domenica 15 dicembre 2013

Allons enfants de la Patrie

La lettura di un lungo ed articolato post su Mentecritica, insieme a quanto recentemente ed ottimamente riportato qui mi hanno portato a fare delle considerazioni che si allacciano a quanto molte altre volte ho avuto modo di accennare su queste pagine. Devo dire che ho fatto abbastanza fatica a leggere lunghi ed articolati racconti dei cosiddetti “rivoluzionari”, fatica dovuta al fatto che spesso i contenuti diventano piuttosto banali e densi di inutile qualunquismo. Forse qualcuno è condivisibile ma in linea puramente teorica e…chiacchierona.

Non ci sarà nessuna rivoluzione. Né pacifica né violenta. Le rivoluzioni necessitano di tempo, spesso decenni, per maturare e gli eventi che le generano nascono sempre da menti illuminate che concorrono a diffondere l'idea di cambiamento. Cambiamento: la parola chiave. Ovvio che il rivoluzionario vero, popolano e ignorante per lo più, non ha la più pallida idea di quelle idee ma di una cosa è sicuro assaltando il palazzo d'Inverno o la Bastiglia: vuole che le cose cambino!

Quello che vedo intorno a me è che, improvvisamente -dov'erano 2 od anche 5 anni fa quando le condizioni erano le medesime?- appare dal nulla un gruppuscolo (esagero? 200.000 persone?) che sbraita e strilla chiedendo indietro quello che ha perso, ovvero la possibilità di consumare. Altro che rivoluzione anticapitalista, altro che rivoluzione contro l'euro assassino come lo definisce Salvini.

Questa che vedo qui intorno è solo la classica "rivoltina" di popolo incazzato a cui è stato tolto il pane o che si trova il prezzo della farina aumentato oltremodo: si scagliano una tantum contro il malcapitato fornaio di turno, ottengono promesse e sconti, ristabiliscono il com'era e tornano tutti a casa felici e contenti soprattutto se nel casino sono riusciti a mettersi in tasca qualche pagnotta a gratis.

Dopo tutto una delle stesse manifestanti ascoltata in TV giorni fa ha detto: ”sono tutti bravi a fare la rivoluzione da Facebook ma quando si tratta di venire a prendere freddo come me se ne restano a casa…”

Mi viene in mente una scena del film “Il marchese del grillo” –peccato non averla trovata su YouTube- che racconta i giorni della Repubblica Romana. La scena in cui Alberto Sordi che impersona un nobile della cerchia clericale e papalina è in carrozza con un giovane ufficiale francese membro dell’esercito inviato da Napoleone III a salvare il Papa. Nella corsa in carrozza cantano a squarcia gola "La Marsigliese” e Sordi afferma, amaro e sarcastico, “Senti che potenza, che forza ‘sta musica! Co’ questa sì che ce fai le rivoluzzioni! Noi c’avemo ‘viva er papa’…ma ‘ndo c’annamo co’ st’inno? Ar Divino Amore ar massimo c’annamo…”. O era “In nome del popolo sovrano”?

Ma quale rivoluzione! Ma tutto sommato è un bene perché le rivoluzioni, da sempre, vengono strumentalizzate, proseguono con epurazioni e sfoltimenti il più delle volte estremamente cruenti e non guardano in faccia nessuno. Altrimenti che rivoluzioni sarebbero?

 

Colonna sonora di “In nome del popolo sovrano”.

Non vorrei concludere con amarezza ma non posso fare a meno di pensare a quando Ennio Flaiano, negli anni '70, affermava che gli italiani sono irrimediabilmente fatti per la dittatura.

sabato 14 dicembre 2013

Abilitazioni diversamente abilitanti

Scusate il gioco di parole con i diversamente abili, aka handicappati, ma in questo momento del politically correct non me ne può fregare di meno visto che la cosa interessa proprio la formazione di quelle persone che dovranno occuparsi proprio del sostegno necessario ad evitare le discriminazioni che fino a non molto tempo fa tenevano i ragazzi fuori dalla scuola!

Chiuso il capitolo TFA per consentire a 12.000 persone in Italia di conseguire l’agognata abilitazione, figlia compresa,  al termine di una rigorosa selezione e di un corso costati tempo e denaro salvo poi rivelarsi pressoché inutili vista la miopia dell’attuale ministro Carrozza. Vista la carenza di insegnanti (si parla di migliaia di cattedre necessarie) in grado di esercitare il sostegno ad alunni od alunne con disabilità di vario tipo è stato aperto non molto tempo fa quello del cosiddetto Corso di specializzazione per il sostegno. Una specie di TFA comunque.

E allora sotto con le varie università che si propongono come sedi per i test e quindi formative: della serie intanto iniziamo ad incassare dai 100 ai 200 € per ogni candidato solo per essere ammessi alla preselezione con i soliti quiz a risposta multipla, spesso sbagliati nella formulazione delle domande. Poi come d’uso, scritti ed orali.

E tra gli atenei anche università non statali che sono state regolarmente autorizzate dal MIUR a mettere a disposizione un certo numero di posti in base alle esigenze regionali.

Il buongiorno si vede dal mattino si dice. E questo è il mattino dei risultati della LUSPIO (oggi UNINT), una delle private di cui sopra che ha messo a disposizione un certo numero di posti inserendo, contrariamente alle aspettative, altre sedi e c’è da chiedersi come mai tutte al meridione.

Direi che basta osservare i quadri dei risultati per rendersi conto che qualcosa stona. Prendiamo ad esempio i risultati di Roma per la secondaria superiore.

354 partecipanti, 6 ammessi. 1,7%

Confrontiamoli con Palmi.

149 partecipanti, 72 ammessi. 48,3%

Palmi? Se dovessimo dar retta alla statistica davvero è cosa nota che il livello culturale medio è direttamente proporzionale alla latitudine ergo mi sarei aspettato una diversa distribuzione percentuale.

Che dire poi di quel roboante 77% di Reggio Calabria per la secondaria di primo grado? Ora non vorrei fare del qualunquismo ma mi ci state tirando a forza!

Insomma qui la statistica somiglia proprio ai tentativi di giustificare, statisticamente ça va sans dir, i risultati delle estrazioni della trasmissione televisiva “Affarituoi” che ha già subito una condanna in primo grado mi pare!

Lascio a voi ogni altra considerazione…numerologica!!!

E non mi si dica che sono di parte perché conosco molto bene uno dei canditati trombati. Avendo questi partecipato a Roma direi che fa parte di quei 348 mega ignoranti nonostante le sue due lauree con 110 e lode! Che ci vuoi fare…

NOTA. I risultati sono disponibili agli ammessi al gruppo chiuso di Facebook “Causa alla Luspio per il test…”

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domenica 24 novembre 2013

Fisica e metafisica

"Come le linee, così gli amori obliqui
in ogni angolo possono salutarsi
ma i nostri, davvero così paralleli,
sebbene infiniti non possono mai incontrarsi

ANDREW MARVELL, Definition of Love

In realtà questa visione euclidea, in senso geometrico, delle relazioni umane viene suparata di gran lunga in fantasia (fantasia?) e bellezza da quest'altra storia:

Lei disse: “Dimmi qualcosa di bello”
Lui rispose: “ (∂ + m) ψ = 0 ”

L’equazione sopra è quella di Paul Dirac, fisico e matematico ed uno dei fondatori della meccanica quantistica ed è una delle più belle equazione conosciute della fisica.

Grazie a questa si descrive il fenomeno dell’entanglement quantistico, che in pratica afferma che se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema. Quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce.

Molto bello ma…(*)

Molto si è detto sul ruolo che la «bellezza» od altri criteri estetici come l’«eleganza» o l’«economia» svolgono nella concezione che il fisico ha della natura; ma perlopiù le testimonianze sono di molto posteriori al processo creativo e viziate di romanticismo.

Freeman Dyson, un altro fisico e matematico con un ruolo fondamentale nella fisica dei quanti, ha un’opinione interessante in proposito e sostiene che le ricerche più importanti di Dirac ed Einstein non furono orientate da considerazioni di carattere estetico, ma dall’esperimento. Anzi, quando essi si fecero guidare dalla ricerca della bellezza nella formulazione delle loro equazioni, i loro contributi scientifici utili cessarono.

Un’altra interessante osservazione sull’aspetto estetico della teoria di Einstein fu proposta dal fisico sperimentale e filosofo operazionalista Percy Bridgman che in un suo libro considera come una pericolosa deviazione metafisica la ricerca di equazioni «belle».

Scrive infatti: «Avverto la presenza attiva di un elemento metafisico nell’atteggiamento di molti cosmologi nei confronti della matematica. Con l’aggettivo ‘metafisico’ mi riferisco all’assunto dell’«esistenza» di asserzioni valide per le quali non può esserci un controllo operazionale … In ogni caso definirei metafisica la convinzione che l’universo sia organizzato su principi matematici esatti ed il suo corollario che sia possibile per gli esseri umani, mediante un fortunato tour de force, formulare tali principi. Credo che questo sia il senso del sentimentalismo di molti cosmologi nei confronti delle equazioni differenziali di Einstein della teoria della relatività generalizzata. Infatti, quando, conversando con un eminente cosmologo, gli ho chiesto perché non abbandoni le equazioni di Einstein se gli creano tanti problemi, mi sono sentito rispondere che una cosa simile è impensabile, che esse sono le uniche cose di cui siamo realmente sicuri».

(*) estratto da parti del libro di John D. Barrows ‘Da zero a infinito. La grande storia del nulla’

Le Colonne di San Pietro

 005L’evoluzione del paesaggio dal punto di vista geomorfologico dipende strettamente dal continuo alternarsi di azioni dovute alle forze cosiddette endogene ed a quelle esogene: semplificando, le prime agiscono dall’interno della Terra agiscono a sollevare od affondare blocchi di crosta terrestre, che creano vulcani (proprio in questi giorni un esempio) ed altro ancora e le seconde sono dovute al continuo processo di erosione dovuto essenzialmente all’azione dell’acqua, del gelo, della temperatura e della gravità. Il tutto che tende verso lo stato di minima energia ovvero una bella pianura! A questo va ovviamente affiancata la presenza della biosfera (tutti gli esseri viventi batteri compresi) e gli effetti nefasti del genere umano negli ultimi due secoli, entrambi i fattori non da poco.

Quello che è successo a seguito dell’ennesima tempesta ai famosi faraglioni dell’Isola di San Pietro fa parte di questo processo. Posti sulla costa settentrionale della Sardegna si sono formati proprio grazie alla continua azione erosiva che mare e vento esercitano sulle rocce vulcaniche di quella regione. Chi non è rimasto colpito dalla varietà di forme che il vento è riuscito a scolpire e modellare da quelle parti? E così come nel corso di decine e spesso centinaia di migliaia di anni vento e mare hanno dato forma a quelle scogliere ed ai suoi faraglioni gli stessi agenti giorni ne hanno abbattuto uno. Dopo tutto basta guardare cosa c’è loro intorno per farsi un’idea precisa che quelle colonne sono l’eccezione ancora fortuitamente in piedi.

E il sindaco cavalcando l’onda populista ha promesso che il valore del simbolo di quest’isoletta è talmente grande che il faraglione va ricostruito…e non aggiungo altro.

Abbiamo un paese da decenni ed in maniera ormai per me irreparabilmente dissestato, una situazione idrogeologica, geologica ed ambientale da terzo mondo, una città come L’Aquila colpita da un terremoto quasi 5 anni fa (!) che è tuttora abbandonata a sé stessa e dobbiamo ascoltare dichiarazioni del genere e la maggioranza dei media che danno loro seguito.

Che amarezza…

PS) sul ciclone che ha provocato l’alluvione e le ennesime morti evitabili non mi pronuncio. Questo blog è pieno di articoli sull’Italia che affoga ogni autunno.

sabato 16 novembre 2013

St(r)age degli innocenti

Qualche anno fa ricordo un servizio, di quelli che lì per lì scatenano reazioni al limite del terrorismo ma che altrettanto rapidamente si dimenticano così come una mente sana dimentica i traumi violenti. Come quelli di Report per capirci.

Parlava degli impiegati di (alcuni) call center come de i nuovi schiavi. Non so se nel frattempo le cose siano migliorate o se quel servizio citava provocatoriamente aziende al limite della legalità ma avendo una figlia che ha lavorato dopo la laurea magistrale (sorvoliamo…) per quasi due anni in uno di questi centri posso dire che qualcosa in tasca se lo è messo; e tutto sommato mi sembrava proporzionale alla quantità ed alla qualità del lavoro e con regolare (a risorvoliamo…) co.co.pro. (parliamo di circa 400 € al mese per un impegno di circa 20 ore settimanali distribuite più o meno a suo piacimento in orario base).

Nonostante il vocabolo francese da cui deriva la categoria, francese che sembra sempre ingentilire anche gli insulti, una categoria di schiavi sono gli stagisti.

Sempre grazie alla suddetta figlia od a sua sorella sono a conoscenza di racconti che mi vengono dalla moltitudine di amici ed amiche, spesso dai tempi delle elementari, che le circondano e di cui, per parecchi ed altrettante di loro, conosco personalmente e che, come si dice, ho visto crescere.

Ci sono tantissimi neolaureati ed altrettante sono fanciulle, molti invece dopo il diploma hanno investito in corsi di natura diversissima e parecchi sono finiti nella trappola degli stage.

