domenica 11 marzo 2012

Trenta giorni che sconvolsero il Giappone

L’11 marzo 2011, pochi minuti prima delle tre di pomeriggio, mentre uno degli tsunami più violenti della storia giapponese spazzava via un’intera regione costiera, un gruppo di uomini – su cui poco più tardi si sarebbe riversato uno tsunami di responsabilità ed accuse – se ne stava in vacanza-studio in Cina. A comporre questo gruppo c’erano i dirigenti dei più potenti media del Sol Levante ed i quadri della Tepco, la compagnia che gestisce la centrale di Fukushima.

Le spese del viaggio, come ha poi dovuto ammettere il direttore Tsunehisa Katsumata, erano per più della metà a carico della compagnia elettrica. Mentre i “potenti” dell’informazione si godevano il soggiorno all’estero, nei canali di informazione alternativa giapponese venivano piano piano a galla le notizie, fino ad allora taciute, sul binomio media-compagnia nucleare. Così, da leggende metropolitane sono divenute informazioni confermate quelle che riguardavano la responsabilità dei media che in passato scelsero di chiudere un occhio davanti alle inadempienze di uno degli sponsor più generosi di televisioni e giornali privati. La Tepco, infatti, elargisce annualmente centinaia di milioni di dollari per la pubblicità sui maggior quotidiani e canali televisivi della nazione, fatta eccezione per la TV pubblica NHK.

Il disastro di Fukushima è in parte colpa dei media” affermava Kazuo Hirumi, avvocato ed ex giornalista del quotidiano Sankei Shimbum e lo stesso Hirumi ha confessato di aver ricevuto precisi ordini dai suoi capo-redattori del Sankei perché, e la cosa è valida tutt’oggi, sono due i tabù per un reporter giapponese: l’industria nucleare e quella automobilistica.

Fortunatamente, in un periodo quale quello attuale in cui le tecnologie ed Internet sono indispensabili per la diffusione e per l’eventuale confutazione di fatti od idee, i giornalisti indipendenti hanno cavalcato l’onda che attendevano da tempo per opporsi ai media tradizionali come creatori di dialogo e critici dell’informazione governativa così mentre fino a prima del terremoto e del relativo tsunami in Giappone e nel resto del mondo si era abituati a vedere le news in televisione, ovvero spezzoni di conferenze messe insieme e arrangiate secondo direttive ben precise, grazie all’agorà virtuale messa a disposizione di chiunque i cittadini sono diventati il “quinto potere” in grado di controllare e verificare l’operato dei media e diffondere i fatti reali senza alterazione o manomissione e smascherano le menzogne.

Così sono riapparsi dal dimenticatoio vecchi cartoni animati (1, 2) in cui negli anni novanta il governo giapponese propagandava l’assoluta sicurezza del plutonio o poster disegnati dalle compagnie elettriche per pubblicizzare l’energia nucleare.

Fondamentale è stato inoltre il ruolo di quei pochissimi media internazionali che hanno abbattuto il muro dell’informazione governata e governativa formulando domande e ponendo dei dubbi laddove i giornalisti giapponesi non potevano farlo vuoi per la paura di perdere il posto da parte dei contrattisti vuoi per l’impedimento all’accesso a molte zone imposto ai giornalisti indipendenti giapponesi.

Proprio allo scopo di mettere in ginocchio questo tipo di speculazione mediatica un anonimo fin dai primissimi giorni mise “The wall of shame” (3), un sito dove sono stati riportati, istante per istante, tutti i commenti, le correzioni, le demistificazioni alle notizie apparse sui media. In un’unica pagina ancora oggi si possono vedere alcuni degli esempi più eclatanti di mala informazione che hanno colpito tutti i paesi, dal Canada, al Belgio, allo stesso Giappone. Una lunga lista mostra l’autore del misfatto, il giornalista, spesso assente del tutto dalla zona ma anche dalla stessa regione o dal Giappone, come i corrispondenti da Hong-Kong che realizzavano reportage in diretta. La scala della vergogna va dalla semplice distrazione, al sensazionalismo ed arriva fino al terrorismo mediatico.

Il libro di Pio d’Emilia, da cui mi sono permesso di estrarre questo breve sunto, è la cronaca minuziosa, diretta e scorrevole, dimostra che il vero giornalismo non significa assemblare notizie e lanciarle in rete o confezionarle ad arte per un servizio televisivo ma vuol dire bensì conoscere direttamente la realtà indagata, trasformando una fredda intervista in un dialogo partecipato. Le menzogne che per anni hanno accompagnato i giapponesi potrebbero essere davvero stavolta l’arma da utilizzare per affermare che non esiste e mai esisterà energia nucleare pulita e sicura. Partendo dalla spiegazione del come sia stato possibile per il paese di Hiroshima e Nagasaki accettare incondizionatamente il nucleare fin dalla fine degli anni cinquanta l’autore mette ordine nella disinformazione che ha regnato e tuttora è diffusa tra i più e che ha a che fare con quanto accaduto un anno fa e che riguarda tutto il nostro pianeta.

1) Genpatsu-Kun (centralino). Cartone animato propagandistico dove si illustra che Centralino è un bambino malato e dispettoso che minaccia di fare la cacca dappertutto ma alla fine i medici lo curano e scongiurano la pericolosa deiezione (leggi esplosione della centrale) limitando il danno a qualche scorreggina, anche se radioattiva.

2) Pluto-Kun (plutoncino). Questo spiegava invece ai bambini giapponesi che il Plutonio non è cattivo. Può servire a tante cose, proprio come la dinamite.

3) The Wall of Shame. Il link punta direttamente alle pagine riguardanti errori, omissioni e falsità riportate da “la Repubblica” che comunque è in ottima compagnia. Sulla sinistra il menu che riguarda gli argomenti per ordine di importanza o per testata giornalistica o televisiva.

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