ho tagliato solo gli sprechi".

"Gli insegnanti sono troppi""Gli insegnanti sono troppi rispetto al bisogno in Italia: lo ha detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, intervistata a "Che tempo che fa". ''Gli insegnanti sono pagati pochissimo - ha detto - perché sono troppi'', sono un quantitativo ''superiore al fabbisogno''.

Gelmini ha ricordato che chi insegna in una scuola superiore con 15 anni di anzianita' in Italia prende circa 20 mila euro in meno di un collega tedesco. ''Dobbiamo pagarli adeguatamente - ha sottolineato - ma se cresce il numero all'infinito sono proletarizzati''.

Ho insegnato nove anni in una popolosa scuola cosiddetta cattolica paritaria legalmente riconosciuta, una di quelle per mia fortuna didatticamente valide dove non vigeva nepotismo né pressioni da parte del collegio direttivo (preti): un plesso scolastico con tanto di elementari che facevano da fucina alle tre sezioni delle medie e queste che alimentavano annualmente una sezione di liceo classico ed una di scientifico. Autoalimentata o quasi.

Ma credetemi, per quanto non tutti i genitori appartenessero a categorie snob ed abbienti, non ne ricordo uno che sarebbe stato disposto a scendere in piazza per qualcosa, e intendo per qualsiasi cosa.

Non era (è) nel loro DNA e per quanto all'epoca facesse notizia il movimento studentesco pubblico de "la pantera" genitori e studenti di quei licei dove insegnavo non avevano né la voglia né le motivazioni per scendere in piazza in antitesi alla loro scelta paritaria, scelta dovuta non solo a motivi legati ai timori che la pubblica desse loro (impreparazione, caos, indisciplina, ambiente ecc) ma soprattutto alla loro coscienza tranquilla nel sapere che lasciando il figlio a scuola lì l'avrebbero trovato al loro ritorno.

Quindi ripeto che quanto ha detto la Gelmini non è plausibile né credibile: è solo la solita demagogia.

E la seconda sparata, apparentemente slegata è invece più che attinente con quanto accadeva (e accade) nelle scuole paritarie. All'epoca, e ancor oggi è così, dato che i bilanci delle scuole private attingono solo a quanto incassano dalle rette pagate dai singoli studenti avevamo in classe mediamente da 30 a 35 studenti, al limite della normativa pubblica del ministero. Chi ha insegnato o insegna sa cosa voglia dire avere tanti alunni in una sola classe...

Se i professori sono stati troppi negli anni '70, infornati da dozzine di corsi abilitanti che hanno rifilato cattedre di ruolo a migliaia di proletarizzati o sindacalizzati vorrei solo ricordare che quei 25-40 enni di allora sono già in pensione da un pezzo o stanno per andarci! E quindi il numero dei professori non è affatto diverso, in proporzione, a quanto esistente nella Germania da lei citata!

Sol levante


Terribili giorni questi per il popolo giapponese che abbiamo subito visto ricacciare indietro le lacrime e con una compostezza che solo loro possono avere, rimboccarsi le maniche e guardare al domani con un commento più no comment di qualsiasi altro: "...ci sono stati morti, molti, che altro aggiungere" ha sancito categorico un anziano che girava tra il fango e le macerie di quel che era la sua città, il suo quartiere, la sua casa.

Per tutto il periodo di studi all'Università si citava spesso il Giappone, ancor più che la Califoria, come mirabile esempio della loro capacità di convivenza con la natura altamente sismica del territorio colonizzato da millenni; delle loro tecniche costruttive in cui professori raccontavano aneddoti di cene condite da tremori e scosse ma in ristoranti situati al trentesimo piano di grattacieli di Tokio o di Osaka costruiti per oscillare anche di diversi metri rispetto alla verticale e magari in grado di ricavare energia dagli enormi smorzatori posti alla loro base.

Poi arrivò il terremoto di Kobe nel 1995 e qualcosa colpì la nostra attenzione e cioè che il malgoverno e la corruzione potevano fare più vittime del sisma stesso quando le cosiddette norme antisismiche fossero violate se non peggio, come da noi in Italia, ignorate pressoché del tutto.

E come nel 1923 a Tokio o pochi anni prima a San Francisco dove fu più cruento l'incendio che non il sisma che colpì una città proprio all'ora di cena e con milioni di fornelli accesi in quelle fragili case di legno stavolta il maremoto, più noto come tsunami ha portato morte e devastazione ben oltre ogni limite atteso; e nipponica è la parola tsunami che significa "onda contro il porto".

Impreparati. E' l'attributo che si sente più spesso in queste ore citare anche dalle stesse fonti giapponesi.

Gli effetti sugli edifici(*), persino quelli in legno e soprattutto quelli vitali e pubblici come scuole ed uffici, hanno ampiamente dimostrato che non erano affatto impreparati. Ma se per caso si può essere impreparati ad un terremoto di magnitudo 9 (valore ufficiale di oggi alle 11, ora italiana) come prepararsi a qualcosa la cui potenza non era mai stata registrata prima ed i cui effetti mareografici sono assolutamente inimmaginabili ed incalcolabili?