Cosa occorre per fare uno stage(*)? Fortuna, molto più spesso conoscenze interne, una volontà di ferro nel sapere che si lavorerà in maniera completamente gratuita a parte rare eccezioni di rimborsi spese con cui non ti ci paghi neanche un cappuccino e tanto meno la benzina per il motorino ma, soprattutto, una dose di masochismo e sottomissione della propria dignità di notevole incisività.

Tre casi, tratti dai racconti degli amici delle figlie di cui sopra.

Lei. Dopo aver investito tre anni in un’inutile laurea triennale decide di fare un corso per chef vista la passione per la cucina in genere. Migliaia di euro di investimento in una nota scuola, centinaia di ore di pratica e studio, esami finali ed agognato titolo. Il passo successivo? Che fortuna, grida lei! Mi hanno preso a fare uno stage nel ristorante di un albergo romano parte di una famosissima catena…e ch’ho pure il rimborso spese…(ndr:…se, dell’autobus). La realtà è ben altra. Turni massacranti anche di 18 ore al giorno senza interruzioni e spesso senza mangiare se non piluccando qua e là. Settimane continuative di lavoro senza neanche una mezza giornata di pausa. Soprusi ed abusi al limite della sopportazione umana. Trattata come uno straccio lei che sperava di cimentarsi ai fornelli foss’anche per le uova strapazzate della colazione continentale costretta a scaricare le cassette di frutta e verdura o relegata a rimestare salse a vita. Per fortuna è scappata dopo un mese e mezzo.

Risposta avuta? Vai và…che dietro a te ce la fila di gente che vuole il tuo posto.

Lui. Brillante neo laureato in economia e commercio. Master in revisione dei conti viene preso per uno stage presso una nota multinazionale americana e con un rimborso di ben 120 € a settimana!!! Che culo eh? L’orario di lavoro passa immediatamente dalle 40 ore settimanali a circa 50 perché nelle prime dovrebbe fare quanto previsto dallo stage ma in realtà fa tutt’altro e nelle altre gli viene gentilmente chiesto di fermarsi a fare quanto gli impiegati regolari evitano e mollano a questo malcapitato. In due mesi che è stato lì dentro soltanto uno si è veramente mostrato un vero e proprio tutor che ha cercato di insegnargli qualcosa. Se n’è andato mandando aff… un capoccetta che di rimando lo ha pure minacciato di fargli terra bruciata intorno.

Lei. Questa è relativa ad un ente pubblico legato ad un certo ministero che non sto a citare. Dopo tre settimane di fotocopie, trasporto documenti da una stanza all’altra per interminabili corridoi (ai tempi della posta elettronica!), rapidissime pause pranzo (per lei e non per gli impiegati) spesso fatte di snack e bibita alla macchinetta si è puntualmente arrivati al beh…se tu, insomma…dipende da te, mi capisci?… delle porche avances di un tirapiedi di qualche non ben identificato deputatucolo…

Il guaio in tutto questo? E’ che nessuno di questi tre malcapitati vuole farne pubblica denuncia perché non serve a niente, tanto andato via io c’era subito un altro e via così continuando a farsi del male.

La mia anche non lo è. Ma glielo devo.

Nota doverosa: tutto ciò nel più profondo rispetto di chi al mondo è tuttora davvero schiavo come i minatori delle miniere di preziosi dell’Africa meridionale, i detenuti politici dei campi di rieducazione della Cina, i raccoglitori di pomodori delle campagne del meridione d’Italia e tanti altri ancora.

(*) Mi riferisco qui alla stragrande maggioranza degli enti, anche pubblici, o delle aziende private che esercitano questi soprusi pur sapendo che qualche onorabile eccezione esiste.

domenica 10 novembre 2013

Lolite

Qualche antefatto qui.

Non dico che sia normale o che debba essere tollerabile ma mi appare abbastanza ridicolo scatenare tutta questa reazione mediatica per, ancora una volta, scoprire l’acqua calda.

Che si scatenino pure le ire dei benpensanti e dei buonisti da circolo parrocchiale ma, personalmente, tutta questa storia delle baby prostitute poco mi convince e lo stesso vale per quel gran parlare di sfruttamento, di schiavitù e di danno psicologico permanente che si fa intorno a certi tipi di prostituzione.

Nabokov e Kubrick ci hanno campato per decenni.

Ed altrettanto poco mi importa che possa esser tacciato di maschilismo della peggior specie perché le mie sono reazioni decisamente fuori tono rispetto al solito perbenismo tutto italiano ed alla solita falsa pruderie che accompagna i discorsi nazional-popolari ogni volta che c’è di mezzo roba sessuale: reazione tipica di un paese indotto alla sessuofobia da secoli di indottrinamento cattolico.

Certamente c’è una grave e seria situazione di prostituzione che deriva da vere e proprie tratte, di induzione in schiavitù e minacce ai familiari delle malcapitate ma c’è anche chi lo fa per scelta. Ha forse subito violenza o ricatto la ragazza che lavora nei FKK tedeschi od austriaci? O quella che espone se stessa in vetrina ad Amsterdam, Norimberga o Bruxelles? Non sono mica le derelitte sfruttate dei bordelli pre legge Merlin.

Lo so: la maggioranza delle donne starà pensando che i miei sono i soliti discorsi…da maschio. Ma vado avanti in direzione ostinata e contraria come cantava De Andrè che cantava e frequentava puttane e bordelli.

So anche che il termine “scelta” avrà scatenato l’ira funesta di tantissime ma aggiungo che ci sono anche tantissime che non ritengono una “scelta” il dover lavare i pavimenti ad 8 euro l’ora se va bene…

Queste ragazze sono, per quel che riguarda almeno i paesi del nord Europa, delle lavoratrici del sesso tutelate e per libera scelta. Ed anche se non tutelate se non da loro stesse ne esistono a migliaia anche da noi. E persino molte di quelle che stanno in strada hanno scelto quella via volontariamente senza costrizione alcuna.

Un esempio di volontarietà? L’invasione di ragazze dai paesi della ex Yugoslavia all’indomani del conflitto balcanico a metà anni ‘90…“meglio prostitute in qualche paese europeo che violentate ed affamate in casa” dicevano. Dove sono ora? A casa loro dopo aver fatto soldi prostituendosi per qualche anno.

E chi pensa ancora che delle migliaia di romene che oggi occupano i marciapiedi delle nostre città sia la maggioranza ad essere schiavizzate? Schiavizzate senza possibilità di reagire e tutte col cellulare in mano, di libero uso, ben vestite e libere di muoversi? La tolleranza espressa dalle limitate, in mezzi ed uomini, forze dell’ordine deriva proprio dal fatto che non c’è sfruttamento e quindi non c’è reato. Possono fermarne qualcuna ogni tanto per far loro un piccolo danno, le tengono in guardina una notte ma il giorno dopo sono di nuovo sul posto di lavoro. Tanto più le romene in quanto cittadine UE.

Ma torniamo al tema. Le povere vittime innocenti del recente caso. Ma qui non stiamo mica parlando dei bambini o delle bambine, o delle ragazze avviate alla prostituzione che da secoli invadono il mercato del sesso mercenario dell’estremo oriente. Qui si tratta di ragazzine di 14 o 15 anni o comunque minorenni per la legge che hanno liberamente scelto di prostituirsi per comprarsi quel che volevano. Anche la cocaina certo. E non è che erano cocainomani prima e per pagarsi la droga hanno iniziato a prostituirsi come molte disgraziate soprattutto negli anni settanta: no, il contrario. Perché sniffare fa parte del modo di essere di quel giro.

14, 15, vuoi anche 16 anni sono piccole si grida scandalizzati! Piccole per cosa? Certamente di limitata esperienza e con la testa di un ragazzino adolescente ma ci si dimentica come a metà degli anni ‘70 in Italia si raggiunse il limite anagrafico più basso degli ultimi decenni di età a cui le ragazze facevano sesso completo per la prima volta: intorno ai 15 anni. E tantissime adolescenti di questi anni bui a 15 anni hanno già fatto di tutto con coetanei o quasi.

Chi grida allo scandalo dovrebbe iniziare a rivedere un po’ lo schema mentale perché ci sono migliaia di ragazzine che in Internet ti fanno vedere una tetta in cambio di una ricarica e per molte, e molti, da cosa nasce cosa. E c’è domanda perché c’è offerta, non il contrario. Queste non sono le disgraziate figlie di altrettanto madri degeneri che sono avviate alla prostituzione, che sono vendute dai genitori o che sono affidate alle mani di qualche criminale che le inizia ancor bimbe trascinandole in un vortice di degrado senza fine apparente.

Fermatevi davanti ad una scuola superiore od anche davanti ad una scuola media a volte. Ed osservate determinati atteggiamenti che potrebbero facilmente trasformarsi in tendenze che facilmente potrebbero sfociare in prostituzione.

Queste sono normali studentesse che si sono prostituite per avidità, che hanno usato i loro corpi per ottenere in cambio quanto loro interessava. Non è forse quello che fanno decine o centinaia di aspiranti soubrettine ogni anno in ogni angolo del pianeta? Non è forse quello che facevano le olgettine od il circo di ballerine che circonda qualsiasi potente? Chi pensa che la famosa Ruby fosse l’unica minorenne di quel genere? Non mi sembra che la Ruby abbia poi avuto atteggiamenti da persona colpita da malessere sociale.

Dopo tutto quanto rumore per un caso che, anche se non così isolato rappresenta sempre il caso di due puttanelle come direbbero le nonne che per avere l’ultimo telefonino o le scarpe di moda non badano … a spese e con la connivenza della madre esecrabile ma non più di quella delle madri che spingono le figlie, spesso fin da piccolissime, a mostrare il lato B laddove spesso dal mostrare si passa al dare.

Non vedo differenza, presenza di reato a parte, con l’atteggiamento di ostentazione sessuale che hanno la maggioranza delle frequentatrici dei salotti televisivi.

E quindi queste qui sono solo un paio delle migliaia di lolite che scelgono di prostituirsi.

martedì 15 ottobre 2013

Il caro estinto

Sulla morte del centenario Erik Priebke, l’ex capitano delle SS ed artefice dell’eccidio romano delle Fosse Ardeatine potrei dirne di ogni. Altre volte su queste stesse pagine ho avuto modo di esprimere il mio pensiero, come in questo caso, ma è solo uno dei tanti esempi; pensiero su quella che è stato certamente non l’unico, non il più grande in termini numerici, ma certamente il più concentrato nel tempo e nello spazio tra i crimini contro l’umanità perpetrati da menti ben consce e preparate nella pianificazione di eccidi contro coloro i quali ritenevano non umani. Merce avariata da eliminare e proprio nel caso degli eccidi nazifascisti e conteggiata un tanto al chilo.

Ma quello che reputo intollerabile, secondo la metrica della mia coscienza etica del tutto atea è come sia stato possibile celebrare un funerale cattolico, con tanto di messa in latino, da parte di un celebrante e dei suoi colleghi della Confraternita di San Pio X di Albano Laziale, ameno paesino dei Castelli Romani. Le proteste dei cittadini per un funerale che nessun altro ha voluto e per l’offesa che questo ha recato alla loro dignità sono cronaca così come tristemente lo sono le apparizioni dei neonazisti.

Proprio il cattolicesimo, il cristianesimo o qualsiasi altra sua espressione o radice storica a partire dall’ebraismo pontifica da oltre due millenni su cosa sia bene e cosa sia male. Ma ha introdotto, per ingannare gli ingenui indottrinati, il concetto del perdono, perdono ad ogni costo di qualsiasi cosa. Ma ci sono cose imperdonabili e pur accettando, reductio ab absurdo, che qualcuno possa sinceramente pentirsi e quindi meritare il perdono secondo la metrica cattolica, Priebke tutto ha fatto tranne che dimostrare pentimento o cedimento.

Un prete che prima d’esser tale fosse stato uomo, parafrasando Levi, si sarebbe rifiutato di celebrare messa. Ma come noto quella congregazione, la lefebvriana è da sempre vicina ai fascisti.

Ricordo le parole di una deportata ad Auschwitz e sopravvissuta. Le sue parole pesano come macigni e sono rimaste indelebili: «Non si può e non si deve perdonare. Se uno sterminio di questa portata può essere perdonato, allora il perdono perde il suo significato perché vuol dire che si può fare tutto. E, poi, loro non ci hanno mai chiesto di essere perdonati»

Questo era l’uomo, non molto tempo fa.

Nota: sulle Fosse Ardeatine ho inoltre un ricordo vivissimo che risale addirittura al 1971 quando in III media presi parte ad una gita scolastica proprio in quei luoghi e già allora iniziai a farmi un’idea.

Aggiornamento del 16 ottobre 2013. Proprio mentre scrivevo ieri sera il prefetto ha annullato il funerale. Il prete si è levato i paramenti (su decreto prefettizio e alla faccia della libertà di culto e d’espressione religiosa…) e come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio se e quando ci saranno funerali questi si svolgeranno nell’area militare dell’aeroporto di Pratica di Mare.

lunedì 30 settembre 2013

Siamo tutte puttane

Se lo dissero da soli Ferrara e la Santanché quando il 25 giugno scorso convocarono una manifestazione pro Berlusconi dopo che era stato condannato a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile.

Ieri sera Blog ha dedicato la puntata domenicale con 10 minuti a tratti terribili ma per fortuna più spesso esilaranti alla pitonessa

Non so per quanto tempo Rai Replay terrà in linea il pezzo ma vale la pena non perderlo!

