mercoledì 7 marzo 2012

Quel ramo del lago di Como…

227° anniversario della nascita di Alessandro ManzoniLa pagina principale di Google oggi mi ricorda che 227 anni fa nasceva Alessandro Manzoni. Estiqaatsi commenterebbe il grande capo.

In realtà questo anniversario mi ricorda anche la grande presa di posizione che feci confronti suoi e de “I promessi sposi” il giorno del mio orale per l’esame di maturità nel paleolitico 1976! Di fronte ad una esterrefatta commissione ed ad una non meno perplessa insegnante di lettere -nonché membro interno del mio V scientifico- osai dire, con termini meno espliciti ovviamente, che il Manzoni (mi) aveva rotto ampiamente le balle, soprattutto il suo romanzo “I promessi sposi” Ma quale fulgido esempio d’uso della nostra bella lingua e di sublime capacità narratoria…

Perché?

A parte la lettura ed il commento in I o II liceo (non ricordo con esattezza) ed il suo riproporsi come l’abbacchio pure in V, da capo e con altri commenti di altro autore Manzoni non ha mai retto il confronto con i suoi contemporanei colleghi europei di cui a quell’età avevo già letto quasi tutto grazie alla collezione di grandi romanzi dell’800 che i miei avevano in casa! E così cercai di argomentare che a fronte di romanzi contemporanei, cito i primi che mi vengono in mente, come “La certosa di Parma” (Stendhal), “I miserabili” (Hugo), “Delitto e castigo” (Dostoevskij) e “Il circolo Pickwick” (Dickens) che cosa offriva la nostra letteratura? “I promessi sposi”, “I promessi sposi”, “I promessi sposi”…

E quegli autori scrivevano quando erano molto più giovani rispetto al quarantenne Manzoni della prima edizione del suo romanzo (1827), riveduta e corretta 13 anni dopo!

Non vado oltre negli anni citando sempre ad esempio Dumas o Tolstoj perché non sarebbe corretto: come mettere sullo stesso piano quanto scrivevano Gadda o Pirandello con quanto scrivono oggi la Mazzantini o Faletti (parallelo cronologico e non qualitativo ovviamente). Insomma qualche dozzina d’anni in più od in meno su scala secolare è un bel lasso di tempo.

In realtà una ragione potrebbe derivare dal nostro essere come sempre italiani e da come lo eravamo allora; neanche ancora uniti ma con i nostri antenati in pieno fermento risorgimentale. Momenti, quelli tra il 1820 ed il 1870 così carichi di eventi e movimenti realmente di popolo che andrebbero perennemente ricordati e di cui invece nessuno ha più memoria: anzi spesso sono assolutamente ignorati e denigrati in questo revisionismo salottiero, ipocrita e bastian contrario che da decenni ci affligge.

Gli italiani non sono mai stati dei grandi lettori, lo provano ancora oggi le cifre delle vendite rispetto ai nostri concittadini europei e pur concordando sul fatto che lettori si nasce devo ammettere che lo si può anche diventare. Ma per essere lettori occorre ovviamente saper leggere ed allora l’analfabetismo era un dato di fatto rispetto agli altri paesi europei nello stesso periodo dove un libro dato alle stampe aveva altissime probabilità di essere diffuso anche tra i ceti meno abbienti del proletariato. In Italia tutto il contrario.

E quindi c’era scarso stimolo a scrivere da parte di persone dotate della giusta vena proprio perché ben misero sarebbe stato il cosiddetto successo editoriale.

A meno che…

A meno che non si trattasse di scrivere libretti d’opera, drammi, melodrammi, opere buffe…e le relative partiture musicali. E allora nello stesso periodo, anno più anno meno, a fronte di un solo Manzoni abbiamo avuto Verdi, Rossini, Puccini, Donizetti, Leoncavallo, Mascagni e dozzine di opere intramontabili a cominciare dal primo animato dallo stesso spirito risorgimentale e di unità nazionale.

L’italiano non sa leggere e non sa scrivere? E allora canta.

Ma questa è un’altra storia, un’altra arte.

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