Lo abbiamo visto tutti: i giapponesi restare calmi, reagire senza panico, adeguarsi alle istruzioni delle centinaia di esercitazioni che fanno fin dall'asilo ovunque ed indipendentemente dall'età; abbiamo visto i grattacieli oscillare e la gente continuare a restare all'interno delle proprie case e degli uffici, considerati sicuri da chi sente tremare la terra diverse volte al mese in quasi tutto il Giappone. E tutto questo nonostante la terra sia mancata sotto i loro piedi per 120 secondi, tanto è durata la prima scossa: un valore enorme ed i cui effetti psicologici sono imprevedibili!

Ma come potersi dire preparati allo tsunami che con onde di altezza variabile da 2 a 10 m (un palazzo di tre piani!) e con velocità iniziali variabili da 500 a 1000 km/h si è abbattuto su centinaia di km di costa spesso a pochissimi minuti dall'evento sismico? Le sirene hanno suonato, gli altoparlanti impartito istruzioni ma non abbastanza in tempo. Onde per cui 2 metri d'altezza già hanno effetti devastanti che si abbattono con pressioni di migliaia di tonnellate per metro quadro su coste spesso pianeggianti con conseguenze a cui non si può essere affatto preparati.

Provate ad immaginare cosa voglia dire andare domani a fare un giro tra Sperlonga e Santa Severa, o tra Cesenatico ed il Lido di Ravenna e non trovare più nulla per una decina di km all'interno se non fango e devastazione. Questa è buona parte della costa orientale giapponese oggi.

Scrivevo prima come questo terremoto abbia fatto registrare un valore di magnituto mai registrato finora. I valori della cosiddetta scala Richter non hanno ahimé un limite superiore perché partono da valori superiori allo zero come intensità sismiche minime misurabili dagli strumenti più sensibili e crescono ad incrementi esponenziali su base logaritmica: ovvero passare da magnituto 1 a 2 significa incrementare di 10 volte l'energia rilasciata, da 1 a 4 di 1000 volte e così via. Magnitudo 9, a conti fatti qualcosa come 30000 volte più forte dell'energia rilasciata dal nostro recente, ma non certo ultimo, terremoto nazionale nel 2009 in Abruzzo.

Ma il popolo del Sol Levante saprà sollevarsi ancora e soprattutto presto e bene, dignitosamente e silenziosamente riconoscente di tutto l'aiuto che ognuno di noi potrà dar loro, anche fossero gocce nell'Oceano; testimonianza che ormai, in questo nostro attuale ed unico mondo, non esiste più il concetto di lontano, di antipodi o di retaggi dei tempi in cui comunicare significava mandare una lettera dall'altra parte del mondo. Il Giappone è dietro l'angolo.

Molto tempo fa ho già scritto di come tutto quanto accade sia assolutamente indifferente alla nostra presenza, di come la Terra -e probabilmente milioni di altri pianeti- si modelli a fronte di equilibri tra inimmaginabili forze endogene ed esogene in attesa di essere vaporizzata dalla trasformazione in supernova del Sole.

Ed è fin troppo facile, inutile e sciocca retorica, ribadire come la situazione del nostro paese, anche se non grave come intensità (ma solo storicamente e statisticamente registrate!) lo è per lo stato delle proprie costruzioni "moderne" che persino in quelle zone a più alto rischio sismico, è del tutto inadeguato e terribilmente mortale.

E null'altro è possibile se non, come i giapponesi, come i californiani, adeguarsi fatalisticamente all'attesa del big one o di dozzine di altri eventi minori ma altrettanto devastanti che nulla hanno insegnato a chi avrebbe semplicemente adottare la logica di chi vive in un territorio a rischio come il nostro.



(*) non mi riferisco qui a quanto accaduto alla centrale nucleare di Fukushima e forse a qualcosa di cui si parla in queste ore su quella di Miyagi che non sembrano affatto relazionati direttamente all'evento sismico pur essendo ovviamente estremamente alta la pericolosità delle situazione.

venerdì 4 marzo 2011

Tripoli bel suol d'amore


La crisi creativa o meglio la mancanza di tempo e di voglia mi ha tenuto lontano da queste pagine per un mese. Nel frattempo, a parte le solite beghe nazional popolari che affollano i titoli di testa di telegiornali e giornali gli eventi salienti sono quelli che hanno riguardato e riguardano il nord Africa e, di rimbalzo, alcuni paesi più orientali...chissà, vista l'odierna notizia che la famiglia reale saudita sta valutando di concedere il voto alle donne che fosse la vigilia di una rivoluzione epocale. Poco ci credo.

Quel che più mi ha interessato e colpito è la situazione in Libia ma per motivi completamente diversi da quanto si potrebbe pensare.