Sarei proprio curioso di sentire come si giustificherebbe la protagonista di fronte a tanta palese contraddizione.

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http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-13f4621d-d965-4fed-9355-bd059ad227f0.html#p=0

domenica 29 settembre 2013

Governi in crisi e crisi di governo

Norberto Bobbio diceva che la storia costituzionale si è tristemente snodata attraverso un'altalena di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi).

Da questo punto di vista La sola novità che la seconda repubblica ci ha recato in dote è la sostituzione della crisi con un eterno stato di pre-crisi, ma il rantolo è lo stesso.

Ed è ormai più di un anno che si va avanti rantolando con un susseguirsi di crisi asmatiche da più parti che non hanno però impedito di permettere ai più di sgolarsi a parlare esclusivamente degli assilli persecutori di Berlusconi.

Ed ecco la conclusione, facile presagio anche del sottoscritto. Il padre-padrone, il capo indiscusso ha staccato la spina ordinando ai suoi sottoposti un radicale quanto immediato tutti a casa. L’uomo in cui un mostruoso egoismo e la vanità possono essere più che degnamente rappresentate, ha emesso i suoi ordini considerando un partito cosa sua, come un’azienda in cui parlare di rappresentanze sindacali o comitati di operai ed impiegati sia bandito da un regime totalitario; partito che nel bene e nel male rappresenta milioni di italiani.

Ed ecco che si riaffacciano i motti demagogici che sempre accompagnano i terremoti istituzionali: l’interesse del paese.

Patetica l’ira di Letta che si è sentito tradito come se non avesse saputo fin dall’inizio che si andava alleando con chi, da lì a poco, sarebbe stato condannato in via definitiva e che avrebbe preteso il riconoscimento della persecuzione giudiziaria. Che altro aspettarsi da un delinquente mentitore di professione? Ridicola la sua reazione di fronte alla scusa dietro la quale si è trincerato Berlusconi che parla di uscita dal governo delle tasse

Mi astengo dal commentare le dichiarazioni dei vertici PdL, falchi o colombe che siano perché passano dall’assoluta mancanza di vergogna di dichiarazioni fatte col culo in faccia ad intollerabili menzogne che approfittano dalla memoria cortissima della maggioranza dei miei concittadini.

E concludo segnalando questo interessante post che molto teoricamente potrebbe trovarmi d’accordo ma l’unico motivo è che sembrerebbe l’unica strada percorribile per evitare elezioni. Ma ho sentore che M5S sprecherà un’altra occasione. Ma come dar loro torto?

In questi 20 anni di Berlusconismo il PD ha reiteratamente coperto le malefatte incapace di allestire un’opposizione seria, egoisticamente attaccata ai poteri locali che a macchia di leopardo le consentono di esistere e soprattutto turandosi il naso di fronte ad ogni figura di merda nazionale ed extranazionale a cui il cavaliere ci costringeva. Gli elettori PD sono sostanzialmente onesti e allora perché non hanno mai preteso che lo fossero del tutto anche i loro dirigenti?

sabato 28 settembre 2013

Guido Barilla. Che pasta d’uomo

Certo che il dietro front di Guido Barilla con tanto di video messaggio sottotitolato in inglese ha parecchi risvolti interessanti. Innanzi tutto che pur di non perdere soldi avrebbe chiesto scusa anche di fronte alla reazione di kamikaze islamici minacciosi! E questo è acclarato.

In sintesi questo il fatto: “Io non farei mai uno spot con una famiglia gay, non per mancanza di rispetto agli omosessuali che hanno diritto di fare quello che vogliono, senza disturbare gli altri, ma perchè non la penso come loro e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica, in cui la donna ha un ruolo fondamentale...". Guido Barilla 25/09/2013

Ma la cosa che mi lascia piuttosto perplesso è l’esagerata reazione! Se dicessi da checca isterica chissà quanti strali mi tirerei dietro…l’ho detto. Reazione della comunità gay mondiale che ha protestato vivamente per il clima di emarginazione, l’omofobia palese, il razzismo pregiudiziale e chi più ne ha più ne metta.

Inizierei dicendo che da industria assolutamente privata –con una storia illustre e lunghissima, esportatrice di pasta ed altri prodotti alimentari in tutto il mondo- saranno sacrosanti cazzi del sig. Barilla decidere e dichiarare con cosa e con chi fare gli spot. Se è per questo il decoro è già duramente messo alla prova dalle famigliole del famigerato ed inesistente “Mulino Bianco”, dai piccolini e dall’immagine del solitario Banderas che ingrassa con le sue merendine e guarda con cupidigia la gallina con cui convive…

Ma quello che mi infastidisce è che, come spesso accade, ogni qual volta viene toccato l’argomento omosessualità gli appartenenti alla categoria debbano esageratamente ostentare i loro diritti ed il loro orgoglio omosessuale e farsi distinguere ad ogni costo evidenziando qualcosa che, stando a quanto loro stessi affermano, è (per loro) assolutamente naturale e normale. Proprio come i “gay village” enormi come quello di Roma, i “gay pride” assolutamente inutili ed il gridare alla mancanza di politically correct ogni volta che si parla di loro. E basta! Credo che i più abbiano ormai capito che non c’è più emarginazione ed esclusione, condanna e persecuzione dell’omosessualità e che come disse Checco Zalone a lo zio…siamo nel 3000…”. Insomma se Barilla avesse detto che non farebbe mai spot con quelli con la pancia o con la gobba la relativa comunità fosse insorta nello stesso modo!

Perché i villaggi ad hoc? Non possono frequentare i locali normalmente? Insomma sono come i negri americani che a loro volta hanno i loro bar, le loro discoteche e che, cascasse il mondo, ancora oggi non fanno un film in cui si veda una coppia mista! Allora chi è che viene escluso o piuttosto mi pare che si auto escludano.

E pure voi, omosessuali di tutto il mondo. Ci sono centinaia di marche di pasta…e proprio la Barilla cercate che non è neanche ‘sto granchè?

Non mi sono mai occupato di argomenti del genere proprio perché sono del tutto indifferente ai gusti sessuali e non ho affatto problemi di omofobia né qualcosa in contrario se qualcuno o qualcuna vogliano vivere una vita (omo)sessuale, ed affettive come conseguenza, diversa dalla norma.

Ma glielo spiegate voi ad un bambino di tre anni uno spot con il mammo ed il babbo o con la mamma e la babba?

PS) giusto qualche giorno fa ho visto per strada due uomini grandicelli baciarsi quando difficilmente si vede una qualsiasi coppia etero farlo tranne rarissimi casi di adolescenti in piena tempesta ormonale…sarà ma per me è ostentazione!

giovedì 19 settembre 2013

San Gennaro facite ‘a grazia

Festa San Gennaro

Sono appena tornato da una breve trasferta lavorativa a Napoli. E come sempre quanto riporto lo faccio con tristezza nei ricordi di quella Napoli che tanto mi piaceva ed amavo quando ci andavo col caro zio Vittorio.

Qualche altra volta su queste pagine ho avuto modo di riportare le impressioni terribili che ricavo nel vedere come mese dopo mese, amministrazione dopo amministrazione, nulla cambi nella china, lenta ed inesorabile, che la città ed i suoi cittadini hanno imboccato: quella di un degrado costante che ha fatto pronunciare ad un mio collega che non era mai stato a Napoli “mi sembra di stare in qualche favelas sudamericana!”.

Ma stavolta l’idea che mi sono fatto è diversa da quella espressa a volte. Fino a poco tempo fa ritenevo che la città fosse formata da una maggioranza di persone per bene in stile “Un posto al sole”, la nota soap di RaiTre che dal 1996 fa credere al resto d’Italia che Napoli sia un posto meraviglioso. E questa maggioranza ostaggio dei cattivi.

Non sono i panni stesi, le macchine contro mano, i sensi unici violati e neanche i vicoli stretti fatiscenti e maleodoranti di un’edilizia improvvisata e arrampicata dal mare verso il Vomero e Camaldoli o Posillipo e paradossalmente non è neanche l’azione del singolo o lo stato di degrado e grigiore inesorabile degli intonaci scrostati ovunque. Ma è l’atmosfera complessiva che si percepisce che mi spingono amaramente a pensare che saranno sì in maggioranza persone per bene che nel loro angolo individualistico sono come tanti ma che tutti insieme formano quella comunità: i napoletani appunto ed il loro modus vivendi.

Durante le pause per il pranzo si chiacchierava del più e del meno con due tecnici che hanno collaborato con me e dal livello culturale decisamente basso e durante queste conversazioni è emerso ad esempio come questo essere napoletano si esprima. Uno di loro ad esempio è passato con classe dall’antico a Napoli non c’è lavoro ad una disquisizione in buona fede su come il napoletano sia specializzato nel fregare il prossimo perché, dato che appunto non c’è lavoro, impera l’arte di arrangiarsi. E queste sono cose che sentiamo da decenni. E l’altro, che evidentemente vive in una bella casetta abusiva alle pendici del Vesuvio che asseriva sicuro che il Vesuvio è morto e che è il governo che dice che è pericoloso perché li vuole mandar via senza cacciare soldi…con buona pace del vulcanologo giapponese e dei suoi avvertimenti recenti (visto che sicuramente Plinio e i calchi di Pompei sono inutili prove).

Domanda retorica. Possibile che in decenni non ci sia stato modo di risollevare Napoli ed i napoletani ad un livello analogo a quello di altre situazioni italiane che (ri)partivano dalla stessa condizione di degrado post bellico? E cito il 1945 tanto per fissare un limite al passato.

Nulla cambia ed anzi sembra quasi che esista una volontà al mantenimento se non al peggioramento. Non stiamo parlando solo delle periferie degradate, della suburra raccontata da Saviano ma anche del centro, compreso il più antico e storico, della zona delle rappresentanze governative della città. Possibile che basti entrare a Napoli ed osservare lo stato delle strade e delle case per sentirsi in un posto strano…sensazione che non si prova in nessun’altra città italiana e che non ho mai provato in nessuna delle tante città europee che ho visto?

E allora la mia conclusione è che esiste davvero questa volontà. Ed è una maggioranza di napoletani che schiaccia quei pochi rassegnati perché questo è l’unico modo per nascondersi dietro un anonima napoletanità e poter continuare a fare i loro interessi primo fra tutti l’interesse a mantenere costante la situazione. Un napoletano fuori Napoli è infatti immediatamente identificabile (un esempio: un pullman di napoletani in gita che si ferma in autogrill).

Oggi a Napoli si festeggia San Gennaro ed in milioni in tutto il mondo (da New York a Sidney)chiederanno le loro piccole grazie, tutte mirate a guadagnare qualcosa di estremamente personale ed individuale a loro esclusivo vantaggio e, volenti o nolenti, fregando qualcun altro. E questa cosa la parodiava il compianto Massimo Troisi nel 1978: trentacinque anni fa.

Che si sciolga o meno quella sostanza tissotropica che gli stolti credono essere sangue non importa, purché sia un coro di San Genna’…facite ‘a grazia!

Il tesoro di San Gennaro (sicuramente arricchito da pesanti donazioni d’origine malavitosa e camorristica) si dice valga più di quello della Corona inglese o degli zar.

Venderlo per fare qualcosa, qualsiasi cosa, no? No, perché nulla deve cambiare e nulla cambierà affinché l’antico adagio sia perpetuato: chiagne e fotte.

Mi è molto piaciuto anche quanto riportato poco fa su “Il post”.

Massimo Troisi e Lello Arena - 1978

mercoledì 11 settembre 2013

Tirocinio Formativo Attivo-La gigantesca presa per il culo

Poco più di un anno fa presagivo in questo post che l’iniziativa nota come Tirocinio Formativo Attivo (TFA) stava assumendo le dimensioni di una colossale presa per il culo. E quindi trasformiamo la domanda in affermazione togliendo il punto interrogativo e togliamo ogni dubbio trasformando l’articolo da indeterminativo a determinativo.

Nel precedente governo l’allora ministro Profumo sembrava avesse individuato correttamente che la strada per accedere all’insegnamento doveva essere quella canonica ed utilizzata in tutto il mondo: un concorso per titoli ed esami ed una corretta programmazione e distribuzione delle risorse docenti e solo a chi sia in possesso del titolo abilitante all’insegnamento.

Accade ora che già da domenica la neo ministra Carrozza di questo attuale governo abbia completamente stravolto le cose sintetizzando con un laconico “Basta concorsi! Dobbiamo dare garanzie a chi già lavora nella scuola” ed il decreto appena varato parla di 69.000 assunzioni nei prossimi 3 anni che in realtà assunzioni non sono: sono infatti regolarizzazioni degli attuali precari. In tutto questo la signora sembra essersi completamente dimenticata dei vincitori del concorso del TFA che alla fine del percorso formativo hanno conseguito abilitazione!

In linea di massima la cosa è condivisibile perché è intollerabile che in Italia esistano migliaia di insegnanti –la cui validità non è qui in discussione- che spesso quarantenni debbano veder confermato il posto di lavoro anno dopo anno. Così come sono condivisibili posizioni quali quelle espresse di recente come sulle pagine di questo blog.

Ma allora perché dare illusioni e speranze a migliaia (più o meno 12.000 in tutta Italia) di neolaureati od anche a professori magari in ruolo per una materia desiderosi di insegnare altro abilitandosi all’uopo.

