Proprio a 45 anni non molti anni fa provai sulla mia pelle cosa significhi perdere un lavoro e ritrovarsi a spasso con tante belle qualifiche, attestati, certificazioni ed esperienza ultradecennale e fui anzi abbastanza fortunato nel ricollocarmi, sebbene da freelance per circa tre anni: ma non prima di aver toccato con mano quella categoria di sciacalli rappresentata dai cosiddetti head hunter pronti a rivenderti a quattro soldi agli onnipresenti datori di lavoro che vorrebbero il massimo al minimo costo.
Questo valore anagrafico spesso fa da limite di categoria in molti campi, soprattutto lavorativo. Forse perché ipotizzando che vivere fino a 90 anni è un gran bel traguardo allora 45 rappresenta il confine tra salita e discesa, proprio come il sottotitolo al questo mio blog. Sicuramente perché dire “ho 42 anni” ricorda più da vicino il 40 che non il 50 di chi dice ho “48 anni”; fortunatamente non penso nulla ricordando che il prossimo 28 gennaio saranno 54!
Ciò premesso a quanto pare, nonostante infinite promesse, nel deserto di eventuali proposte per la famosa chimerica ripresa dei parametri di crescita economica nazionale ci si è ancora dimenticati una volta della ancor meno tutelata categoria degli over 45. Nessuna proposta di incentivi alle imprese che li (ri)assumano e sembra che esistano solo donne e bambini, quelli che giustamente sono da salvare per primi. E mi riferisco soprattutto alla sottocategoria degli over 45 in possesso di qualifiche professionali, elevate competenze, esperienza e maturità operative preziosissime ma, ahimé, troppo costose per coloro i quali dovrebbero assumere e che preferiscono due o tre giovani inesperti al prezzo del valore di quel che una volta si diceva la mezza età.
Il guaio di questa categoria è proprio quando dovrebbe essere un vantaggio: spesso ci si sente rispondere che siamo troppo qualificati che è poi la scusa per non essere pagati non dico quanto si dovrebbe normalmente percepire ma per lo meno avere un importo che non sia umiliante e che possa magari stimolare l’affezionamento al lavoro ed all’azienda, cosa pressoché impossibile per un giovane, inesperto, contrattista e quindi precario. E questa cosa accade continuamente: aziende che sfruttano esperienza, professionalità e dedizione al lavoro con contratti a progetto più o meno lungo e che poi liquidano con la scusa della mancanza di fondi contemporaneamente con altre assunzioni!
Gli sfortunati professionisti che, over 45, si presentano ai colloqui di lavoro con in testa il concetto del visti e presi restano quasi sempre amareggiati e delusi dalla diffusa mentalità aziendale per cui conta solo il prossimo bilancio e che sia positivo: non importa che siano dipendenti od ex tali, finti o veri autonomi, non fa alcuna differenza. Tutti sono vessati e maltrattati con modalità che sono specifiche del caso, ma che si possono ricondurre ad unica ragione fondamentale dal punto di vista delle aziende: spendere il meno possibile e fregandosene della qualità, delle prospettive di lungo termine, della crescita: il massimo al minimo costo appunto.
Cittadini che hanno spesso pagato oltre 20 anni di contributi e che si trovano nelle condizioni di non sapere come affrontare i prossimi 20 ed oltre, viste le recenti riforme e con la consapevolezza che la pensione sarà una parte spesso non superiore al 50% della loro retribuzione. Troppo vecchi per lavorare ma inesorabilmente troppo giovani per la pensione.
Altro che tesserino europeo di qualifica professionale: un altro inutile orpello partorito dalle menti dei solito burocrati che giustificano la loro presenza sventolando lo stesso pezzo di carta da almeno un decennio.
Tutto questo mentre proprio in questi giorni si legge di come si continuino a sprecare enormi risorse in settori già maturi e saturi con stipendi od aumenti di questi ingiustificati ed ingiustificabili il problema della disoccupazione over 45 si ripropone a fronte della reiterata mancanza persino di accenni.
Non posso far altro che concludere che purtroppo non ci sono parametri di misura adeguati per stabilire il maggiore o minore peso sociale di questo fenomeno rispetto a quello drammatico della disoccupazione giovanile: giovani a cui hanno tolto persino il sogno di un futuro possibile.
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