La cosiddetta fantomatica comunità internazionale si è mossa, lasciamo stare con quali modi e soprattutto in quanto tempo, a baluardo della salvaguardia della libertà di autodeterminazione dei popoli.

Si parla di interventi militari, di embargo, no fly zone in stile Kossovo 1999, di aiuti umanitari, Nave San Marco è già in viaggio; Frattini per una volta fa il ministro degli Esteri e relaziona su argomenti internazionali e non sulle case monegasche di Fini; Ignazio nazionale gongola perché forse riuscirà a coronare il suo sogno di comandare un battaglione di cazzutissimi soldati nostrani di un qualche contingente ONU magari canticchiando, stavolta a ragion veduta Tripoli bel suol d'amore...

Ma in tutto questo rincorrersi di notizie e dichiarazioni mi sono chiesto: ma durante i 42 anni (è dal 1969!!!) di dittatura di Gheddafi, la comunità internazionale dove stava?



La cacciata degli italiani, i raid dei tempi di Reagan, i tentativi di affondare Lampedusa e Pantelleria da parte libica, i Mig dirottati e precipitati sulla Sila, le menzogne degli americani sulla strage di Ustica, la richiesta di risarcimento, concesso, i danni provocati dagli italiani durante la guerra, i pescherecci sequestrati e mitragliati, gli show nazionali dei caravan-serragli del colonnello dai capelli tinti grandissimo amico del vecchietto dai capelli incollati (e tinti): questi gli unici momenti in cui la cosiddetta comunità internazionale si è accorta della Libia? O peggio quando qualche barcone di disperati lascia le spiagge libiche per approdare in Italia?
Per decenni un'intera popolazione ha vissuto come al tempo dei Borboni nel Regno delle due Sicilie quando bastava uno sberleffo in un sonetto alla Pulcinella e ti sprofondavano nelle regie galere buttando a mare la chiave e nessuno ha mai fiatato. Anzi, tutt'altro.

Il nostro paese in prima persona, qualsiasi colore abbia avuto il governo del momento, ha latitato ed ha sempre vistosamente glissato sulla situazione medievale dei diritti della popolazione libica (molto peggiore dei vicini tunisini od algerini); prima vista soprattutto la ridottissima distanza che separava le nostre coste dalle batterie di missili libici, di autorevolissima fabbricazione sovietica e poi considerando i rapporti di strettissima dipendenza che abbiamo negli approvvigionamenti di petrolio e gas (un terzo del totale!): ragione quest'ultima decisamente più incisiva della prima.

Da qualche giorno invece la comunità internazionale è in fermento e pronta ad intervenire con proposte per ogni gusto e campo.

Tutti pronti ad invitare il dittatore ad andarsene in esilio...magari in una bella villa sul lago di Como con annesso giardino in cui piantare la tenda e con due bei cammelli da guardia!

Comunque vada ricordo le incisive parole di uno dei comandanti militari americani, intervistato in proposito su un ossibile intervento militare nei confronti delle milizie fedeli a Gheddafi: "a sword is a sword".

I libici tutti, diversamente governati e soprattutto autoderminanti, avrebbero potuto avere un reddito procapite paragonabile a quello dei kuwaitiani o dei cittadini degli Emirati Arabi, nonché di tutto rispetto come quello dei fratelli maggiori sauditi.

La mia modestissima opinione è che la volontà d'intervento, ora che c'è la scusa della chiamata popolare libica, è in primo luogo teso a tutelare gli enormi interessi petroliferi dei soliti paesi più ricchi del mondo nei confronti dei soliti morti di fame.

Finora hanno tollerato, e avrebbero continuato a farlo, silenziosi e complici che da quelle parti un fantoccio ridicolo, megalomane e decisamente e squilibrato; personaggio che ha arricchito se stesso ed i suoi accoliti in maniera scandalosa; ma adesso che il rischio è quello che un popolo incazzato e forse preda di facili strumentalizzazioni da parte di frange estremiste e ancor più reazionarie delle attuali

L'assoluta mancanza di unità nazionale e la frammentazione in tribù dei libici è una miscela esplosiva molto lontanamente assimilabile alla discordia ed all'atavico odio secolare delle etnie balcaniche che solo la coercizione di Tito aveva tenuto insieme; ma il parallelo crolla sapendo che nel caso del conflitto nella ex Jugoslavia gli interessi non erano affatto economici (fu una vera guerra tra poveri!) ma in modo assurdo ed anacronistico nazionalistici ed etnici.

Ad eccesione forse del solo Marocco, troppo vicino all'Europa e non solo geograficamente, in Libia e nel nord Africa gli interessi veri sono economici e di rilevanza continentale e la sempre più cosiddetta comunità internazionale non vuole correre il rischio che impianti, raffinerie, oleodotti e gasdotti, finiscano in fiamme travolti come quelli iracheni con danni incalcolabili.

La reazione dei libici di buon senso e di esasperata condizione è legittima ed auspicabile ma finirà temo in un nulla di fatto.