Mesi di studio e tirocinio e la non indifferente spesa variabile dai 2500 ai 5000 € a seconda dell’Università presso cui si è acceduto dopo aver passato un concorso preselettivo piuttosto duro.

Ecco perché appare ormai palese come oltre il danno la beffa e quindi che di gigantesca presa per il culo si tratta. Fumo negli occhi a migliaia di speranzosi e volenterosi aspiranti docenti che nonostante la situazione degli insegnanti italiani sia la peggiore d’Europa hanno cercato di inserirsi nel blindatissimo mondo della scuola.

Certo i precari vanno in qualche modo sistemati non c’è dubbio ma anziché condannare questi neo abilitati all’insegnamento all’oblio o rimandarli al prossimo turn over da pensionamento (come minimo tra altri 5 anni!) perché non dar loro la possibilità di inserirsi con meccanismi di scorrimento diversi da quelli di cui si discute in queste ore?

Certo che da un governo impegnato da mesi a preoccuparsi di riabilitare Berlusconi c’era da aspettarselo che sugli abilitati veri si facesse una cazzata del genere.

venerdì 23 agosto 2013

Civili

Di fronte a certe notizie non riuscirò mai a comprendere la logica che c’è dietro l’atteggiamento di determinati stati e relativi governi che dovrebbero stare dalla parte dei buoni nei confronti dei cattivi.

A quanto pare in Siria avrebbero usato armi chimiche sull’inerte popolazione civile con un bilancio, solo stavolta, di oltre 1000 morti.

Armi chimiche? Chi osa gridano il presidente ONU da un lato e Barack dall’altro? Si tratta di crimine contro l’umanità con gravi conseguenza dicono e se la cosa sarà confermata insomma qualcosa dovremo fare…aggiungono. E la comunità internazionale si mobilita e il papa di certo si appellerà a quest’ultima. Bugia! Menzogna! Propaganda! Ribattono Assad e la Russia che tutto sommato anche caduto il muro protegge le aree di influenza con la stessa determinazione dei tempi di Breznev o Krusciov!

E con buona pace di Luttwak ricordo che furono gli strateghi della Wehrmacht nella seconda guerra mondiale a capire che i civili potevano essere usati come fossero essi stessi un'arma ulteriore. Nelle loro rapide avanzate creavano orde di sfollati che spingevano appositamente in direzione delle truppe avversarie a contrastarne il percorso. Ed almeno fino alla guerra scatenata dall'Unione Sovietica con l'invasione dell'Afghanistan i civili sono sempre stati dimenticati e lasciati al loro destino.

Cosa cambia per questi signori se quanto accade in Siria oggi ai civili dipenda da armi chimiche piuttosto che da un intenso cannoneggiamento d’artiglieria su un quartiere a caso?

Mi rendo conto di quanto qualsiasi intervento esterno in quella zona del mondo sia estremamente delicato ma allora perché non molti anni fa ONU e NATO decisero di intervenire in massa bombardando Belgrado a fronte del timore che i serbi facessero strage dei kossovari (con gas nervini, mortai da 120 mm od a mani nude poco importa): e questo è solo uno delle decine di esempi fattibili.

Ancora una volta non c’è interesse affinché ci sia la giusta determinazione ad intervenire; non c’è volontà per timore di infastidire gli antagonisti di sempre e soprattutto non c’è motivo per interessarsi veramente se non obtorto collo.

E intanto i civili muoiono ed i profughi sono milioni ammassati nei campi là intorno. E non sono forse come morti le migliaia che arrivano da giorni quotidianamente sulle nostre coste? Non è forse morte quella civile di chi è costretto a lasciare tutto per fuggire dalla guerra?

mercoledì 7 agosto 2013

Empatia

Una delle qualità umane biologicamente intrinseche è la cosiddetta empatia, ovvero quel particolare stato d’animo che ci consente di immedesimarci in qualche modo in altri esseri viventi e soprattutto in nostri simili. Se volete capire cosa rende un essere umano buono osservatelo nei rapporti che ha con un animale domestico da compagnia, primi fra tutti cani e gatti ma a seguire possiamo citare senza ombra di dubbio tartarughe, conigli ed altri roditori vari, uccelli di ogni taglia finanche rettili ed altri bizzarri animali.

Il rapporto che si crea con i nostri “cuccioli” è talmente forte da essere assimilabile a quello che abbiamo con i nostri figli. Ci immedesimiamo empaticamente in loro tanto d’esser convinti che quanto noi pensiamo essi pensino, le emozioni che crediamo provino e l’estrema antropomorfizzazione del loro comportamento siano la realtà. Se soffrono o stanno male stiamo in pena per loro e se vediamo qualcuno trattar male un animale reagiamo violentemente, e giustamente, in sua difesa. Tutto questo è quanto definito come empatia.

L’empatia è fondamentale per il comportamento moralmente ed eticamente condivisibile a livello societario perché la regola aurea di qualsiasi comportamento morale implica la necessità di mettersi al posto di un altro per capirlo e non occorrono religione o regole divine per accettarlo perché il comportamento empatico è codificato e le neuroscienza e la biologia sono oggi in grado di tracciare con esattezza quali parti del cervello sono sollecitate e quali ormoni vengono prodotti in associazione ai comportamenti gentili e buoni. Ed è sempre l’empatia, retaggio primitivo e consolidato in ognuno di noi, che ci rende solidali e partecipi alle sofferenze del nostro vicino, che ci commuove di fronte allo stato di singoli o di intere popolazioni, che ci muove e ci spinge a fare donazioni per esempio od a fare volontariato perché abbiamo ereditato l’attitudine a proteggere i membri della nostra stessa specie.

Bontà e gentilezza sono biologicamente codificati e fisiologicamente innati.

Come spiegare allora il male? Le cattive azioni? E come apice massimo le atrocità e gli orrori dei genocidi di intere popolazioni? La ferocia e la crudeltà assolutamente gratuite nei confronti di altri essere umani? Un esempio per tutti le atrocità commesse nei campi di concentramento nazisti già a partire dai primi anni ‘30.

Perché a coloro i quali sono riusciti da esseri umani contro uomini, donne e bambini ad esercitare tanta crudeltà l’indottrinamento sociale e culturale, politico o religioso, è stato tale da convincerli che si agiva contro esseri non-umani. Ed ogni qual volta che invece negli aguzzini emergeva reagendo con violenza il comportamento empatico essi od esse realizzavano che invece si trattava di essere umani. Il comportamento di un predatore nei confronti di una preda può sembrare, per antropomorfismo, crudelmente gratuito ma in realtà è biologicamente normale in quanto parte dell’economia del sistema che vede i primi agire contro specie diverse e per la protezione della loro ed ovviamente vale il contrario quando le prede diventano via via più specializzate nello sfuggire ai predatori in una continua corsa agli armamenti come direbbe Richard Dawkins.

Ogni qual volta un essere umano arriva alla conclusione che altri esseri umani non appartengono alla loro stessa specie scattano i meccanismi che provocano crudeltà, disgusto e paura e che portano al male e soprattutto nei genocidi del secolo appena trascorso –e l’olocausto ebraico è solo quanto numericamente più concentrato nel tempo e nello spazio sia mai successo nell’intera storia dell’umanità- le motivazioni sono quelle che derivano dalla classificazione in subumani o bestie di esseri umani nei confronti di loro simili e non si tratta quindi di applicare il concetto di nemico ma qualcosa che lo trascende.

Indottrinamento è la parola chiave.

Quanto sta accadendo alle società nel corso degli ultimi decenni, dell’ultimo secolo, è frutto della loro trasformazione che le rende via via più liberali, tolleranti e più aperte all’integrazione e comunque si voglia porre la questione indubbiamente migliori di generazione in generazione. Quanto soltanto pochi decenni fa era assolutamente non dico inaccettabile ma addirittura inconcepibile nella stragrande maggioranza delle culture occidentali ed orientali oggi è l’assoluta normalità. Empatia e condivisione delle informazioni.

Il mio ottimismo sulla natura profonda dell’essere umano deriva dalla mia profonda convinzione che tanto più l’umanità saprà lasciarsi alle spalle la religione in qualsiasi forma rendersi laica e svincolata da questa quanto più il miglioramento aumenterà a ritmi esponenziali.

Se siamo quindi condotti biologicamente ad una moralità di origine e tipo non religioso quanto dobbiamo assolutamente contrastare ed evitare è la demonizzazione di altri gruppi di umani che per diversa religione vengono trattati come disuguali; tra le tante altre cose questa è una delle cause prime che provoca un brusco calo del comportamento empatico. Quanto dobbiamo invece fare è aumentare continuamente il diametro del cerchio degli essere umani con cui provare empatia abbattendo qualsiasi forma di barriera che ci divida a cominciare dal tribalismo delle religioni, delle distinzioni di classe ed ideologiche.

La conoscenza scientifica che abbiamo oggi dell’empatia e la memoria di come le cose siano andate tragicamente male nel passato aiuta nell’impresa e la buona notizia è che, volenti o nolenti, lo stiamo già facendo: fino a 200 anni fa era normale ed accettato avere schiavi ed oggi sarebbe considerato barbaro. Anche se pesantemente presente e continuamente serpeggiante per il razzismo è lo stesso. Fino a tutti gli anni ‘70 in moltissime ex colonie inglesi era un’attitudine padronale normale considerare gli indigeni come essere inferiori, nella migliore delle ipotesi come bambini non in grado di far nulla né di badare a sé stessi se non opportunamente guidati (e sfruttati) dai coloni bianchi: oggi questo è inaccettabile ed impensabile.

La nostra attitudine all’empatia con una più società sempre più razionale e tollerante credo ci stia rendendo sempre più morali ed etici di quanto sia mai accaduto prima d’ora.

Ed anche se molte fonti d’informazione e parecchi moralisti affermano che la società stia degradando e precipitando peggiorando di anno in anno a ritmi vorticosi i dati oggettivi dimostrano il contrario.

Molti ricercatori hanno analizzato con cura la messe enorme di dati a disposizione in molti archivi di stato compreso quelli del Dipartimento di Giustizia statunitense e britannico scoprendo che quanto più le società occidentali si allontanano dalla religione quanto più aumenta la civilizzazione.

Negli ultimi 40 anni il numero di stupri è diminuito negli Stati Uniti dell’80% ed il tasso di abusi domestici di varia gravità è calato enormemente sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti e per quanto riguarda il primo il dato sorprende ancora di più visto che contemporaneamente è aumentato moltissimo anche il numero di denunce che seguono il reato che prima era molto più spesso taciuto da parte delle stesse vittime. Calano anche gli abusi sui minori e gli atteggiamenti razzisti, omofobici ed addirittura i reati di maltrattamento degli animali sia in laboratorio che nella quotidianità.

La percezione errata e cioè che le cose stiano andando nella direzione opposta dipendono dal maggior grado di denuncia e diffusione di notizie relative a reati come questi ma soprattutto dall’aumento del grado di interesse, preoccupazione e disapprovazione che l’essere umano prova oggi rispetto al passato; se ognuno di noi ad esempio pensa che ad esempio la pedofilia stia aumentando è solo perché si fa più attenzione ad episodi del genere e si fa di tutto affinché siano denunciati e perseguiti concorrendo indirettamente alla loro riduzione.

Un altro esempio eclatante deriva dalla scomparsa dei conflitti tra paesi sviluppati e non solo. Persino nei paesi emergenti ai quali spesso si pensa come luoghi in perenne conflitto contro qualche altro paese i numeri dimostrano chiaramente che negli ultimi 20 anni la quantità di conflitti e vittime di questi sono collassati dalla fine della guerra fredda con un numero di morti per guerra che ha raggiunto il minimo storico. In un modo di 7 miliardi di abitanti mai come prima d’ora una minoranza muore per guerra.

Se siano etica e morale che migliorano biologicamente svincolate dalle etichette e dalle suddivisioni di stampo per lo più religioso ed ideologico è per me evidente ed altrettanto indiscutibile che c’è qualcosa nelle società dal libero dialogo, arricchite da informazione libera ed aperta e pronte al dibattito razionale che porta prove crescenti che tutto questo ci spinge nella direzione giusta: una direzione radicata nell’essere umano ed indipendente da qualsiasi forma di indottrinamento.

Cinicamente è affermabile che la moralità religiosa applicata alla natura umana rappresenta un metodo efficace per mantenere allineato il genere umano magari con la minaccia dell’inferno o la promessa della vita eterna ma le regole scritte sui santi libri appaiono oggi sempre più obsoleti e spesso eticamente inapplicabili.

La scienza mostra invece che siamo governati da regole nascoste piuttosto logiche che hanno a che fare con ragione ed empatia: a gestire qualsiasi comportamento e gli estremamente complessi ed evoluti sensi umani. Ancora più importante il fatto che si viva in un’epoca governata dalla razionalità che ci consente di guardare indietro nel passato a ciascuno dei periodi in cui l’essere umano ha assunto comportamenti sbagliati permettendoci di evitarli e questo è, sicuramente, un progresso concreto e reale perché stiamo vivendo in un mondo che diventa ogni giorno più civilizzato ed attento alle esigenze altrui con l’opportunità di sviluppare nuova moralità: e questo è quanto di più eccitante possa esserci nell’appartenere al genere umano.

sabato 3 agosto 2013

Niente monetine

L’aspetto più grottesco e drammaticamente indicativo dello stato generale di degrado politico del nostro paese che ho colto in tutta questa storia della condanna a Berlusconi è come hanno reagito i suoi per non parlare della generale indifferenza. Reazione annunciata dall’appoggio continuo a quest’uomo che esercita pesantemente il culto della personalità ed un vanitoso carisma nonostante tutto quel che è ormai provato abbia fatto: da perfetto sconosciuto uomo d’affari sull’orlo del fallimento ad osannato leader politico con una vita di malaffare e malcostume alle spalle.

La reazione è assimilabile a quella dei sostenitori di un dissidente di un qualsiasi regime totalitario alla notizia del suo arresto o dell’esilio se non addirittura l’eliminazione fisica; ovviamente la differenza fondamentale è che se così fosse questa opposizione politica sarebbe tacitata dal regime mentre ovviamente la nostra democrazia consente loro di esprimere solidarietà al capo ingiustamente condannato.

Questo paradosso del sostegno ai tanti Cetto Laqualunque a fronte di una condanna penale (al terzo grado di giudizio!) mi lascia sgomento ma non sorpreso.

E’ a Berlusconi che i deputati ed i senatori PdL hanno rimesso le loro potenziali dimissioni non al governo, agli elettori e tanto meno agli italiani! La standing ovation, il mite Bondi che parla con toni che evocano la guerra civile e la patetica quanto giuridicamente improbabile richiesta di grazia!

E l’altra sera davanti a Palazzo Grazioli non una voce fuori dal coro, non un dissenso ma solo applausi e lacrime.

Il confine sul quale al massimo i pidiellini si dividono non è se liberarsi -in una sorta di Gran Consiglio del 25 luglio- del libertino e disonesto capoccia che rischia di trascinare tutti a fondo ma se continuare o meno a sostenere il governo Letta visto che il padrone dell’azienda PdL avrà (o meglio dovrebbe avere) la bocca politicamente cucita.

Auspico la caduta del governo perché sarà dimostrato che Berlusconi e C continueranno a prendere voti, ed anche parecchi.

Che sia stato condannato ora, che sarà condannato da qui al 2016 in almeno altri tre dei processi a suo carico non frega niente a nessuno, nemmeno agli elettori di sinistra.

Almeno 20 anni fa qualche monetina volò anche se forse oggi, con quel che pesano i 5 centesimi non ci sarebbe stato gusto.

A coloro i quali allora erano troppo giovani consiglio vivamente di vedere questi tre minuti di video…credo siano emblematici.

martedì 30 luglio 2013

La ragione e la fede. Epilogo

Condivido con voi anche la mia ragionata e pacata risposta anche se riconosco che qua e là trapela la rabbia di chi nulla può contro questo profondo radicamento religioso.

Premessa fondamentale. Rispetto l’essere umano ed il suo spirito etico così come rispetto il fatto che ognuno è libero di credere in quel che vuole purché questo non leda il primo punto. Se fede, religiosità o credenze servono a rendere l’essere umano migliore ben vengano, come nel tuo caso. Ma per quel che mi riguarda non occorre nulla di tutto questo per essere esseri umani buoni nel senso più lato che si possa dare a questo aggettivo. Ciò premesso veniamo al dunque. Da qui in poi è la mia risposta allo zio…

Ho letto attentamente tutto quanto hai voluto sottopormi e devo dire che come mi aspettavo i testi e le citazioni proposte partendo dal mitico Giobbe (visto devo dire in luce diversa che quella del solito omino dalla proverbiale pazienza) diventano, tanto per (non) cambiare…

Le classiche spiegazioni che non spiegano. Dei dogmi. Prendere o lasciare. Atti di fede…appunto. E, permettimi, questo esula completamente da quel che definirei, ragione e, soprattutto, usare la propria testa.

Una delle prime cose che mi ha colpito è stata questa e cito:

Gli ebrei pensavano che la malattia e la disgrazia fossero punitive di uno stato di peccatoDio manda le malattie ai malvagi e la liberazione ai giusti.   Uno storpio non è storpio solo per natura, ma per il peccato di lui se il ‘difetto’ è sorto improvviso durante la sua vita o per il peccato  dei  genitori, se è nato così. E in parte è vero: ci sono dei mali che si contraggono, facendo il male.

Il concetto di un dio sanguinario, persecutivo, vendicativo, punente e stragista permea l’intero vecchio testamento. Ovunque infatti ci sono esempio di piaghe di varia natura che vengono scatenate contro gli infedeli (in pratica tutti tranne gli ebrei, notoriamente eletti) che coinvolgono a destra ed a manca senza distinzione di sorta colpevoli ed innocenti. Da qui le considerazione di cui sopra che valgono anche per chi, si scrive, abbia commesso peccato. Ma l’osservazione dell’autore “ci sono dei mali che si contraggono facendo il male” lascia interdetti soprattutto perché non aggiunge spiegazioni ulteriori. Insomma, chi male fa male riceve, chi semina vento raccoglie tempesta e via così di luogo comune in luogo comune.

Cito ancora:

<< Io sono innocente – sembra dire il nostro eroe biblico – non ho commesso peccato alcuno >>Giobbe non aveva offeso sua moglie, non aveva maltrattato i suoi figli, non aveva sfidato Dio con opere di empietà, non aveva violato la giustizia.  Era un innocenteMa anche l’innocente ha peccato.  In tutta la vicenda biblica esiste questa netta distinzione: peccato dell’empio sfacciatamente cattivo, infedele e traditore, e il peccato dell’innocente, il peccato di non avere sapienza e di non comprendere le vie del Signore.

Qui lo sbigottimento continua a crescere e la (non solo mia reputo) ragione si pone altri interrogativi in quanto non disposta ad accettare la cosa per..atto di fede. Questo concetto del male agli innocenti, il dolore innocente: insomma c’è il cattivone e fin qui ci siamo, si punisce ma c’è anche l’innocente che va punito perché non ha sapienza e non comprende…ma qualcuno non aveva detto “beati gli ultimi, i poveri di spirito…ecc”…lasciamo perdere poi il concetto che il “povero di spirito” te lo intorti come ti pare vista la sua (beata?) ignoranza ed invece il sapiente no? Che poi sapienza e conoscenza sono state per un paio di millenni equiparate dalla chiesa cattolica a superbia (come osi tu scienziato andare a sfruculiare l’insondabile? … il mistero di dio…ecc ecc).

Proseguendo nella lettura il timore che si stia andando a parare verso il solito dogma indiscutibile (che dogma sarebbe sennò?) si fa sempre più forte ed arriva puntuale:

I libri più recenti dell’Antico Testamento contengono vari tentativi di risolvere il problema che ha ossessionato gli ebrei fino a questo secolo in cui hanno patito tremende sofferenze (Ma nelle Scritture, che Gesù stesso avrebbe letto e studiato, spiccano in particolare due personaggi.  Si tratta di Giobbe e del Servo Sofferente nel Deutero-Isaia. Il dolore innocente ha fatto sempre problema, proprio per questa logica che vuole il male derivare dal male secondo il quale Dio punisce anche l’innocente per renderlo più innocente e quindi più sapiente.

<< Dio solo ne conosce la strada e sa dove ella risiede >>.

A parte che appare decisamente improbabile che il figlio di un falegname avesse mezzi e retroterra culturale per studiare addirittura le scritture risulta inoltre che tali erano inaccessibili se non alla ristretta casta dei sacerdoti ebrei che ne custodivano la conoscenza e le fonti: come avrebbe quindi potuto il povero Gesù leggere e studiare le scritture? E poi Gesù non era quello che da bambino fece fare una bruttissima figura ai pomposi sacerdoti che lo interrogavano sulle questioni del mondo e lui sapeva rispondere a tutto perché appunto…figlio di dio? (lo dice il Vangelo, Luca 2,50). Ma non è questo il punto.

E fin qui sembrerebbe che la disamina sia stata fatta per dire che sì insomma, una volta era così, si pensava cosà ecc e invece…macché. Tutto il preambolo infarcito di citazioni ed affermazioni per arrivare poi a questa serie di affermazioni che, a mio giudizio, sono deliranti e prive di ogni logica. Cito:

Il dolore di Giobbe non ha spiegazioneE’ nel mistero di Dio e della natura

Il mistero di dio, della natura. Ci risiamo. Mi colpisce poi quel citare la natura. Se la natura è misteriosa ed imperscrutabile che ci affanniamo a fare a studiarla per trovare il modo di vivere meglio e più a lungo? La divina provvidenza di manzoniana memoria…a ridaje diciamo a Roma. E nel tentativo di modernizzazione che viene fatto di Giobbe la conclusione è tragica.

Giobbe è tutto questo e altro ancora.  Ma  cosa  ci  ha  davvero insegnato  in  definitiva? Ecco: il dolore è grazia se è redentivo.    Come lo fu per  Giobbe. Non si può iniettare amore con le semplici parole: l’amore è un’esperienza, non un concetto.  Il cristiano non accetta il male né come  prova  di  virtù,  né  come  castigo: ma  allora,  da  dove  viene  il  male? C’è  qualcuno  che  ti  manda  le malattie? le disgrazie? le sconfitte?  No, il male è espressione (= conseguenza) del peccato del mondo e il cristiano è un  liberatore.

Il dolore è grazia se è redentivo: interessante. Ti becchi un male, se sei innocente te lo tieni affinché tu possa espiare il male altrui (bel sistema di giudizio)…le colpe dei padri che ricadono sui figli ecc. Se sei colpevole è ovvio. Allora beccatoti il male soffri e ti redimi…e magari muori lo stesso perché le vie del signore sono infinite. Ottima conclusione di una spiegazione che non spiega.

A proposito, quella citazione del povero don Gnocchi (di cui ammiro l’opera di uomo indipendentemente dalla tonaca)…quella che si sgomenta di fronte al dolore innocente dei poveri alpini martoriati sul fronte russo…poveri un par di ciufoli. Si dimentica che erano soldati partiti per il fronte e pronti ad ammazzare altri poveracci come loro. Come mai la sapienza divina non cala mai nella testa di tutti i soldati contemporaneamente a dir loro di deporre le armi?

Dio sfida se stesso perché la sua Sapienza non ha limiti, non ha peso, non ha giustificazioni.  E’ la sapienza del mistero.  Dio è l’ incomprensibile.  Dio è l’ imprevedibile, l’assoluto gratuito.

Ah già, dimenticavo. Anche la guerra è strumento nelle mani di dio insondabile ed imperscrutabile.

Idem come sopra. Zitto tu mortale che non capisci una sega. Dio è insondabile, imprevedibile, assoluto gratuito, sapienza del mistero (piuttosto contraddittori i termini: se è sapienza non è mistero). E con questa storia i tenutari delle religioni di tutti i tipi (primi fra tutti cattolici, ebrei, islamici ed induisti) hanno tenuto in scacco milioni di anime innocenti e beatamente ignoranti dicendo loro che comunque vada, comunque si comportino devono soffrire…e vabbè.

Ora capisco il senso di alcune tue affermazioni quando io ti facevo l’esempio di terremoti ed inondazioni, assolutamente e perfettamente spiegabili in termini scientifici, e tu citavi queste come punizioni che senza guardare tra innocenti e colpevoli punivano appunto in quanto il male è espressione (=conseguenza) del peccato del mondo. E la conclusione è paradossalmente ridicola se non fosse tragica. Ma per fortuna ci sono i cristiani che ce ne liberano…e per farlo devono a loro volta soffrire, portare la croce, patire. Perché l’opera del cristiano evangelizzante quindi è quella di portare il bene sradicando il male che è dappertutto, anche nell’innocente che non sa una sega, non capisce la sapienza di dio e quindi potrebbe fare del male…allora arriva il cristiano liberatore, lo battezza e lo costringe a ricevere la sapienza. Insomma una roba del genere.

E per concludere direi che la disamina di Giobbe e derivati fa parecchio a cazzotti con il concetto del libero arbitrio.

Grazie della tua pazienza di lettore (e ce n’è ancora un po’). Questo è quel che la mia ragione mi porta a considerare.

Un abbraccio!

Note storico-culturali:

Ho notato alcune imprecisioni storiche ed un guazzabuglio di concetti che parte dal solito secolare problema del popolo ebraico…

I Romani si erano già mostrati spietati nel governare la loro colonia ebraica e nella repressione di ogni rivolta, ed erano rudemente insensibili ai sentimenti religiosi della popolazione

Se c’è stata una cultura che è sempre stata estremamente tollerante con qualsiasi forma di religione fino al punto di adottarne a volte usi e costumi è stata proprio quella romana. Sicuramente fu insensibile alla pretenziosità ebraica e cristiana di imporre unilateralmente le scelte; ma appare anche normale.

avrebbero distrutto il Tempio stesso e costretto il popolo d’Israele ad esiliarsi dalla sua patria spirituale per ben diciannove secoli.

Dopo tutto i romani con Domiziano, Vespasiano prima e Tito dopo non hanno fatto altro che comportarsi come qualsiasi altra delle loro province che minacciasse spiriti e moti indipendentisti. La Giudea (l’attuale Palestina) è sempre stata una provincia molto difficile da governare e quando gli ebrei, certi di interpretare la volontà del loro dio (riporto senza commentare…) si misero in testa di rendersi liberi dal giogo romano considerando che, come detto prima, tentavano di sovvertire le secolari regole della romanitas, scatenarono ovviamente la reazione di Roma che non poteva permettersi di perdere quella provincia non solo per l’enorme importanza strategica (un cuscinetto tra loro è il forte impero dei Parti) ma per non dare adito ad un precedente secessionistico. La storia dell’eccidio e del massacro è stata ridimensionata considerando che la maggioranza delle vittime morì di fame a causa del lungo assedio, non più lungo di decine di altri episodi simili nei secoli a venire compreso, per contrappasso, l’assedio dei soldati cristiani della prima crociata (1088) che fece più o meno lo stesso numero di vittime (circa 100.000) di quello romano e, per riprendersi il maltolto, quello di Saladino (1187) stavolta contro le truppe crociate. I romani offrirono più volte la resa che veniva rifiutata sistematicamente dai capi ebrei.

A proposito poi delle citazioni qua e là che ricordano le innumerevoli sofferenze del popolo ebreo pur riconoscendo che l’olocausto è stato certamente il più concentrato genocidio in termini di tempo e territorio vorrei ricordare altri genocidi patiti da altri popoli alcuni dei quali in quantità considerevoli e che con il dio di cui parlano antico e nuovo testamento non avevano nulla a che fare non conoscendolo neppure. Così, per par condicio.

Genocidio

Gruppo vittima

Intenzione

Modalità di distruzione

Numero di vittime
e percentuale rispetto
alla popolazione

Contesto interno

Contesto internazionale

Armenia (1915)

Nazionale e religioso (Armeni ottomani)

Eradicazione territoriale totale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

1.400.000 (70%)

Politica di ridefinizione etnonazionalista dello stato

Prima guerra mondiale

Holodomor (1932-33)

Nazionale e sociale (contadini ucraini)

Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale

Carestia pianificata

7.000.000  (25%)

Politica di coercizione totalitaria

Indifferenza della comunità internazionale

Shoah (1941-45)

Razzializzato (Ebrei europei)

Eradicazione universale totale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

5.200.000 (50%)

Politica di eugenetica razzista

Seconda guerra mondiale

Vittime dell’eugenetica nazista

Razzializzato (omosessuali, zingari, polacchi, russi)

Eradicazione universale totale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

3.000.000 (non disp)

Politica di eugenetica razzista

Seconda guerra mondiale

Congo (1900-1960 circa)

Razzializzato 

Eradicazione territoriale totale
(colonialismo belga)

Deportazione, carestia, esecuzione, eccidio

10.000.000 (85%)

Politica di coercizione totalitaria

Indifferenza della comunità internazionale

Cambogia (1975-79)

Politico e sociale ("nuovo popolo")

Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

1.800.000 (40%)

Politica di coercizione totalitaria

Indifferenza della comunità internazionale

Ruanda (1994)

Razzializzato (Tutsi)

Eradicazione territoriale totale

Esecuzione, stupro di massa pianificato

800.000 - 1.000.000 (70-80%)

Politica di ridefinizione etnonazionalista dello stato

Attendismo della comunità internazionale

Bosnia (1992-95)

Nazionale e religioso (musulmani bosniaci)

Eradicazione territoriale parziale

Deportazione, esecuzione

100.000 - 120.000 (6%)

Politica di ridefinizione etnonazionalista dello stato

Attendismo della comunità internazionale

http://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio

venerdì 26 luglio 2013

La ragione e la fede. Prologo

Quanto ho scritto pochi giorni fa sulla morte dell’amica di mia moglie ho voluto condividerlo, senza nulla togliere od aggiungere, con un mio carissimo zio(*), fervente cattolico, molto impegnato da anni sul fronte dell’assistenza a chi ne ha bisogno e persona che stimo moltissimo al di là degli ultradecennali rapporti di affetto e simpatia reciproca. Non l’ho fatto con spirito provocatorio visto che le nostre conversazioni sul tema sono sempre state ricche e simpatiche pur dovendo sempre concludere, da parte mia, che non c’è proprio niente da fare. E’ più facile credere in quel che non si vede ma di cui tutti parlano sostenendone la verità che farlo in quel che puoi toccare con mano.

Sulle prima la sua risposta è stata piuttosto prevedibile. La risposta di chi cerca di portare conforto allo smarrimento che questa cosa comporta; al che ho dovuto subito ribadire che non ero affatto smarrito e che ero e sono perfettamente conscio delle ragioni di questa morte. Il gesto comunque apprezzato e compreso è stato quindi rafforzato da una serie di scritti che qui riporto volentieri e che, almeno per quel che mi riguarda, appartengono alla stessa risma di spiegazioni che non spiegano un bel niente e che anzi confermano ulteriormente la mia radicata convinzione. Non ho (quasi) certamente le prove per affermare che non esiste alcun dio ma vivo e mi comporto come se fosse vero. Ecco quindi un estratto dalla sua mail di risposta ed il materiale che mi ha sottoposto…

Carissimo nipote, Ho indugiato un pochino a risponderti, non lo si poteva fare su due piedi, anzi - per esser sincero - non ero troppo convinto di volerlo fare (…) nella sua cruda essenzialità e tragicità, pur non si discosta dall'eterno dilemma che ha sempre assillato l'uomo: Dio com'è? E' giusto, è buono? E' ingiusto, è indifferente alle nostre sofferenze? Sai Giacomo carissimo, in un certo senso è privilegiato colui che si definisce "ateo", perché in qualche modo non se la prende con nessuno... Poi (e qui la faccenda si complica) ci sono i cosiddetti "credenti" separati però da una voragine di fondo: "credenti praticanti" e "credenti... generici", li chiamo io... Ma credenti in cosa in definitiva... che comunque Qualcuno che possa presiedere a tutto ci deve pur essere? E che se ne farebbe "quel dio" di questa affermazione? Quando io affronto questo problema - e mi costringono a farlo sempre gli altri, non mi sono mai divertito a "sfruculiare" nel cuore del prossimo... - comincio sempre da una base per così dire elementare, e cerco quindi di farlo con una specie di sorriso... Cioè: Dio, quello "vero" è  SEMPRE E COMUNQUE DENTRO DI NOI FIN DALLA NASCITA, CHE LO VOGLIAMO O MENO, poi crescendo siamo liberi di fare quel che crediamo meglio per la nostra vita. E qui si aprirebbe un altro discorso che potrebbe durare per tutti gli anni che ci sarà dato vivere.

E seguita con questa lunga dissertazione riportata e che fa parte della sua catechesi che ha meritato la mia attenta lettura e, ma guarda un po’, una pazienza degna del protagonista (…)

<<Non ci sono “eroi” veri e propri nella Bibbia fino ai tempi dei Maccabei (166-160 a.E.V.).  C’è soltanto la certezza ingenua che Dio è dalla parte del popolo eletto; Dio ha ragione, Dio è giusto e quindi gli ebrei hanno ragione e la giustizia è con loro.  Questa fiducia elementare, che produsse una mitologia brutale ed atroce nel Libro di Giosuè (il grande condottiero che, alla morte di Mosè, introdusse gli ebrei nella ‘terra promessa’ sbaragliando ogni nemico in maniera spesso cruenta e impietosa, vistosamente aiutato dal suo Dio Jahvé. Ndr.), fu messa a dura prova nel confronto concreto con la realtà storica della sconfitta di Israele nel 597, quando il Tempio di Gerusalemme fu distrutto e molti degli ebrei furono deportati a Babilonia (l’Iraq attuale).  Tale esperienza spinse i profeti ebrei a un’autoanalisi angosciata che produsse alcuni fra i più bei libri dell’Antico Testamento.  Poiché gli ebrei erano convinti della propria virtù – non ubbidivano forse alla Torah che Dio stesso aveva rivelato loro? – e poiché la giustizia e la potenza di Dio erano indiscutibili, come poteva Egli aver permesso che il suo popolo eletto soffrisse quella tremenda calamità nazionale?  La risposta più banale che gli ebrei non erano stati abbastanza virtuosi, non abbastanza ligi alla Torah, troppo pronti a mischiare il loro sangue con quello di altre tribù semitiche vicine, troppo negligenti nell’applicare le limitazioni alimentari – poteva soddisfare soltanto le menti legaliste e semplici Per i profeti e salmisti che meditarono sulla questione, e per l’autore, più tardo, del Libro di Giobbe (data ignota: 450 a. E.V. ca.), il problema era molto più profondo e di bruciante attualità, ma senza risposta.  La sofferenza dell’innocente sembra mettere in dubbio l’idea ebraica di un Dio eccelso e potente, un’idea difficile da sostenere di fronte a tutti i fatti che sembravano contraddirla.

<<I libri più recenti dell’Antico Testamento contengono vari tentativi di risolvere il problema che ha ossessionato gli ebrei fino a questo secolo in cui hanno patito tremende sofferenze.  Ma nelle Scritture, che Gesù stesso avrebbe letto e studiato, spiccano in particolare due personaggi.  Si tratta di Giobbe e del Servo Sofferente nel Deutero-Isaia.

<<Il Libro  di  Giobbe  è  il  più  omerico  di  tutti  i  libri  biblici,  ma lo è soltanto perché descrive due immortali, Dio e Satana che giocano a mettere alla prova la resistenza di un mortale. I tormenti dell’uomo virtuoso che  subisce la rovina finanziaria e si ritrova coperto di piaghe, sono la conseguenza di una disputa quasi scherzosa fra le potenze celesti.  Ma la reazione dell’uomo sofferente non è affatto omerica, perché  Giobbe non smette mai di credere nella virtù e nella giustizia.  Gli studiosi si sono domandati come il Libro di Giobbe abbia acquisito la sua forma attuale.  I lettori comuni decideranno se le due risposte al problema di Giobbe siano davvero una consolazione: in primo luogo, Giobbe sa di avere un Vendicatore che, in un giudizio futuro, ricompenserà la virtù. E’ un primo accenno della nascente fede ebraica nell’immortalità dell’anima.  In secondo luogo, Giobbe sa che Dio nel Suo splendore e nella Sua maestà non deve essere messo alla prova dai miseri quesiti della mente finita dell’uomo: << Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della Terra? >>, domanda Dio a Giobbe.  Nondimeno, il Libro di Giobbe, proprio a causa della sua retorica, non convince del tutto.  Si sconfigge da sé, e possiamo credere che il suo autore o i suoi autori lo abbiano scritto così di proposito.

<<In realtà Giobbe ha argomenti più forti dei suoi calunniatori, o di Dio stesso.  A dispetto delle circostanze, dell’abbandono e, in pratica, dell’ostilità di Dio, Giobbe continuerà a credere in Dio e nella Sua giustizia.  <<Anche se Egli mi ucciderà, avrò fiducia in Lui! >>; << Detesto la mia vita! Per questo io dico: “E’ la stessa cosa”: Egli fa perire l’innocente e il reo! Se un flagello uccide all’improvviso, della sciagura degli innocenti Egli ride. La terra è lasciata in balia del malfattore: Egli vela il volto dei suoi giudici; se non Lui, chi dunque sarà?>> .

<<La questione non è preoccupante per il politeista, cui sembra normale che gli dèi determinino il destino umano con malizia sadica. Ma lo è profondamente per chi crede in un Dio unico e buono che ha affermato il Suo amore per il Suo popolo e gli ha domandato di comportarsi in modo virtuoso.  Questa domanda tormenta tuttora il cuore degli ebrei. Per chiunque, come Gesù, conoscesse a fondo la Bibbia, essa doveva rivestire una grande importanza, in particolare perché ai suoi tempi incombeva sul giudaismo una minaccia altrettanto grave dell’antico esilio babilonese.  I Romani si erano già mostrati spietati nel governare la loro colonia ebraica e nella repressione di ogni rivolta, ed erano rudemente insensibili ai sentimenti religiosi della popolazione.  In seguito, come si ritiene che Gesù avesse previsto, avrebbero distrutto il Tempio stesso e costretto il popolo d’Israele ad esiliarsi dalla sua patria spirituale per ben diciannove secoli. Chiunque parlasse di Israele a Israele durante l’occupazione romana doveva avere in mente l’antica domanda del  Libro di Giobbe.  Una  profonda  crisi  riguardava  l’intera  nazione  e  non poteva essere risolta con la teoria. Per molti contemporanei di Gesù era assiomatico che Dio avrebbe salvato Israele, in un modo o nell’altro: avrebbe permesso agli insorti ebrei di rovesciare gli oppressori stranieri con la forza militare, come Giuda Maccabeo aveva cercato di fare; oppure avrebbe mandato il Suo Messia per porre fine alla storia e redimere gli uomini sofferenti d’Israele con l’inizio dell’era messianica.  Gesù stesso nutriva certamente l’una o l’altra speranza, o forse entrambe, ma sembra che le abbia considerate in modo molto personale >>.

(da Gesù – l’uomo, la fede ” di Andrew Norman Wilson,   pp.33-37)

L’anonimo autore

Nulla di più lancinante, nella Bibbia, di questo libro; nulla di più coraggioso e insieme di più poetico tra tutto ciò che ha scritto l’uomo o, si vuole, che abbiano scritto e dettato gli dei.  Infatti questo lamento – requisitoria non fu e non sarà più dimenticato.  Il cristianesimo vi ha letto l’esaltazione della pazienza di fronte alle prove cui Dio ci sottopone, e vede in Giobbe l’uomo dell’abbandono e dei dolori che prefigura il Cristo.  Poi i tempi sono mutati, e con i tempi i lettori-interpreti.

Tu, lettore che ci leggi, hai a disposizione la tua cultura, la tua sensibilità, il tuo credo, la tua spiritualità, il tuo rapporto con Dio, e tante cose ancora:  hai a disposizione tutto questo per poter leggere Giobbe nell’aspetto che più ti sarà utile …  

L’autore del libro, che oggi leggiamo nella sezione dell’Antico Testamento chiamata Libri sapienziali, deve aver ascoltato più volte da ragazzo il racconto.  Egli, anonimo ancora oggi, adottò il racconto arricchendolo di nuovi capitoli,  drammatizzando ancor più la vicenda di Giobbe sul filo di una grande esperienza comune all’uomo innocente. Giobbe è diventato così la parabola dell’uomo che soffreLa sua esperienza è l’esperienza del dolore, Giobbe rappresenta l’uomo che lotta per la vitaGiobbe è un lottatore che cerca Dio, non per consolarsi ma per entrare nel mistero di Dio e rifarsi una nuova coscienza.

Forse l’autore era un ebreo vissuto nei campi di concentramento a soffrire la fame e la sete con la sua gente.   Egli aveva conosciuto il male sottile della solitudine, del disprezzo, e insieme il male terribile della malattia e della morte dei suoi cari.  Sulla sua disgrazia aveva sentito molte opinioni, molti giudizi.   Aveva anche sentito parole di sapienza e di fede.   Vi costruì allora la nuova storia di Giobbe, il nuovo romanzo di Giobbe.

Giobbe, personaggio popolare

         Ai tempi dell’esilio, quando il popolo di Israele dovette subire la deportazione (il primo lager della sua storia), era familiare fra le famiglie ebraiche più colpite, il racconto popolare della storia di Giobbe.  Lo si raccontava nelle notti buie, sotto la tenda, al rumore cadenzato delle sentinelle che vigilavano sul campo dei deportati.  I ragazzi rimanevano ad ascoltare attoniti e agghiacciati dalla vicenda.  Gli anziani vi leggevano il loro destino, i più giovani sollecitavano il finale della storia per arrivare al lieto fine.

  Ecco dunque la storia del racconto primitivo, che, se narrata molto succintamente, occupa davvero poche righe.   Riassumiamola.

C’era una volta un uomo di nome Giobbe …

Giobbe  era  un  uomo ricco  e  sano, onesto  e  fisicamente  integro.   Gli erano nati sette figli e tre figlie.   Il suo gregge era di settemila pecore, di tremila cammelli, di cinquecento paia di buoi e cinquecento asine.

Un giorno, mentre  i  suoi  figli  e  le sue figlie stavano banchettando nella

casa  del  fratello  maggiore,  entrò  un  messaggero: << L’ esercito dei Sabei è

piombato sui buoi che stavano arando e sulla asine che stavano pascolando. Sono scampato io solo>>.

         Arrivò un secondo messaggero: <<Un incendio ha distrutto le pecore e colto nel sonno i guardiani.  Io solo mi sono salvato>>.

Ne arrivò un terzo: <<I Caldei hanno dato l’assalto ai tuoi cammelli. Hanno ucciso i guardiani.  Io solo mi sono salvato>>.

Giobbe stava calcolando la portata di quest’altra disgrazia, quando entrò nella sua tenda un altro messaggero: <<I tuoi figli e le tue figlie stavano banchettando nella casa del fratello maggiore quando un grande vento e un terremoto rovinò la casa.  Nessuno si è salvato tranne il messaggero>>.

Giobbe si alzò, si strappò le vesti in segno di dolore, poi si inginocchiò a terra adorando Dio:  << Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore >>.

         Più  tardi Giobbe fu colpito da varie malattie così che il suo corpo apparve a tutti come una piaga sanguinolenta.   Era la catastrofe.

Il racconto popolare terminava con un lieto fine.  Giobbe non perse la speranza e la sua virtù provata dal dolore fu premiata. 

Riebbe la salute e il doppio di ciò che aveva.  Quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine.  Quattordici figli e tre figlie.

L’origine del male

Il primo problema che l’autore del libro di Giobbe dovette risolvere fu quello dell’origine del male.  Da dove viene il male?  C’è qualcuno che ti manda le malattie?  le  disgrazie?  le  sconfitte?

          Questo ignoto e solitario autore, di mente assai eletta certamente, aveva “agitato” nell’intero libro di Giobbe la questione dei rapporti fra la bontà morale e la felicità terrena, ma era giunto ad una conclusione più negativa che positiva, perché riscontrando che fra i due termini non esiste sempre un collegamento infallibile aveva finito per rifugiarsi in un atto di fede nella somma giustizia di Dio.

La teologia, ai tempi dell’autore di Giobbe, aveva maturato già una prima certezza.  Il male non viene da Dio, ma da <<Satana>>. La parola significa <<avversario>> e nelle parti più antiche della Bibbia è un personaggio malefico che sabota il piano di Dio accusando l’uomo di peccato dopo averlo condotto al peccato.

Nonostante l’influenza della religione persiana, dove il male è una divinità indipendente che combatte Dio con la stessa forza e la stessa potenza, l’autore di Giobbe considera  Satana limitato;  egli non può sottrarsi al potere di Dio e non può quindi vincere la battaglia scatenata contro GiobbeIl male che attanaglia il corpo di Giobbe è terribile, ma Satana non ha mezzi  straordinari per togliere a Giobbe la sua volontà di conservarsi innocente e di avere fiducia in Dio.

          Con stile molto sottile il nuovo racconto di Giobbe (ricordate come, nella Premessa si è ipotizzato che vi furono precedenti stesure del libro di Giobbe rispetto all’attuale che si conosce) si sposta su un terreno più complesso.   Da una parte il desiderio di Satana di portare Giobbe alla disperazione e all’angoscia, dall’altra Dio che veglia su Giobbe e sulla sua condizione, per la sua salvezza.

          Il male distrugge ma Dio alleandosi con l’uomo lo rende capace di superare anche il dolore e la sofferenza.

Ma Giobbe era innocente?

Se Giobbe fosse stato colpevole, il problema per l’autore del nuovo racconto sarebbe stato di facile soluzione.  Gli ebrei pensavano che la malattia e la disgrazia fossero punitive di uno stato di peccatoDio manda le malattie ai malvagi e la liberazione ai giusti.   Uno storpio non è storpio solo per natura, ma per il peccato di lui se il ‘difetto’ è sorto improvviso durante la sua

vita o per il peccato  dei  genitori, se è nato così.

          Questa idea era entrata nella teologia ebraica molto presto.  Già il racconto del “primo peccato” (o ‘peccato d’origine’) sembra insinuare questa concezione: siccome i progenitori hanno peccato, da questo peccato viene la miseria, la malattia, la fatica. E in parte è vero: ci sono dei mali che si contraggono, facendo il male.

          Ma non era il caso di Giobbe, almeno così come compariva nella storia popolare ereditata dall’autore.  Giobbe, era innocente.  Gli amici che vengono a trovarlo non sono convinti: << Se Giobbe soffre ed è ridotto ad una piaga puzzolente è perché ha commesso dei peccati, e Dio punisce i peccati >>.

Il dolore innocente ha fatto sempre problema, proprio per questa logica che vuole il male derivare dal male.  Ogni letteratura, anche quella moderna, ha sempre cercato di risolvere il problema con lo schema facile peccato-malattia, malattia-punizione.  Perfino il cattolico Manzoni colloca alla fine del suo romanzo Don Rodrigo fra gli appestati e la peste sembra cadere su una società corrotta.

          Del resto, ancora oggi è abituale la convinzione che la miseria di una zona povera sia da addebitare alle incapacità colpevoli degli abitanti, mentre la ghettizzazione - meglio dire l’emarginazione - dell’handicappato (che con belle parole usiamo chiamare ‘disabile’, anzi, negli ultimi tempi, ‘diversamente abile’), dell’anziano e dell’ammalato porta con sé, assieme a una grande dose di indifferenza, una ancestrale concezione di colpa.

La confessione di Giobbe

Non bisogna mai dimenticare che l’autore di Giobbe biblico scriveva per i suoi contemporanei, a cui ha in animo di inculcare la stima e il culto della Sapienza.  Sì, la Sapienza.  Una delle tante parole che noi abbiamo svalutato con il tempo e con l’abitudine.

         Che cosa intende l’autore di Giobbe per sapienzaNon certo la solita maniera di considerare la realtà con gli occhi della prudenza, la saggezza dell’anziano, oppure, come potremmo pensare noi eredi del secolo della ragione, una virtù conoscitiva che ci fa esperti nella vita; ma più profondamente e semplicemente il modo con cui Dio stesso vede le cose, il suo stesso disegno di amore e di misericordia, la sua giustizia.

Giobbe possiede questo concetto.  Egli confessa la sua fede in un monologo mirabile di alto valore:  << Abbiamo noi la possibilità di conoscere la sapienza di Dio? di intravedere qualcosa del suo piano? >>  si sente chiedere Giobbe accusato da un suo amico di aver offeso il Signore non sapendo discernere la sua volontà.   << Si >>  risponde Giobbe,  <<Interroga le bestie e ti ammaestreranno, gli uccelli del cielo e te lo annunceranno… Te lo spiegheranno i pesci del mare. Chi non sa fra tutti fra tutti costoro che è la potenza di Dio che ha fatto tutto ciò?  Egli nelle cui mani è l’anima di ogni vivente, e lo spirito d’ogni corpo umano…  In lui è forza e saggezza, da lui dipendono il sedotto e il seduttore…  Egli fa andare i sacerdoti scalzi e abbatte i potenti, sparge il disprezzo sui nobili e ai forti allenta la cintura.  Rivela dalle tenebre le cose recondite, porta alla luce l’ombra di morte >>  (12,7-25).

Ma può questa sapienza di Dio essere trasmessa all’uomo?  Ecco il grande problema che il dramma di Giobbe pone all’autore del libro e ai suoi contemporanei. 

<< Io sono innocente – sembra dire il nostro eroe biblico – non ho commesso peccato alcuno >>Giobbe non aveva offeso sua moglie, non aveva maltrattato i suoi figli, non aveva sfidato Dio con opere di empietà, non aveva violato la giustizia.  Era un innocenteMa anche l’innocente ha peccato.  In tutta la vicenda biblica esiste questa netta distinzione: peccato dell’empio sfacciatamente cattivo, infedele e traditore, e il peccato dell’innocente, il peccato di non avere sapienza e di non comprendere le vie del Signore.

         Il dubbio di essere colpito per questo, sfiora Giobbe più volte, ed è perfino l’argomento dell’ultimo strano suo interlocutore, secondo il quale Dio punisce anche l’innocente per renderlo più innocente e quindi più sapiente.

         E’ chiaro che questa soluzione avrebbe potuto dare all’autore di Giobbe la chiave per risolvere il mistero.  Una chiave che sovente adoperiamo anche noi quando diciamo che il dolore è una prova che Dio ci manda per accrescere la nostra virtù.  Ma è troppo scaltra la religione dell’autore di Giobbe per accettare questa soluzione che ancora una volta attribuirebbe a Dio una sfacciata abitudine del ricatto.  Egli, il Dio della sapienza, sarebbe condotto a darci virtù e meriti attraverso il ricatto del dolore.  Solo il dolore ci fa santi, mentre diversa è la teologia ebraica di quel tempo secondo cui non è il dolore che rende l’uomo buono, ma la sapienza di Dio comunicata all’uomo (ci sembra un dato su cui converrebbe riflettere a lungo …).

Il mistero di Giobbe nel mistero di Dio

La soluzione ci è fornita dal libro di Giobbe proprio al capitolo 28: una pagina moderna, la più moderna delle pagine bibliche dell’Antico Testamento.  Essa è rivoluzionaria per quei tempi e anticipa la grande rivelazione di Cristo.

Se infatti Giobbe innocente è caduto nella miseria della malattia, se Giobbe carico di prudenza e di buoni consigli non sa capire il senso del suo soffrire, allora è chiaro che la sapienza di Dio non la si acquista né con l’oro né con la virtù, ma nella fedeLa sapienza è nascosta in Dio e Dio la dà gratuitamente.

<< Dio solo ne conosce la strada e sa dove ella risiede >>.

Il mistero di Giobbe è nel mistero di Dio.  Giunge infatti il momento in cui nel dramma di Giobbe entra la stessa voce di Dio.  I protagonisti scompaiono di fronte alle sue parole, finalmente l’autore può dare sfogo alla sua tesi fondamentale.  La verità su Giobbe non la possiede né Giobbe stesso né i suoi amici, diventati accusatori allo scopo di farsi belli, né Eliu l’ultimo personaggio intento a dimostrare che il dolore di Giobbe è un acconto che paga i suoi peccati futuri e la sua presunzione di dirsi innocente.  E’ la tesi fondamentale che troppe volte è stata bistrattata dagli esegeti, ma soprattutto dai facili commentatori.

Il dolore di Giobbe non ha spiegazioneE’ nel mistero di Dio e della natura

Giobbe non viene glorificato perché è innocente o perché ha fede, Giobbe non viene salvato perché ha vinto, Giobbe non riacquista la salute per una preghiera esaudita, ma semplicemente perché Dio vince con la sua potenza e la sua misericordia.

Dio non si conquista con l’oro o con la virtù.  Dio non si vende all’uomo più paziente e all’uomo che lo compra con la sua pietà.  Dio si dona perché egli è donoDio concede sapienza perché è Sapienza, Dio dà la vita perché è Vita.

Dio sfida se stesso

Da Giobbe l’autore biblico giunge a Dio.  Potrà sembrare un assurdo, ma il problema che lo interessa non è Giobbe o il dolore, l’innocenza o la malvagità, la filosofia dell’esistenza e i problemi della solidarietà, ma Dio. Chi è Dio? Come si comporta Dio? Come parlare di Dio?

La tentazione di dare delle risposte troppo sicure è sempre stata presente nella storia della salvezza.  Vediamola in alcune sue sfaccettature:

· Dio è <<Faraone>> che governa le cose? Ma Faraone non è mai stato di parola, non ha governato con sapienza, ma con la forza.  Come potevano gli ebrei reduci da forme crudeli di schiavitù confondere Dio con un tiranno?

· Dio è la natura?  Un concetto che gli ebrei scartano subito, un po’ grazie alla rivelazione che Dio fa di se stesso, e un po’ per esperienza personale.  Di fronte a una natura arcigna, crudele e muta, come è possibile confondere Dio con le cose?

· Dio è un vendicatore?  Certo in alcune circostanze questa idea ha fatto breccia nella storia del popolo della salvezza, non certo nella storia di GiobbeGiobbe è innocente, Dio non ha nulla di che vendicarsi.

· Un Dio che gioca a battaglia con Satana?  Se poteva essere questa una ipotesi valida ai tempi del racconto popolare di Giobbe non sembra però essere questa la tesi dell’autore del libro biblico visto e considerato che la vicenda si fa complessa e l’onnipotenza di Dio e la sua sapienza non ha limiti. Dio non sfida il male, anche se è il male che sembra sfidare Dio.

· Dio che sfida Giobbe?  E quindi un Dio che gioca la carta della sua onnipotenza sulla debolezza dell’uomo? Diverse ‘letterature’ hanno strumentalizzato il libro di Giobbe in questo senso:  << L’uomo arriva a Dio a partire dal suo malessere. Se l’uomo fosse forte non avrebbe bisogno di Dio >>.  Forse alcune di queste tesi sono accennate nel libro, ma  la teologia seguente  alle  prime  stesure del  racconto  biblico  sembra

rifiutare questa tesi.   Giobbe è credente prima e durante la sua disgrazia.  E il Dio di Giobbe non sembra un giocatore di carte.

Dio è salvezza per il giusto.  E’ vero che Giobbe sembra meritare la salvezza a causa della sua lunga pazienza e a causa della sua fede.  Ma allora  se Dio premia gli innocenti che bisogno c’era di discutere così a lungo sulla situazione di Giobbe, e sui suoi malanni? Il Dio di Giobbe è invece un Dio che sfida se stesso.  Non ci sono motivi perché Giobbe debba soffrire o debba guarire.

Dio sfida se stesso perché la sua Sapienza non ha limiti, non ha peso, non ha giustificazioni.  E’ la sapienza del mistero.  Dio è l’ incomprensibile.  Dio è l’ imprevedibile, l’assoluto gratuito.

La colpa degli amici di Giobbe è di aver creduto che non esista l’incomprensibile e che l’imprevedibile non esista e non sia reale.

La debolezza di Giobbe è di aver creduto che Dio sia una persona disposta a tener conto solo di ciò che appare.

La debolezza dell’autore è di aver ricordato ai suoi lettori che Dio è mistero.  Ma è una debolezza sincera.

Se Giobbe vivesse oggi

         Quando don Gnocchi incontrò il dolore e la sofferenza innocente nella mutilazione dei ragazzi che avevano ricevuto nella carne le ferite della guerra, rimase sconvolto. Eppure don Gnocchi aveva visto i suoi alpini cadere in Russia, aveva raccolto i feriti e congelati. Il dolore innocente fa sempre problema.  E fa problema oggi soprattutto in cui siamo abituati alle analisi o all’attribuire alla società  tutte le colpe e tutte le devianze.

Se oggi Giobbe vivesse, egli farebbe ancora problema.  Forse riceverebbe meno visite, e attorno al suo caso si scatenerebbero meno discussioni. La medicina, là dove la medicina è in auge, si occuperebbe non poco del suo caso, anche con risultati sorprendenti; e se il dolore fosse troppo pesante ci penserebbero i narcotici, che oggi sono anche utili a combattere il dolore.

Se un cristiano si avvicinasse oggi a Giobbe, potrebbe assumere due atteggiamenti contraddittori. Potrebbe fare a Giobbe una lunga predica sul dolore che diventa una prova di amore. Oppure potrebbe esprimere il massimo di solidarietà assistendo l’ammalato.

         I due atteggiamenti vanno invece armonizzati. Non bastano le disquisizioni teologiche per dare un senso al dolore. E’ vero che dopo la Passione di Cristo il dolore ha acquistato il senso di un riscatto e di un’offerta di amore.  Ma non si può “iniettare” amore con le semplici parole; l’amore è un’esperienza, non un concetto.

E’ importante pertanto per il cristiano uno sforzo di lotta contro il male, nello spirito di solidarietà e di agape. Il cristiano non accetta il male né come prova della virtù né come castigo; il male è espressione di peccato e il cristiano è un liberatore non un masochista.

Se la liberazione passa attraverso il dolore, solo in quel caso il dolore diventa veicolo di grazia.  La Croce di Cristo è atto di amore, ma orientata verso la Risurrezione, e la Risurrezione è il gesto più grande di amore che Dio abbia compiuto verso l’umanità.

Il Giobbe di una volta non ha conosciuto la Croce e la Risurrezione di Cristo, ma la sua fede in Dio anticipava il tempo della salvezza.

Giobbe sapiente o paziente

E’ nata la leggenda di Giobbe paziente.  Ma il testo biblico non è così categorico.  Ci sono dei momenti in cui Giobbe appare nella grandezza della sua passione umana né remissivo né consolato né sconfitto. E’ vero che c’è pazienza e pazienza … Ma la sua non è certo la pazienza dell’uomo che si limita a ‘incassare’. 

Nulla nel suo stato lo lascia tranquillo. La sofferenza della carne si accompagna a quella dello spiritoEd è uno spirito che indaga, s’interroga e si difende

Un uomo paziente come lo intendiamo noi oggi non avrebbe gridato così forte la sua pena e soprattutto la sua fedeltà e la sua onestà.  Le arringhe di Giobbe sono il segno di un uomo che sfida se stesso, la propria condizione e persino gli amici disattenti e poco solidali, venuti a compiangerlo e a metterlo in imbarazzo.

Giobbe è un lottatore. Lotta contro un cattivo concetto di moralità (fare il bene per avere del bene), contro un cattivo concetto di Dio (Giobbe è convinto che Dio non è un crudele, vendicativo, umano, secondo il modo di essere degli uomini). 

Giobbe lotta contro la cattiva sapienza, quella che vuol trovare una spiegazione per tutto, che divide il mondo in parti geometriche, che vorrebbe relegare la stessa religione nell’ideologia del tornaconto, del perbenismo.

Egli è protagonista della vera sapienza.  Quella che gode anche nel dolore delle cose belle e sapienti del creato, la sapienza che sfida il futuro e attende la liberazione.

Giobbe, diciamo allora, è un sapiente problematico.  Egli si interroga e valica anche le frontiere del sicuro in attesa di un mutamento che la storia della salvezza ha promesso per la giustizia di Dio e del mondo.

Giobbe non dice: << Soffrire è fatale >>, Giobbe non ama contemplare la sofferenza come specchio di eroismo.

Giobbe non si accontenta di dire: << Io soffro e quindi basta >>, Giobbe non si fida né di se stesso né degli amici né di Dio stessoDio non è il suo rifugio, ma il suo domani.
Giobbe cerca la fede non per consolarsi ma per entrare nel mistero e rifarsi una nuova coscienza.  Giobbe è un debole ma grida forte, ama forte e attende un avvenire più forte.
Quale consiglio può arrivare a noi, uomini del XXI secolo?  Forse questo: << costruisci la vita con pazienza e con sapienza >>.
Giobbe è un buon modello: è debole ma grida forte con Dio, ama forte e attende un avvenire più forte.        

Ai giovani che lo deridevano, Giobbe diceva:  << Della forza delle loro mani che ne avrei fatto? Hanno perduto la propria freschezza giovanile. Bruciano per il deserto, terra arida e orrida, raccogliendo atrepice fra i cespugli e radici di ginestra per loro cibo…>> (Cap.30,2-5).

Giobbe, l’uomo che osa “litigare” con Dio
         In definitiva, chi è Giobbe? Un tempo veniva indicato come modello di pazienza, e lo si rappresentava sottomesso a Dio nell’atto di benedirlo: << Il Signore ha dato e il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore >> (Cap.1,21). Oggi, invece, molti preferiscono descriverlo come un ribelle, un disperato che grida la sua insopportabile angoscia:  << Perisca il giorno nel quale sono nato […]; perché non sono morto fin dal seno materno? >> (Cap.3,3.11).

Chi è Giobbe? Giobbe è l’uomo che osa “litigare” con Dio.  Ed è appunto questa “lite” che ci dà una possibile, ma chiara, chiave di lettura delle parole dei personaggi di questo dramma, perché evidenzia subito che vi è di mezzo una questione di giustizia.

Una controversia (giuridica) nasce infatti quando qualcuno si sente defraudato dei propri diritti, minacciato o leso in ciò che legittimamente gli appartiene

E’ Giobbe a incominciare, dichiarando il dolore e l’amarezza di sentirsi vittima innocente; la sua condizione di sofferenza ingiustificata diventa il principale capo di accusa.  Forse Dio non sa o non può governare rettamente il mondo (Capp. 9,24; 21,7; 34,12-19), dato che la sorte dell’innocente è equiparata a quella  del reo (9,22)?  Come è possibile rassegnarsi a questa situazione?  Finché ha respiro, Giobbe esprime il desiderio di confrontarsi personalmente con Dio (13,3; 16,18-21; 23,3-4), così da capire perché l’Onnipotente si comporti come un avversario nei suoi confronti, perché lo aggredisca senza tregua con terrori e ferite (10,2. 15-17; 13,24; 16,12-14; 30,21).

         Come tutti coloro che sono prostrati dal dolore, Giobbe chiede un perché; e questa domanda diventa desiderio di incontro, pretesa di una risposta diretta da parte di Dio (12,24). Ma Dio tace. La sua trascendenza lo rende inaccessibile.  Mille sono le contestazioni di Giobbe, ma Dio non replica una sola parola (9,3.16; 19,7; 30,20; 33,13). 
La tensione del testo biblico è in larga parte dovuta al fatto che la protesta accusatrice di Giobbe risuona a vuoto; colui che, indignato, chiede al Cielo il perché della sofferenza innocente ode solo l’eco del proprio grido.

Abbiamo, a nostro conforto, le posizioni assunte da Giobbe: il suo lamento arrivava ad accusare Dio di ingiustizia e di violenza. Quando, però,  lasciatolo  sfogare,  il  Signore gli aprì  il  cuore ad  intendere  il  Suo  disegno, il  lamento  divenne scusa  e lode.

Forse sarà bene < visitarlo > un poco più da vicino questo grande personaggio della Bibbia. Certamente ci potrà insegnare qualcosa… E’ nata la leggenda di Giobbe paziente. Ma  il  testo  biblico  non  è  così categorico. Ci  sono  dei  momenti  in  cui  Giobbe  appare  nella grandezza della sua passione umana né remissivo né consolato né sconfitto.  E’ vero che c’è pazienza e pazienza.  Ma  la  sua  non  è certo  la  pazienza  dell’uomo  che  si  limita  a  incassare.  Nulla  del suo stato  lo  lascia  tranquillo.  La sofferenza della carne si accompagna a quella dello spirito.  Ed è uno  spirito  che  indaga,  s’interroga  e  si difende.  Un uomo “paziente” come lo intendiamo noi oggi non avrebbe gridato così forte la  sua  pena  e  soprattutto  la sua  fedeltà  e la  sua  onestà. 

Le arringhe di Giobbe sono il segno di  un  uomo  che  sfida  se  stesso,  la  propria condizione e persino “gli amici disattenti e poco solidali” venuti a compiangerlo e a metterlo in imbarazzo.

Giobbe non dice mai: <Soffrire è fatale>. Giobbe non ama contemplare  la  sofferenza  come  specchio  di  eroismo.

Giobbe è tutto questo e altro ancora.  Ma  cosa  ci  ha  davvero insegnato  in  definitiva? Ecco: il dolore è grazia se è redentivo.    Come lo fu per  Giobbe. Non si può iniettare amore con le semplici parole: l’amore è un’esperienza, non un concetto.  Il cristiano non accetta il male né come  prova  di  virtù,  né  come  castigo: ma  allora,  da  dove  viene  il  male? C’è  qualcuno  che  ti  manda  le malattie? le disgrazie? le sconfitte?  No, il male è espressione (= conseguenza) del peccato del mondo e il cristiano è un  liberatore.

Se la liberazione passa attraverso il dolore, solo in quel caso il dolore  diventa veicolo di grazia.

La Croce di Cristo è atto d’amore, ma orientata verso la risurrezione, e la  Risurrezione è  il  gesto  più  grande  di  amore  che Dio  abbia  compiuto  verso  l’umanità.

Come il sole del primo mattino anticipa la qualità della giornata, così la  fede  di  Giobbe  in  Dio  ha  anticipato il tempo  della  salvezza.

 

(*) Come nota di colore aggiungo che questo zio, fratello di mio padre, ha sposato una sorella di mia madre ed i relativi rapporti di cuginanza tra noi figli sono quindi a doppio filo! Occhiolino